Fedez, su Emanuela Orlandi una ridarella fuori luogo ma da non condannare
Le battutacce di Fedez non seppelliscono nulla che nel caso Orlandi non sia stato già seppellito e profanato: la verità, la pietà, la fiducia nella giustizia. Semmai sono la prova che uno scandalo è stato ridotto a docudrama morboso. D'altronde l'eccesso di misteri nella storia d'Italia alla lunga desensibilizza.
E l’infame sorrise. Anzi, rise proprio, si sbellicò fino quasi a soffocare. Il Franti in questione è Fedez, che ogni tanto si dimentica di essere l’adorabile signor Ferragni – o, per citare un riferimento vintage più calzante, il fioraio senza cultura che la bionda professoressa Chiara Higgins da anni cerca di trasformare in un My Fair Lord – e torna a essere lo scimunito di successo che nel 2011 cantava «io voglio fare il rapper, mica il PR». L’ultima volta è successo nell’ultima puntata del podcast Muschio selvaggio, che Fedez conduce insieme a Luis Sal.
Fedez a Muschio sghignazza fino all’asma sul fatto che non hanno mai trovato Emanuela Orlandi
(Tutto vero) pic.twitter.com/NcV0SQCNi5
— Matteo Simpatia Cortesia (@mdiparbleu) January 24, 2023
Una battutaccia e la classica toppa peggiore del buco
Durante l’intervista al giornalista Gianluigi Nuzzi a proposito della scomparsa di Emanuela Orlandi, Fedez è intervenuto affermando che «intanto si può dire che non l’hanno mai trovata. La stanno ancora cercando». E giù un’irrefrenabile risata che, dopo un attimo di gelo, ha strappato a Nuzzi un imbarazzato commento sul «black humor», seguito dalla spiegazione di Fedez, la classica toppa peggiore del buco: «Mi faceva troppo ridere». Inevitabile tempesta social, così prevedibile nei toni (chieda perdono! Si vergogni! Sua moglie lo mandi a letto senza cena!) che non è il caso di parlarne.

Come se non bastasse, anche il riferimento al cielo e al «pilota»
Quasi altrettanto prevedibile che la reazione più sensata sia venuta da un uomo per cui Emanuela, prima di essere la Vatican Girl della serie di Netflix o uno dei più ghiotti argomenti di serate televisive condotte da Carlo Lucarelli, Andrea Purgatori o Federica Sciarelli, è stata una persona amata, una sorella alla cui ricerca ha consacrato la vita: Pietro Orlandi. «È stato semplicemente un momento di immaturità, come quando da ragazzini scappa una risata a un funerale. Ho sentito di peggio», ha detto il fratello-coraggio che da 40 anni deve fare i conti con omertosi, fanfaroni, insabbiatori e ballisti vari che lo fanno girare come una trottola con mezzi indizi e rebus beffardi. Fra i quali il sibillino e atroce «è in cielo» che gli disse il buon papa Francesco, anche lui in vena di black humor, e che lo stesso Fedez ha chiosato a Muschio selvaggio con la battutaccia con cui avrebbe dovuto ribattere Pietro Orlandi quella volta: «Allora la ricerca bisogna affidarla a un pilota».
Pure questa non è male pic.twitter.com/WhSIjLjmpq
— Hater Parisi (@Al___Zheimer) January 24, 2023
I millennial non provano dolore né senso di colpa
Certo che per i millennial italiani come Fedez dev’essere difficile. Oltre a doversi caricare sulle spalle il degrado ambientale e lo sperpero del denaro pubblico che li costringeranno a lavorare fino a 80 anni a meno che non muoiano prima per tumori da inquinamento che la sanità pubblica sarà troppo prosciugata per curare – non sarà il caso di Fedez, decisamente benestante – devono assumersi il dolore e il senso di colpa per una tonnellata di brutture di cui non sono responsabili né personalmente né collettivamente, essendo nati molto dopo. E se, comprensibilmente, non provano dolore e senso di colpa, devono fingerlo, per riguardo e reverenza ai morti, ai superstiti e alla buona creanza.

Per i giovani gli orrori del passato sono forse troppi
I boomer dovevano inchinarsi davanti solo davanti ai caduti della Grande guerra e alle vittime del nazifascismo, che a volte erano stati i loro stessi padri e nonni. I cattivi avevano un nome ed erano stati puniti o, perlomeno, sconfitti. Per i giovani italiani di oggi gli orrori del passato davanti ai quali devono fare la faccia contrita sono molti di più. Oltretutto sono per lo più «misteri», eventi cioè in cui l’orrore più crudele non è la tragedia stessa, ma i complotti che l’hanno preceduta e i depistaggi, le connivenze e le menzogne che l’hanno seguita e hanno sempre nascosto i veri colpevoli, e, nel caso di Emanuela Orlandi, perfino la vittima, di cui ancora non si conosce la fine – ah, sì, è in cielo.
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Il viso della ragazzina è ormai un meme, e dei meme si può anche ridere
Almeno ce ne fosse uno solo, di questi terrificanti rompicapi, nella storia d’Italia. E invece ne esistono decine e decine ognuno con il suo esercito di investigatori, magistrati, giornalisti, associazioni di familiari che chiedono inutilmente la verità, ricostruzioni televisive, commemorazioni annuali e ora anche docuserie su Netflix. E come nell’universo Marvel, i protagonisti di un capitolo fanno un cameo in un altro capitolo, e in tutti gli intrighi c’è lo zampino di un supercattivo, Thanos-Licio Gelli, e dei servizi segreti. C’è poco da fare, l’eccesso desensibilizza. Oppure finisce per scatenare un’ilarità alla Franti, il cattivo del Cuore deamicisiano, in cui Umberto Eco vedeva «l’ultimo grido del buonsenso ferito dalla frenesia collettiva», compresa quella innescata ultimamente dai media e dai social sul caso Orlandi, che se ne sta lì irrisolto da 40 anni senza che sia emerso un barlume di verità. Il viso della ragazzina nella foto in bianco e nero sui manifesti ormai è diventato un meme, e dei meme si può anche ridere.

Scandalo agghiacciante ridotto a docudrama morboso
Questo fa dell’involontaria ridarella di Fedez una denuncia acuta ed efficace, tanto necessaria quanto fraintesa, di come uno scandalo agghiacciante sia stato ridotto a docudrama morboso. Quella risata non seppellisce né profana nulla che nel caso Orlandi (e in molti altri misteri d’Italia) non sia stato già abbondantemente seppellito e profanato: la verità, la pietà, la fiducia nella giustizia.