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L’esercito del Dragone combatte sui social

Scoperto un network composto da oltre 350 profili fake che diffondeva bufale su oppositori del governo cinese, di cui contestualmente ne lodava l’operato.

5 Agosto 2021 17:415 Agosto 2021 17:46 Redazione
Scoperto un network composto da oltre 350 account fake che diffondeva informazioni false a sostegno della Cina

Alimentare la propaganda politica in favore della Cina e screditare gli oppositori attraverso la diffusione di fake news. Questo l’obiettivo di un esteso network di oltre 350 profili social finti nato per delegittimare l’Occidente e rilanciare e promuovere l’immagine del Dragone oltre i confini nazionali.

Chi è finito nel mirino del network cinese

Secondo il report compilato dal Centre for Information Resilience (CIR) e riportato dalla Bbc, la rete avrebbe fatto circolare, tra le tante cose, vignette offensive che vedevano protagonisti il magnate cinese in esilio Guo Wengui, noto per non aver taciuto opinioni controverse sulle strategie adottate dal potere centrale, la scienziata whistleblower Li-Meng Yan che, in un’intervista, aveva sostenuto la tesi secondo cui il Covid-19 fosse stato creato e diffuso intenzionalmente dal governo cinese, e Steve Bannon, ex capo stratega della Casa Bianca durante la presidenza di Donald Trump, promotore di misure restrittive nel libero commercio tra Stati Uniti e Cina. Sono soltanto alcuni dei personaggi che gli account fasulli hanno accusato di aver dato spazio e diffusione a bufale, in particolare in materia di pandemia. Non c’è alcuna evidenza del legame con il governo cinese ma, secondo il Cir, la strategia e i linguaggi adottati sembrano avere parecchie somiglianze con altri network precedentemente oscurati e che, allo stesso modo, si erano fatti cassa di risonanza di una narrativa filocinese simile a quella spinta da canali ufficiali come esponenti politici e media affiliati ai vertici.

Un network di account venduti e hackerati

Alcuni dei profili, sparsi sul Web tra Twitter, Facebook, Instagram e Youtube, pare fossero stati hackerati o venduti: si trattava di account che rispondevano prevalentemente a nomi turchi e che, andando molto indietro nel feed, conservavano ancora i contenuti pubblicati dai proprietari precedenti, ovviamente in una lingua diversa dal cinese. Altri, invece, presentavano foto generate attraverso un’intelligenza artificiale e raffiguravano individui chiaramente inesistenti.

Difficili da tracciare attraverso una ricerca, le immagini manipolate con sistemi di machine learning figurano tra gli strumenti più utilizzati nelle campagne di disinformazione. Nelle sue ricerche, il Cir ha utilizzato differenti tecniche per stanarle, focalizzandosi su particolari come l’allineamento degli occhi, eventuali storture nell’attaccatura dei capelli, strane posizioni dei denti e sbavature improbabili sul viso. Per quanto riguarda il materiale condiviso, invece, si trattava prevalentemente di articoli concernenti temi controversi della politica americana come le leggi sul possesso delle armi e la questione razziale. Tra le tematiche più inflazionate, quella che vede gli Stati Uniti come una nazione poco attenta ai diritti umani. I post generati dai fake citavano l’omicidio di George Floyd o le discriminazioni a carico degli Asiatici e, contemporaneamente, difendevano l’operato cinese negando gli abusi a carico degli abitanti delle regioni dello Xinjiang, etichettandole come una menzogna fabbricata ad hoc da Washington e dall’Occidente.

La scoperta dell’account fake

Mappando gli hashtag adoperati dai sistemi precedentemente scoperti e bannati dal web, il Cir ha rintracciato gradualmente tutti gli account coinvolti nell’operazione, riconoscibili anche dagli argomenti trattati, da username apparentemente generati da un meccanismo casuale e da un numero di follower eccessivamente esiguo. L’organizzazione non era stata lasciata al caso: una parte, infatti, era stata aperta per pubblicare contenuti originali, la restante, invece, solo per condividerli, commentarli e creare engagement, in modo da raggiungere un pubblico sempre più ampio. Una volta terminato lo studio, l’organizzazione lo ha condiviso con i social media coinvolti. Facebook e YouTube hanno rimosso tutti i profili che non rispettavano le linee guida delle loro policy, promettendo di continuare a monitorare la situazione e a bloccare eventuali tentativi di ricomparsa. Anche Twitter si è mosso in questa direzione, eliminando anche i nickname sospetti o che avevano manifestato comportamenti lontanamente analoghi a quelli dei profili finiti nel mirino.

 

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