La linea d’Ambro
Il neo commentatore tecnico di Dazn ed ex centrocampista di Milan, Fiorentina e della nazionale fa il punto sull'Europeo appena trascorso: «Italia perfetta, ha vinto la squadra con il gruppo più forte».
Dopo 53 anni siamo di nuovo campioni d’Europa. Una vittoria meritata quella azzurra, perché l’Italia ha lavorato con cuore, coraggio e lungimiranza fin dal primo giorno della gestione Mancini. I meriti del ct sono enormi, infiniti, è persino difficile trovare l’aggettivo giusto: ha avuto il coraggio di credere nelle proprie idee, personalità nel portarle avanti, la capacità di entrare nella testa dei giocatori e trasmettere loro i concetti di un calcio moderno. Una rivoluzione, al di là della vittoria finale. Per quanto riguarda i calciatori, Roberto ha avuto la fortuna, se così si può definire, di trovare un gruppo di uomini seri, con dei valori: da subito si è avvertito nell’aria che l’Italia potesse fare qualcosa di speciale.
L’Italia, una nazionale perfetta
Nel calcio bisogna creare le condizioni per vincere. Per quanto si cerchi di essere meticolosi, ci sono incognite imponderabili, su cui non si può lavorare. Anche per questo bisogna farlo su ciò che si è in grado di controllare e la Nazionale, in questo senso, è stata perfetta. Oltre che calciatore azzurro, sono stato capo delegazione dell’Under 21 all’Europeo 2019: so anche cosa vuol dire vivere dall’altra parte, all’interno di un gruppo di lavoro – soprattutto in momenti di condivisione totale com’è il ritiro di una Nazionale – in cui si sta insieme 24 ore su 24. I giocatori assorbono tutto quello che c’è attorno e creare le condizioni affinché si dia loro indietro qualcosa è sempre un valore aggiunto. In questo, Roberto e il suo team sono stati impeccabili. Ora, dopo le delusioni delle ultime edizioni, all’orizzonte ci aspetta un altro Mondiale, ma prima di guardare avanti, voltiamoci, prendiamoci tempo per riflettere sul lavoro fatto, dando ad esso il valore che merita.
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Wembley, una finale approcciata male
Per quanto riguarda la finale di Wembley, è stata sicuramente approcciata male. E non solo per il gol subito dopo un paio di minuti. Il 3-4-2-1 inglese ha creato molti problemi, con Sterling e Kane accorciati poco dai nostri, mentre gli estremi larghi rimanevano liberi di attaccare. Nonostante ciò, l’Italia non si è disunita e alla fine ha creato una buona mole di gioco, senza subire più un tiro in porta. Azzeccata la mossa di Mancini, che a un certo punto della gara ha tolto il centravanti e con lui ogni punto di riferimento per la difesa dell’Inghilterra. Chiesa si è confermato giocatore di livello mondiale, ha un motore diverso dagli altri e il fuoco dentro, che sta imparando a gestire. Jorginho in mezzo al campo è un cervello, Chiellini monumentale: quando pensi che sia in calo, riesce sempre che dimostrarsi incredibile in marcatura. La grande sorpresa dell’avventura azzurra, però, è stato Spinazzola, commovente non per l’infortunio, ma per quanto fatto in campo.
La difesa a tre, una costante dell’Europeo
Dal punto di vista tattico, è stato l’Europeo dei sistemi di gioco cambiati in corsa, con un’accentuata tendenza a difendersi a tre, che però non sempre ha pagato, come dimostra la Francia. Il torneo, per rimanere sui Blues, ha visto squadre basate sulle individualità più di quanto non avvenisse in passato. E quando queste hanno faticato, sono andate avanti le nazionali più compatte, con più collettivo. Nelle grandi competizioni non sempre va così, perché spesso sono i campioni a decidere le sfide: a vincere Euro 2021 è stata la squadra più organizzata e che ha indiscutibilmente praticato il calcio migliore. La Danimarca dal punto di vista della proposta ha fatto vedere spunti interessanti, la Spagna è cresciuta nella competizione e sicuramente è stato l’avversario più duro e forte incontrato dall’Italia. Merita una citazione la Svizzera, che è andata oltre le sue capacità, lottando, soffrendo e ribaltando gare contro avversari superiori. Oltre alla Francia mi ha deluso il Portogallo, che ricco com’era di talento avrebbe potuto giocare meglio, invece si è limitato a speculare sugli avversari.
L’europeo itinerante, una formula da rivedere
Qualche parola, infine, sul formato itinerante di Euro 2020. Ho vissuto sia da giocatore che da commentatore altre edizioni, ospitate da una o al massimo due nazioni. Le preferisco, a mio avviso non c’è paragone. In condizioni normali, le tifoserie mischiate allo stadio vivono l’esperienza in modo paritario, andando in trasferta in un solo Paese ospitante. È una formula vincente anche per le squadre, perché nessuna ha vantaggi logistici, mentre stavolta è innegabile che non sia andata così. Le undici sedi diverse hanno tolto fascino all’evento. Ma sia ben chiaro: l’Italia avrebbe vinto con qualsiasi formato.