Una rondine non fa primavera, è vero. Ma Matteo Salvini può tirare un sospiro di sollievo. Almeno per ora. La riconferma di Massimiliano Fedriga in Friuli Venezia Giulia con il 64 per cento dei voti e, al tempo stesso, l’affermazione della lista della Lega che, seppure di poco (19 per cento), ha superato sia quella di Fratelli d’Italia (18,1 per cento) sia la civica del presidente (17,7 per cento), infatti, hanno dato fiato al leader di via Bellerio. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, del resto, basta fare un rapido raffronto con le recenti Regionali non tanto nel Lazio quanto in Lombardia, dove le camicie verdi hanno dovuto digerire l’amaro sorpasso dei Fratelli d’Italia. Un’ascesa al Nord che invece stavolta i leghisti sono riusciti ad arginare, almeno rispetto alle scorse Politiche, quando il partito di Giorgia Meloni in FVG aveva superato il 30 per cento dei consensi. «Tutto vero, ma la lettura non è completa», è l’analisi che consegna a Tag43 un leghista critico. «Non dimentichiamo che FdI nel 2018 era inchiodata al 5,5 per cento in Friuli e arriva al 18, mentre noi, rispetto a cinque anni fa, quando viaggiavamo intorno al 35 per cento, abbiamo quasi dimezzato i consensi».

Dal Friuli Venezia Giulia Salvini cerca di puntellare il suo ruolo nella maggioranza
Sia come sia, questo risultato adesso serve come il pane a Salvini, anche per cercare di circoscrivere e far valere il suo peso specifico nella maggioranza di governo. Accantonata l’idea, che tra l’altro non ha mai avuto grandi estimatori nel corpaccione leghista, di un fronte unico con Forza Italia – dal momento che Silvio Berlusconi ha spostato il baricentro del suo partito verso FdI -, ora la carta Friuli Venezia Giulia torna utile in via Bellerio per rimarcare l’identità leghista a Roma. Neanche a farlo apposta proprio ieri, in concomitanza con la chiusura dei seggi, il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, cominciava a picconare la narrazione governativa sul Pnrr, aprendo alla possibilità di rinunciare a parte delle risorse a debito, «che sono sempre soldi che vanno a pesare sulle finanze degli italiani».

Dare più attenzione al Nord e puntare sulla concretezza hanno dato i loro frutti
Ma il risultato in FVG racconta ben altro. C’è chi nella Lega pone l’accento sul cambio di strategia del segretario «concentrato su azioni concrete che portano benefici tangibili ai cittadini, dal Codice Appalti al ponte sullo Stretto». Così come c’è chi esulta per la «virata al Nord»: «Il partito è stato presente in Friuli e si è visto. Finalmente Salvini ha capito che, per inseguire un partito nazionale, stavamo lasciando scoperto il Nord che è la culla del leghismo». E, in effetti, il leader del Carroccio, riforma dell’autonomia a parte, una più spiccata attenzione al Settentrione la sta mostrando. Prova ne è ad esempio il suo essersi speso per «portare un pezzetto di Piemonte» dentro le Olimpiadi invernali 2026.

Fedriga e Zaia restano minacce alla leadership di Salvini
Non è tutto oro quello che luccica, però. Che tradotto significa comunque una vittoria dolce amara per Salvini. Anche se, per come viene descritto da chi lo conosce da vicino, «non sarebbe in grado di ammetterlo neppure con se stesso davanti a uno specchio». Il risultato del Friuli Venezia Giulia, infatti, «è la conferma del buon governo del territorio incarnata da Massimiliano Fedriga. «Da questo dato non si scappa», tira le somme un leghista di vecchia data. «Ma è pure la conferma della reale insidia che figure come lo stesso Fedriga o Luca Zaia in Veneto rappresentano per Matteo». Da qui a ipotizzare un cambio di scenario dopo la stagione congressuale però ce ne passa e «almeno per ora pare difficile, nonostante le sconfitte inanellate dai candidati salviniani in alcuni congressi provinciali». Una cosa però è certa: «Il voto di domenica e lunedì è un’ulteriore prova di uno stato sempre più precario della leadership di Salvini. Per colpa sua, infatti, numerosi consensi non vanno più alla lista della Lega, ma a quella del presidente, che si tratti di Fedriga come in questo caso, o di Zaia». È vero quindi che è stato fugato il rischio reale che la civica potesse addirittura superare il Carroccio in termini di consensi, ma il problema rimane: «Questa lista, tra l’altro, è imbottita di leghisti doc, a riprova che drena i voti di chi dentro il partito non è favorevole a Salvini. E, il che è ancora più preoccupante», conclude, «rappresenta molti di quelli dati a FdI alle Politiche, proprio perché l’alternativa della civica non c’era». Insomma, altro che bicchiere mezzo pieno: c’è un leghismo che non vuole più saperne del suo leader. Matteo è avvisato.