Non sono solo canzonette, per niente. All’Eurovision song contest, il vecchio Eurofestival, la musica è molto di più. È cultura, è politica. Oggi è geopolitica, un messaggio potente in tempi di guerra. La dimostrazione lampante risiede nella decisione di espellere la Russia dalla lista dei partecipanti. Dopo l’invasione dell’Ucraina è scattata la sanzione per l’edizione 2022, in programma a Torino dal 10 al 14 maggio. Inizialmente, in realtà, c’era stato un tentennamento degli organizzatori. Poi è scattata l’ondata di indignazione, anche sui social con l’hashtag #EurovisionwithoutRussia, ha spinto a vietare la partecipazioni ai russi (che non non avevano ancora indicato l’artista che si sarebbe esibito nella manifestazione).
Eurovision 2022, i Kakush Orchestra grandi favoriti
Per contro i grandi favoriti sono diventati gli ucraini. I Kalush Orchestra porteranno sul palco il brano Stefania, che già si annunciava tra quelli più interessanti in gara per la vittoria finale. Erano nel novero dei potenziali favoriti, ma il contesto globale sicuramente li spinge più in alto nei pronostici. Il conflitto, insomma, ha messo ulteriormente sotto i riflettori gli artisti, che saranno i portacolori di Kyiv nella rassegna che si svolge in Italia, dopo il successo nello scorso anno dei Maneskin. Dato il clima, al di là dell’esito della rassegna, sono prevedibili iniziative per richiedere lo stop all’attacco da parte di Mosca. Chissà se ci sarà un «fuck Putin», in stile Damiano, ma il palco diventerà un simbolo di pace, confermando la capacità della musica di andare oltre le note e le parole, nonostante il regolamento molto rigido. Per la cronaca, la prima vittoria dell’Ucraina risale al 2004, quando Ruslana trionfò con Wild Dances. La cantante poi sarebbe scesa in piazza nella Rivoluzione Arancione.
Il no dell’Austria all’Eurovision di Madrid contro Francisco Franco e la querelle Grecia-Turchia
Del resto l’ingresso della politica sul palco non è un fatto proprio nuovo. La prima polemica risale al 1969 quando l’Austria si rifiutò di partecipare all’Eurovision di Madrid in opposizione alla dittatura di Francisco Franco. Già l’anno precedente, in solidarietà con la Cecoslovacchia attraversata dalla Primavera di Praga, Vienna scelse come rappresentante il cantante ceco Karel Gott. Le tensioni internazionali tornarono sul palco della kermesse a metà degli Anni 70. La Grecia, presente alla competizione dal 1974, rinunciò più volte a partecipare a causa della presenza della Turchia. La prima nel 1975 contro l’occupazione di Cipro, mentre l’anno successivo fu Ankara a dare forfait per non gareggiare con gli ellenici.

Il nodo di Israele fino al boicottaggio contro Tel Aviv
Nel 1977 si ritirò la Tunisia a causa di presunte pressioni da parte dei Paesi Arabi a non partecipare insieme con Israele mentre nel 1979 fu la ancora Turchia a fare un passo indietro perché la kermesse si sarebbe tenuta a Gerusalemme. Nel 1978, invece, la tv giordana interruppe la diretta per evitare di annunciare la vittoria della canzone israeliana A-Ba-Ni-Bi di Izhar Cohen & Alphabeta. Il giorno dopo diede per vincitore il Belgio. I problemi con lo Stato ebraico non finiscono qui. Nel 2005 il Libano venne squalificato per essersi rifiutato di trasmettere la canzone israeliana. Si arriva poi al 2019. Quell’edizione si svolse a Tel Aviv, perché l’anno precedente aveva vinto Netta, artista israeliana appunto. Insomma, tutto come al solito: chi vince ospita l’appuntamento successivo. Solo che in quei giorni ci fu la richiesta di boicottaggio per difendere la causa dei palestinesi, dopo le tensioni innescate dal lancio di razzi dai Territori. All’appello aderirono artisti dello spessore del musicista Peter Gabriel e del regista Ken Loach. Sul palco salì Madonna, nonostante l’ipotesi ventilata di disertarlo per protesta, lanciando un segnale importante: le bandiere di Israele e Palestina al suo fianco durante l’esibizione. Tra parentesi per l’Italia quell’anno correva Mahmood con Soldi. Si classificò secondo portandosi a casa anche il Composer Award, premio assegnato alla miglior composizione in gara.
Nel 2009 la Georgia non volò a Mosca e nel 2012 l’Armenia si ritirò da Baku per il Nagorno-Karabakh
Anche la Russia ha dato il suo bel da fare all’organizzazione dell’evento. Nel 2009, in piena guerra per il controllo dell’Ossezia del Sud, la Georgia prima si ritirò dall’Eurovision quell’anno in programma a Mosca, poi fece marcia indietro. Infine decise di non partecipare perché le venne chiesto di cambiare il titolo della canzone degli Stephane & 3G We don’t wanna Put in. Nel 2012 fu la volta dell’Armenia che si ritirò dal concorso di Baku, in Azerbaigian, a causa del conflitto per il controllo del Nagorno-Karabakh. Nel 2017, la finale fu ospitata a Kyiv e la Russia non partecipò, perché si rifiutò di sostituire la cantante disabile Yulia Samoilova, che non ebbe dall’Ucraina il permesso di entrare nel Paese poiché si era esibita nella contesa Crimea. Una decisione bollata da Mosca come «obbrobriosa, cinica e inumana». Nel 2014, anno dell’annessione della Crimea, le due cantanti russe, le gemelle 17enni Masha e Nastya furono contestate a Copenaghen. E l’ex pugile Vitali Klitschko, attuale sindaco di Kyiv, invitò a votare per Mariya Yaremtchouk, la rappresentante ucraina per fare un dispetto a Vladimir Putin. Finì che a vincere fu l’austriaca Conchita Wurst.

Il 1990 e i venti di guerra della Jugoslavia
Nel maggio del 1990, con i venti di guerra alle porte, l’Eurovision si tenne a Zagabria in una Jugoslavia attraversata dalle tensioni che l’avrebbero poi portata alla dissoluzione. Fu un’edizione storica. In parte per l’Italia, che vinse con Toto Cutugno, ma soprattutto per l’atmosfera che si respirava: il Muro di Berlino era caduto da pochi mesi e il Paese ospitante stava subendo l’onda lunga di quell’evento storico. Molte delle canzoni, compresa quella vincente di Cutugno (intitolata Insieme 1992), erano concentrate sulla nascente Unione europea. E abbondavano i riferimenti al nuovo mondo che stava nascendo con la fine della barriera che divideva la Germania. Altro momento significativo, oltre al valore musicale, fu il 2004 con il ritorno all’Eurovision alla Serbia e Montenegro dopo il crollo della Jugoslavia. Si trattava della prima apparizione di una delle Repubbliche sorte in seguito allo sfaldamento della Repubblica federale. Ma l’unione è durata il tempo di due edizioni, il referendum per l’indipendenza ha portato il Montenegro alla partecipazione come Paese indipendente. Rendendo la kermesse un termometro di un’Europa in cambiamento, in evoluzione. Fino allo sbocco, inatteso, di rivivere di nuovo tempi di guerra.