Al via Eurovision 2022, l’Eurovision di sede a Torino, e tutti si pongono la medesima domanda: riusciranno Blanco e Mahmood a bissare il successo dei Maneskin e quindi partire per la conquista del mondo? In realtà la domanda da porsi sarebbe un’altra, più pragmatica: Maneskin a parte, chi mai è riuscito a conquistare il mondo, o anche solo l’Europa, a partire dalla vittoria di Eurovision? Domanda pragmatica la cui risposta, mettetevi comodi, potrebbe da una parte far cadere aspettative e sogni a occhi aperti, dall’altra indurre il lettore e riformulare le proprie idee riguardo la centralità di Eurovision nel sistema musica e soprattutto rivedere certe sicurezze adamantine andate formandosi nell’ultimo anno riguardo l’effettivo rilievo che la vittoria di Eurovision 2021 ha avuto nei confronti dell’ascesa dei Maneskin stessi.

Delle 11 ultime edizioni si ricordano solo i Maneskin
Pensiamo agli ultimi anni, da che, cioè, Eurovision è tornato in qualche modo a essere osservato con attenzione anche dal pubblico italiano, diciamo dal 2011 in poi, dopo una pausa di 13 anni durante la quale nessun nostro cantante ha preso parte a quel contest musicale. Dovessimo pensare a un qualche nome di rilievo tra i vincitori di queste 11 edizioni, tante ne sono passate dal 2011 a oggi, troveremmo fatica. A dirla tutta, faticheremmo anche solo a ricordarci i nomi di chi ha vinto queste edizioni, anche in assenza di conseguente fama. Certo, ha vinto Conchita Wurst, questo lo sappiamo, ma lo sappiamo più per la faccenda della barba e dell’abito lungo da donna che per la canzone, di cui ovviamente non ricordiamo neanche il titolo. Ecco, ha vinto anche Salvador Sobral, con la delicata e poetica Amar pelos dois, nel 2017, ma di lui poi ricordiamo solo le tante affermazioni atte a prendere le distanze da una manifestazione con la quale, in effetti, nulla aveva a che fare, lui così lieve e sognante in mezzo a un carrozzone tutto effetti speciali e trovate estremamente trash. Mettimola così, a parte i Maneskin, in effetti, di queste 11 edizioni non sapremmo dire nulla, se non delle partecipazioni dei nostri artisti, la quasi vittoria de Il Volo, la quasi vittoria di Mahmood, il flop clamoroso e imbarazzante di Emma, quello carico di disagio della Michielin e via discorrendo. Come se, quindi, Eurovision a nulla servisse nella carriera di un artista, perché questo ci dicono i fatti. Ma guardando al passato, Eurovision 2022 è tecnicamente la 66esima edizione, qualcosa sembra essere successo, almeno in due o tre casi. Il che, ovviamente, nulla dice a livello statistico, tre su 66 è una percentuale risibile, ma almeno lascia aperto uno spiraglio per Blanco e Mahmood, sempre che poi i nostri due paladini riescano in effetti a bissare la vittoria della band romana, fatta che, stando ai bookmaker, sembra sempre meno possibile.

Sandie Shaw e la vittoria nel 1967 con Puppet on a string
La prima popstar internazionale a essere diventata tale dopo la vittoria di Eurovision è stata Sandie Shaw, vincitrice nel 1967 con la canzone Puppet on a string. Non state lì a sorridere sotto i baffi, se non conoscete Sandie Shaw è perché probabilmente siete troppo giovani per ricordarla, ma sappiate che, ben prima di Joss Stone, Sandie Shaw era divenuta famosa, anche in Italia, per il suo cantare senza scarpe, fatto che l’aveva fatta identificare come la “cantante scalza”. Qualche successo, anche dopo Eurovision, l’ha azzeccato. Ok, diciamo che non siamo partiti coi fuochi d’artificio.
Nel 1974 si impongono gli Abba e la loro Waterloo
Il secondo nome, credo, metterà tutti d’accordo. Nel 1974 Eurovision l’hanno vinto gli Abba, con la strepitosa Waterloo, andando poi a vendere qualcosa come quasi mezzo miliardo di album e divenendo, a ragione, una delle più amate pop band di tutti i tempi. L’ascesa all’empireo della musica leggera del quartetto svedese è partito da lì, su questo nessuno può avere nulla da eccepire, e non a caso Eurovision è molto ma molto amato dal pubblico scandinavo, e più in generale nel Nord Europa. Ecco, gli Abba sono la prova provata che si può vincere Eurovision e diventare star internazionali. Certo, tocca poi avere quel repertorio lì, è vero, ma è pur sempre un buon punto di partenza.

Celine Dion in gara con la Svizzera nel 1988
Altra arista che ha vinto Eurovision e poi non si è più fermata, se non recentemente e comunque per questione extramusicali, è Celine Dion. Certo, Celine Dion è canadese, è vero, ma ha partecipato per la Svizzera nel 1988, e ha vinto, portando la sua Ne partez pas sans moi a essere una hit e comunque lei a essere una artista da 250 milioni di copie vendute, premi a non finire e successo indiscutibile. Poi il grande nulla. Il deserto dei tartari. The Big Nowhere.
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Il paradosso dell’Eurovision
Sandie Shaw, Abba e Celine Dion. Siamo a tre, toh, se proprio non vogliamo considerare Sandie Shaw una star assoluta, a due. Più i Maneskin fanno tre. Tre artisti che hanno trovato il successo grazie a Eurovision su 66 edizioni, magari non proprio un’equazione automatica, un “passi di lì e diventi sicuro famoso”, ma meglio di niente. Il fatto è, e qui c’è davvero qualcosa di inspiegabile, che il resto d’Europa, almeno tutta quella che si trova sopra l’Italia e il Mediterraneo, guarda a Eurovision come a qualcosa di serio, centinaia di milioni di spettatori che non se lo perderebbero per nulla al mondo. Ma ciò nonostante i cantanti che ci passano poi non vendono, non fanno tour mondiali, non diventano star. Noi, almeno fino a ieri, lo guardavamo ridendo, come a chi osserva col sorriso stampato in bocca qualcosa di buffo, scomposto, trash. Poi ci siamo autoconvinti che fosse l’Eldorado, il famoso trampolino di lancio cui chiunque potrebbe aspirare, cui chiunque dovrebbe aspirare. Quest’anno, dicono i maligni, vincerà l’Ucraina, perché la guerra, perché due anni di fila l’Italia no, per motivi che fuggono alla logica. Di una cosa siamo certi, parafrasando il vecchio slogan coniato da Chiambretti a Sanremo, comunque vada sarà insuccesso. Poi chiaro, sempre e comunque vinca il migliore, tocca solo capire migliore a fare cosa.