C’era un tempo in cui si diceva che fosse «più famoso di Mattarella». E invece adesso Fabio Paratici si trova confinato in un limbo d’inattività e insuccesso. Travolto da una serie di eventi che gli hanno ripreso con gli interessi una fortuna accumulata troppo rapidamente e forse anche eccessiva. L’estensione in ambito Fifa dell’inibizione di 30 mesi comminata dal Tribunale federale d’appello della Federazione italiana gioco calcio (Figc), per la vicenda delle plusvalenze sospette della Juventus, lo ha messo fuori dai giochi come amministratore delegato del Tottenham Hotspur. E in attesa di capire se la sua carriera rischi di esserne danneggiata in modo non rimediabile, l’ex Chief football officer (Cfo) della Juve avrà tempo di meditare su tutti i peccati d’immodestia che lo hanno portato a una così spettacolosa caduta. Perché poche altre storie insegnano, quanto la sua, la necessità di avere consapevolezza dei propri limiti e rispettarli tassativamente. Per una pura esigenza di autoconservazione. Ma purtroppo per lui, Fabio Paratici continua a essere raccontato come l’uomo che ha portato Cristiano Ronaldo alla Juventus. E magari, sotto sotto, continua a compiacersene. Ancora preso dai postumi della sbornia da hybris che lo ha portato lì dove si trova adesso. In un limbo che minaccia di durare due anni e mezzo.

L’esame farsa di Suarez e il paragone con… Mattarella
Erano i giorni di ottobre 2020 quando venivano pubblicate le intercettazioni sull’esame-farsa sostenuto all’Università per stranieri di Perugia da Luís Suárez, centravanti uruguaiano a caccia di un passaporto italiano per essere ingaggiato dalla Juventus. E in una di queste il direttore generale dell’istituto universitario si esprimeva sull’allora Cfo juventino mettendolo sullo stesso piano del presidente della Repubblica. Ovvio che in quelle parole vi fosse parecchia esagerazione. Ma del resto, dov’è che non trovereste esagerazione intorno alla figura di Fabio Paratici? Ex calciatore per il quale bisognerebbe rispolverare l’etichetta appioppata da Luciano Bianciardi a Mike Bongiorno («onestamente mediocre»), e poi dirigente specializzato in calciomercato che tale avrebbe dovuto rimanere a vita senza azzardare l’upgrade.

Tirata in ballo l’amicizia con l’ex ministra De Micheli
E invece no, lui esagera. Come nella vicenda perugina, dove il suo ruolo viene descritto come particolarmente attivo. Tanto attivo da portarlo a tirare in ballo amicizie politiche di alto livello come quella dell’allora ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, sua «amica d’infanzia e originaria della stessa città» vicino a Piacenza, dichiarò la stessa dirigente democrat in quei giorni. Stando alla versione ufficiale sui motivi della telefonata fra i due, l’ex dirigente juventino aveva contattato l’ex ministra per risolvere un intoppo burocratico nel quale l’attaccante uruguaiano era rimasto incagliato. Una mossa dalla misura assolutamente sproporzionata rispetto al problema da risolvere, ma che in fondo dice molto a proposito della mentalità e del modus operandi di Paratici. Che evidentemente non conosce le mezze misure e nemmeno quelle intere. Soltanto la dismisura gli s’addice. E ce n’era, di dismisura, in quell’esame che se non fosse per il profilo penale sarebbe stato da sitcom. Con quel riferimento alla cocumella che per settimane è entrato nel linguaggio dei social.

Cresciuto all’ombra di Beppe Marotta
E fra Cocumella e Mattarella si potrebbe scrivere una mazurka per Paratici Fabio, il dirigente calcistico cresciuto all’ombra di Beppe Marotta con cui aveva dato vita a una coppia pienamente affiatata, organizzata secondo un principio della divisione del lavoro che negli anni alla Sampdoria e poi nella prima parte del ciclo aureo juventino aveva funzionato in modo mirabile. Funzionava perché la distribuzione dei compiti era quella giusta per entrambi: Marotta a monte, a sovrintendere al calciomercato occupandosi degli altri aspetti gestionali da amministratore delegato, Paratici a valle a occuparsi soltanto di trattare la compravendita di calciatori. Ciò che faceva anche bene. Ciò che, soltanto, avrebbe dovuto continuare a fare. E invece.

CRSettete: l’«affare del secolo» diventato boomerang
E invece Paratici ha deciso di fare il salto di carriera con mossa freudiana: ammazzare il padre. Che in questo caso era proprio Beppe Marotta, colui che lo aveva inventato come dirigente calcistico. Soprattutto, colui che mai al mondo si sarebbe imbarcato nello sciagurato affare di calciomercato che è stato l’inizio dello sfascio juventino: l’acquisizione di Cristiano Ronaldo, giunta in capo a uno sforzo finanziario che la società bianconera non avrebbe dovuto azzardare. Marotta era contrario, ma il presidente Andrea Agnelli voleva il portoghese e ha trovato in Paratici il fido esecutore. E a quest’ultimo non deve essere parso vero di poter cogliere due obiettivi in un colpo solo: realizzare il cosiddetto «affare del secolo» e fare le scarpe al suo maestro.

Il “Libro nero di FP” stilato dal suo successore Cherubini
Quale sia stata l’eredità lasciata da CR7 al mondo bianconero e ai suoi protagonisti è adesso sotto gli occhi di tutti. E fra gli elementi di maggior spicco in quell’eredità, oltre al Paratici promosso sul campo a svolgere un ruolo nettamente al di sopra delle sue capacità, c’è lo sfascio dei conti da cui è derivata l’urgenza di fare plusvalenze. Anche su quel fronte l’ex braccio destro di Marotta è stato in prima linea. Quanto in prima linea, lo raccontano le intercettazioni e i documenti collezionati dagli inquirenti che vanno a ingrassare gli atti presentati dalla Procura della Repubblica di Torino nel quadro dell’indagine denominata Prisma. A cominciare da quel “Libro nero di FP” stilato dal suo successore in bianconero, Federico Cherubini.

Fumo di Londra: l’avventura poco fortunata al Tottenham
Dunque l’affare di calciomercato che avrebbe dovuto far compiere alla Juventus il salto definitivo nell’élite si trasforma in una zavorra. Sia per il club bianconero che per il suo Cfo. Che non si vede rinnovare il contratto al termine della stagione 2020-21, ma casca in piedi perché trova un ingaggio in Premier League. Lo prende con sé il Tottenham Hotspur, una delle società che pochi mesi prima hanno tentato (al pari della Juventus) la sconsiderata avventura della Superlega per club. E una volta arrivato a Londra il dirigente ex juventino non trova di meglio che battere i circuiti di calciomercato italiani. I soli che conosce.

Per la panchina ingaggia Antonio Conte, che ha appena mollato l’Inter dopo la vittoria del campionato, quindi pesca calciatori in Serie A. E nella Juventus, da cui prende Dejan Kulusevski e Rodrigo Bentancur finanziando di fatto l’acquisizione di Dusan Vlahovic da parte della società bianconera. La prima stagione londinese va abbastanza bene, col Tottenham che conquista il quarto posto e la piazza in Champions League. Ma al seconda, cioè quella in corso, è uno sfascio. Squadra fuori da tutto, Conte che perde il controllo della situazione e di se stesso fino a farsi licenziare, e infine lo stesso Paratici messo out dalla squalifica di marca Figc. Per gli Spurs l’Italian Job è durato a malapena una stagione. Per Paratici rischia di fermarsi a lungo.