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Euro2020

Secondo tempo

Mancini, Luis Enrique, Southgate e Shevchenko. Da giocatori non hanno mai vinto nulla in nazionale: questo Europeo, però, può cambiare la storia, almeno per uno di loro.

2 Luglio 2021 17:462 Luglio 2021 23:06 Nicolò Delvecchio
I quattro ct, da giocatori, non hanno mai vinto nulla al di fuori dei club: questo Europeo può essere un'occasione per cambiare la storia

Hanno vinto tanto e si sono tolti grandissime soddisfazioni. Coi club, però, non in nazionale. I commissari tecnici “superstiti” di questo Europeo sono otto, ma in quattro hanno un passato calcistico di primissimo piano. Oggi offrono sistemi di gioco diversi, alcuni allenano da più tempo e altri da meno, ma tutti loro hanno una cosa in comune: Roberto Mancini, Luis Enrique, Gareth Southgate e Andriy Shevchenko da calciatori non hanno mai vinto nulla con la propria nazionale. E se l’ucraino, quello che ha avuto la carriera migliore, ha la “scusante” di non aver avuto mai una selezione alla sua altezza, per gli altri non si può dire lo stesso. Questo Europeo, per almeno uno di loro, potrebbe rappresentare l’occasione di riprendere in panchina quanto è sfuggito in campo.

Roberto Mancini, mai feeling con l’Azzurro 

Gli abbracci meravigliosi tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli, dopo i gol rifilati dall’Italia contro l’Austria, hanno riportato alla mente i giorni in cui i due, negli anni ’90, segnavano e vincevano con la maglia della Sampdoria. L’attuale commissario tecnico azzurro è stato un giocatore meraviglioso, che pur avendo vinto tanto ha forse raccolto meno di quanto seminato. Ma, se rimaniamo alla carriera con i club, due Scudetti, sei Coppe Italia, due Supercoppe italiane, due Coppe delle Coppe e una Supercoppa Uefa viene fuori una bacheca niente male. E, ai trofei, vanno aggiunti anche 204 gol. Tutto bello, sì, ma in Azzurro Mancini non ha inciso mai: convocato per la prima volta da Bearzot, nel 1984, fu cacciato da una tournee in Nord America dopo un litigio con il ct campione del Mondo, che non lo chiamò più («Aspettavo solo le tue scuse», gli dirà dopo). Con Azeglio Vicini in panchina le cose cambiarono, almeno per un po’: Mancini segnò la sua prima rete contro la Germania Ovest, all’Europeo del 1988 ma poi, offuscato da Giuseppe Giannini, trovò sempre meno spazio ed entrò in rotta di collisione anche col nuovo commissario tecnico. Convocato per i Mondiali del 1990, quelli italiani, non scese in campo per nemmeno un minuto. Nel 1993, dopo aver segnato tre gol nelle qualificazioni per i Mondiali degli Stati Uniti, Arrigo Sacchi gli preferì Gianfranco Zola e non lo convocò per la fase finale della competizione. In totale, lo score di Mancini in Nazionale è di 36 presenze e 4 gol, pochissimo per chi ha illuminato i campi italiani ed europei per quasi 20 anni.

Luis Enrique, Furia Rossa ma non troppo

Pur avendo giocato per cinque anni col Real Madrid, Luis Enrique, centrocampista dalle grandi doti fisiche e fortissimo di testa, è diventato un simbolo del Barcellona. Nei blaugrana ha militato per otto stagioni, e in Catalogna ha vinto gli unici trofei europei della sua carriera (la Coppa delle Coppe e la Supercoppa europea nel 1997). A questi vanno aggiunti tre campionati, tre Coppe del Re e due Supercoppe, titoli vinti con entrambe le big del calcio spagnolo. Con la Nazionale, nonostante l’ottimo talento complessivo della rosa, i risultati sono stati miseri: ai Mondiali del 1994 la Roja uscì ai quarti contro l’Italia, e l’attuale ct si beccò una dolorosissima gomitata da Mauro Tassotti, che gli provocò la rottura del setto nasale. Agli Europei del 1996 una nuova eliminazione ai quarti, questa volta per mano dell’Inghilterra, mentre ai Mondiali del 1998 la Spagna non riuscì a superare i gironi. Assente a Euro 2000, nel 2002 fallì ancora l’approdo in semifinale, con la nazionale eliminata dalla Corea del Sud ai rigori. In totale, 68 presenze, 12 gol e capitano in due occasioni con le Furie Rosse, ma solo tante delusioni in termini di risultati. A meno che non si voglia considerare l’oro olimpico di Barcellona 1992, vinto insieme a Guardiola. Troppo poco.

Gareth Southgate e quel rigore maledetto

Tra tutti quelli citati, il commissario tecnico dell’Inghilterra è quello che ha avuto la carriera meno esaltante: tre squadre (Crystal Palace, Aston Villa e Middlesbrough) e appena due trofei, le Coppe di Lega vinte con Villans e Boro nel 1996 e nel 2004. Nonostante tutto, però, Gareth Southgate è stato un elemento importantissimo per i Tre Leoni, avendo partecipato a due Europei e un Mondiale: in totale, l’ex difensore ha giocato 57 partite, con 2 gol, con la nazionale, ed è tutt’ora il giocatore dell’Aston Villa con più presenze in assoluto nell’Inghilterra. Il momento peggiore della carriera è però legato proprio a un Europeo, quello del 1996 giocato in casa. Il torneo del Football’s Coming Home, quello che si pensava avrebbe riconsegnato un titolo agli inventori del football a trent’anni di distanza dal primo, e unico, Mondiale vinto. Dopo il passaggio del turno nel girone con Svizzera, Scozia e Olanda, l’Inghilterra di Terry Venables sconfisse la Spagna (di Luis Enrique) ai quarti, e in semifinale si ritrovò la Germania. Ai rigori, fu proprio Southgate a sbagliare il tiro decisivo e a spalancare ai tedeschi la porta della finale, e del terzo titolo Europeo della storia.  Non migliori le esperienze ai Mondiali 1998 (Inghilterra ancora fuori ai rigori, agli ottavi contro l’Argentina) e agli Europei 2000, in cui i Tre Leoni furono eliminati ai gironi.

Andriy Shevchenko, il più forte

Riassumere la carriera di Andriy Shevchenko in poche parole è impresa complicata, ma ci proviamo. I 60 gol segnati in 5 anni con la Dinamo Kiev gli valsero, nel 1999, la chiamata del Milan di Berlusconi. In rossonero, in sette stagioni, vinse uno Scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, una Champions League – con rigore decisivo segnato nella finale contro la Juventus – e una Supercoppa europea. Sembra poco? Continuiamo: nel 2004 diventò il primo ucraino dopo Oleg Blochin (1975) a vincere il Pallone d’Oro, anche se il predecessore lo sollevò sotto la bandiera dell’Unione sovietica. Con 175 gol, poi, è il secondo miglior marcatore nella storia del Milan, dietro solo a Gunnar Nordahl, e per due volte (1999-2000 e 2003-04) vinse il titolo di capocannoniere della Serie A. E poco importa che la seconda parte di carriera sia stata sottotono, compreso un dimenticabile ritorno in rossonero nel 2008. Shevchenko è stato tra i migliori attaccanti al mondo della sua generazione, senza discussione. Peccato che in nazionale non abbia mai potuto brillare: l’Ucraina non ha mai avuto selezioni all’altezza del talento del suo numero 7, e il punto più alto dal 1992 – cioè da quando esiste la nazionale – è stato il raggiungimento dei quarti di finale ai Mondiali 2006, fuori dopo un secco 3-0 subito dall’Italia, poi campione. Questo fino a ora: Sheva (che è anche il miglior marcatore, con 48 gol) è il ct dal 2016, e dopo l’eliminazione ai gironi a Euro 2016, ora “vede” la semifinale. Per togliersi quelle soddisfazioni che, da calciatore, non ha mai potuto raggiungere.

Tag:Europei2020
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