Dalle polemiche sullo stadio arcobaleno, al cuore di Goretzka sbattuto in faccia ai tifosi ungheresi, passando per la questione dell’inginocchiamento e la maglia dell’Ucraina. Anche Euro 2020, malgrado gli sforzi non è riuscito a tenere il pallone lontano dalla politica. Sono infatti bastati 13 giorni di partite per assistere a battaglie sociali e civili sempre più marcate, ecco le principali.
Inginocchiarsi sì o no?
Il gesto di inginocchiarsi durante l’inno nazionale americano fu introdotto dal giocatore di football americano Colin Kaepernick nel 2016, per protestare contro il razzismo nei confronti della comunità afroamericana. La sua presa di posizione fece il giro del mondo, ingigantita anche dalla circostanza che, successivamente il quarterback non ha più trovato squadra in Nfl. Nel 2020, dopo l’uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis, il gesto si è legato indissolubilmente al movimento Black Lives Matter: gli atleti di tutti gli sport americani hanno iniziato a inginocchiarsi prima delle partite, e nel calcio la pratica ha preso piede soprattutto in Premier League. Proprio per questo, e considerato che anche nel Regno Unito, nello stesso periodo, sono iniziate dure proteste da parte della comunità nera, le squadre inglesi hanno continuato a inginocchiarsi per tutta la stagione, nonostante qualche voce contraria (tra queste, quella di Wilfred Zaha del Crystal Palace, che si è detto «orgoglioso di essere nero» ma che ha deciso di non inginocchiarsi più).
In questo Europeo le selezioni britanniche hanno tutte fatto il gesto prima del fischio iniziale, mentre quelle dell’Est Europa – soprattutto Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia – si sono rifiutate. Quanto agli Azzurri, a dire il vero, la questione non era mai stata affrontata pubblicamente: per questo, prima dell’inizio della gara contro il Galles, alcuni hanno deciso di inginocchiarsi e altri, forse presi di sorpresa, non l’hanno fatto. Per la partita contro l’Austria da giocare a Wembley, invece, l’Italia ha deciso di rimanere in piedi, dopo che il gruppo ne ha discusso a Coverciano in questi giorni. Leonardo Bonucci spiegherà il perché il conferenza stampa.
Arena arcobaleno
Con l’approvazione, da parte del Parlamento ungherese, di una norma che vieta la diffusione di materiale che promuove l’omosessualità e il cambio di genere ai minori di 18 anni, la nazionale magiara è diventata il bersaglio delle rivendicazioni da parte della comunità Lgbt. Per questo il comune di Monaco, prima della partita tra Germania e Ungheria, ha chiesto di illuminare l’Allianz Arena – dove si sarebbe svolto il match – con i colori dell’arcobaleno: inizialmente sembrava che la Uefa, che non aveva punito la fascia con gli stessi colori indossata dal tedesco Manuel Neuer, avesse avallato la proposta, poi nelle ore successive è arrivato un secco “no”. Quindi la spiegazione, classico caso di “toppa peggiore del buco”: «La Uefa rispetta l’arcobaleno, un simbolo che incarna i nostri valori e che serve a promuovere tutto ciò in cui crediamo. Alcuni hanno interpretato il nostro rifiuto come una scelta “politica”. Al contrario, la richiesta in sé era politica, legata alla presenza della nazionale ungherese nello stadio».
In pratica, la Uefa ha spiegato che se la richiesta fosse stata fatta senza citare gli ungheresi, avrebbe accettato. Così, invece, l’assenso avrebbe “politicizzato” la partita, circostanza che la Uefa non permette perché “politicamente neutrale”. Anche per questo motivo, il premier ungherese Viktor Orban ha deciso di non presentarsi allo stadio. In ogni caso, le bandiere arcobaleno hanno riempito i settori occupati dai tifosi tedeschi, e durante l’inno nazionale ungherese un manifestante ha sventolato lo stesso vessillo in faccia ai giocatori magiari. Dopo il gol del 2-2, infine, Leon Goretzka della Germania ha rivolto un cuore ai tifosi ungheresi, il cui gruppo più “caldo” è notoriamente di estrema destra. Lo stesso Goretzka, prima dell’inizio degli Europei, era stato il testimonial dell’iniziativa “Niente calcio per i fascisti”.
La maglia della discordia
Ne abbiamo parlato più approfonditamente qui, ma vale la pena ricordarlo: a inizio torneo l’Ucraina aveva presentato la nuova maglia, su cui era disegnata la silhouette della nazione con la regione della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014. Insieme al disegno, anche la scritta «Gloria all’Ucraina», canto dei manifestanti, oppositori del presidente filorusso Yanukovich, raccolti per giorni in Piazza Maidan nel febbraio di quell’anno. La Uefa, visto il carattere politico dello slogan e della grafica, ha imposto alla nazionale di Shevchenko di coprire i due “messaggi”.
Gli insulti razzisti
Succede poi che spesso, in campo, si trovino squadre che rappresentano nazioni in passato in guerra tra loro. Accade, per esempio, ogni volta che si incontrano le nazioni della ex Jugoslavia. Ma non solo, perché i “figli” dell’emigrazione dai Balcani sono ovunque, e giocano nelle nazionali più diverse. Nella partita tra Austria e Macedonia del Nord del 13 giugno, dopo aver segnato il gol del 3-1 per gli austriaci, Marko Arnautovic, di padre serbo, si è rivolto al macedone Alioski, insultandolo per le sue origini albanesi e facendo dei gesti tipici dei nazionalisti serbi. Dopo un messaggio di scuse apparso sui social dell’ex attaccante dell’Inter («Chiedo scusa ai miei amici della Macedonia del Nord e dell’Albania. Non sono razzista. Ho amici in quasi tutti i paesi e sostengo la diversità. Tutti quelli che mi conoscono lo sanno») è arrivata la “punizione” della Uefa, che lo ha squalificato per una giornata. Senza però citare il razzismo, perché altrimenti il giocatore sarebbe stato espulso dal torneo.
UPDATE | @UEFA has banned Austrian footballer Marko Arnautovic for one game, after he allegedly celebrated his goal at the #EURO2020 with an anti-Albanian insult during Austria's win over North Macedonia on Sunday.
Background:https://t.co/95r3zO75XM
— Balkan Insight (@BalkanInsight) June 16, 2021