Dieci partecipazioni alla fase finale, una sola vittoria. Score non esaltante quello della Nazionale italiana agli Europei, a cui vanno aggiunte due finali perse (una per un soffio, l’altra malamente). L’unico trionfo azzurro risale al lontano 1968, con gli italiani incollati alla tivù in bianco e nero, in un’edizione segnata da due particolarità: semifinale vinta alla monetina e vittoria nella finale ripetuta. Ma andiamo con ordine.
Da Albertosi a Mazzola, da Rivera a Riva: gli uomini che fecero l’impresa
Negli Anni 60 il format del campionato europeo di calcio era diverso da quello di oggi. Alla fase finale, ospitata in una singola nazione, partecipavano appena quattro squadre: prima c’erano i gironi eliminatori, introdotti proprio nel 68, poi i quarti di finale con partite di andata e ritorno. Superate agilmente Romania, Svizzera e Cipro nel girone, l’Italia domò a fatica la Bulgaria nei quarti e si qualifica per la fase finale, che l’Uefa assegnò proprio al nostro Paese. 5-8 giugno 1968, quattro gare in tutto (almeno in teoria), semifinali a Napoli e Firenze, finali a Roma. L’Italia giocava in casa, vero, e il ct Ferruccio Valcareggi aveva in mano un ottimo materiale umano (Albertosi, Facchetti, De Sisti, Rivera, Mazzola, Riva su tutti) ma veniva anche dall’umiliazione subita al Mondiale del 1966 dai “ridolini” della Corea del Nord: fiducia, ma anche piedi di piombo.
La semifinale con l’Unione sovietica vinta con la monetina
Nella semifinale di Napoli, l’Italia affrontò l’Unione Sovietica. Non c’era più il leggendario Lev Ivanovič Jašin in porta, ma gli avversari erano comunque agguerriti. E infatti la partita si trascinò sullo 0-0 fino al termine dei tempi supplementari. Rigori? No, perché all’epoca non erano previsti. L’arbitro tedesco Kurt Tschenscher convocò i capitani delle due squadre negli spogliatoi: si sarebbe andati al sorteggio con la moneta da 100 lire. Il San Paolo trattenne il fiato. È l’esultanza di Facchetti, quando tornò in campo dopo il verdetto, fece capire al pubblico che gli Azzurri erano volati in finale.
La prima finale con la Jugoslavia finita in pareggio
Tra l’Italia e la Coppa Henri Delaunay c’era “solo” la Jugoslavia, formazione ricca di talento che a Firenze aveva avuto la meglio sull’Inghilterra campione del mondo. Gli slavi erano ricchi di talento e nella finale dell’8 giugno andarono in vantaggio al 39esimo con Dragan Džajić (capocannoniere del torneo). Gli Azzurri temettero di non farcela, barcollarono, ma gli avversari non riuscirono nel ko. Spinti da un Olimpico gremito, agguantarono così il pareggio a 10 minuti dal termine, grazie a Angelo Domenghini. Si andò ai supplementari inutilmente. Monetina? No, per la finale il regolamento prevedeva la ripetizione.
L’intuizione di Valcareggi e la vittoria azzurra per 2 a 0
Italia e Jugoslavia si ripresentarono due giorni dopo, il 10 giugno, in un Olimpico questa volta pieno a metà. Erano passate meno di 48 ore dalla fine del match precedente, ma il commissario tecnico jugoslavo Rajko Mitić confermò in blocco la formazione della prima finale. Valcareggi invece capì che servivano energie fresche e cambiò mezza squadra: fuori Prati, Castano, Ferrini, Juliano e Lodetti, dentro Riva, Salvadore, Rosato, De Sisti e Mazzola. Una rivoluzione che pagò: al 12esimo l’Italia era già in vantaggio con Riva, da lì a poco “Rombo di Tuono”, e al 31esimo segnò il definitivo 2-0 con Anastasi, che aveva debuttato in azzurro appena due giorni prima. «Signori all’ascolto, qualunque cosa ora dicessi stonerebbe di fronte allo spettacolo che si sta svolgendo ora all’Olimpico, spettacolo che ci porta alla commozione… Perché, dopo30 anni, la Nazionale italiana raggiunge un titolo internazionale! Ecco Facchetti cha alza, per l’applauso degli spettatori dell’Olimpico, la Coppa d’Europa per Nazioni!», così Martellini concluse la sua telecronaca ai microfoni Rai, in quella notte di giugno di 53 anni fa.