Belzemmour
Si è aperto a Parigi il processo a carico del polemista di estrema destra accusato di complicità in istigazione all'odio razziale. Aveva definito i migranti minori non accompagnati «ladri, assassini e stupratori». Ma per lui non è la prima volta. Tutte le beghe legali del non ancora candidato all'Eliseo.
Si è aperto a Parigi mercoledì 17 novembre il processo a Éric Zemmour, ancora non ufficialmente candidato alle Presidenziali della prossima primavera. È accusato di complicità in istigazione all’odio razziale e offese razziste. Al centro del dibattimento alcune dichiarazioni che il polemista di estrema destra fece durante un talk show sull’emittente CNews nel settembre 2020 quando definì i migranti minori non accompagnati «ladri, assassini e stupratori». «Non sono nient’altro che questo», aggiunse Zemmour. «Bisogna mandarli via e non devono nemmeno arrivare». Per queste parole CNews, del gruppo Vivendi, era stata multata con una sanzione da 200 mila euro.
Marine Le Pen: «Al cospetto di Zemmour sembriamo seri e pronti a governare»
Zemmour non è certo nuovo alle aule di tribunale. Già il 25 settembre 2020 infatti era stato condannato dal tribunale di Parigi a pagare una multa di 10 mila euro per ingiuria e incitamento all’odio nei confronti dei musulmani e dei migranti. A causa dei suoi commenti in apertura del convegno di destra organizzato il 28 settembre 2019 dall’area vicina a Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen. E proprio la leader del Rassemblement National alla domanda se tema o no il giornalista che potrebbe darle del filo da torcere al primo turno, ha risposto a Repubblica: «Al suo cospetto, noi sembriamo ragionevoli, seri, più pronti a governare». Aggiungendo: «Zemmour mi ricentra».
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Zemmour dunque si può definire recidivo. Come ricostruisce Libération, la sua prima volta in tribunale risale al 2011, quando era editorialista de Le Figaro. Su RTL dichiarò: «La maggior parte dei trafficanti sono neri e arabi», aggiungendo con convinzione: «È così, questi sono i fatti». Parole giudicate discriminatorie dalle associazioni anti-razziste che lo trascinarono in giudizio. Poco prima dell’udienza, Zemmour incassò l’appoggio inaspettato di Jean-Pierre Chevènement, detto il Che, tra i fondatori del Partito socialista, fondatore del Movimento dei cittadini (Mouvement des citoyens), dal 2003 presidente onorario del Movimento Repubblicano e Cittadino, già ministro del governo di Pierre Mauroy, sotto la presidenza Mitterand, e con Lionel Jospin, sotto la presidenza Chirac. «Senza dubbio Zemmour», lo giustificò Chevènement, «nell’impeto della discussione, ha utilizzato formule eccessivamente brutali ma nella sostanza non ha detto qualcosa di inesatto». L’appoggio del Che in quel caso non fu sufficiente: Zemmour venne riconosciuto colpevole di istigazione all’odio razziale e condannato a pagare una multa di 1.000 euro. Dopo la conferma in appello, nel 2019 il suo ricorso venne rigettato in Cassazione. L’avvocato del giornalista ha però confermato qualche mese fa che il dossier è ancora aperto e un nuovo ricorso è stato accettato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Zemmour contro le «bande di ceceni, rom, magrebini e kossovari»
Nel 2014 Zemmour ci ricadde. In una rubrica su RTL se l’era presa con «bande di ceceni, di rom, di kossovari, i magrebini e di africani che rubano e violentano». «Solo società omogenee come il Giappone, avendo rifiutato a lungo l’immigrazione di massa e protette da barriere naturali (…), sfuggono a questa violenza di strada». In quel caso però non ci furono conseguenze legali perché l’oggetto della tirata secondo i giudici non erano le comunità bensì gruppi.
L’intervista del 2014 al Corriere della Sera
Nel curriculum di Zemmour è finita anche un’intervista al Corriere della Sera del 31 ottobre 2014 in cui il giornalista affermava: «I musulmani hanno un loro codice civile, è il Corano. Vivono tra di loro, nelle periferie. I francesi sono stati costretti ad andarsene». Anche in quel caso ebbe qualche guaio ma alla fine fu assolto perché non c’era alcuna prova che sapesse che il quotidiano fosse pubblicato in Francia. Nel 2016, in una trasmissione su France 5, disse invece che la Francia «aveva subito per 30 anni una invasione» islamica e che era il teatro di una «jihad» volta a «islamizzare» il Paese. Parole che per la loro violenza gli costarono 5000 euro di multa. Sentenza confermata in appello, ma anche in questo caso Zemmour si è rivolto alla Corte europea che non si è ancora espressa. Nel 2019 Zemmour arrivò a dire che Pétain aveva «salvato» gli ebrei francesi. Per i giudici però le dichiarazioni erano state rese a bruciapelo durante un dibattito sulla guerra in Siria e quindi non ci furono conseguenze legali.
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La strumentalizzazione degli attentati del 2015
Infine durante una conferenza stampa improvvisata davanti al Bataclan lo scorso 13 novembre, anniversario degli attentati del 2015, Zemmour ha puntato il dito contro François Hollande: «L’ex presidente ha ammesso di essere a conoscenza di terroristi infiltrati tra i migranti e non ha fermato il flusso degli arrivi. Quindi Hollande non ha protetto i francesi prendendo la decisione criminale di lasciare aperte le frontiere». Un attacco che ha provocato la dura reazione delle associazioni delle vittime che lo hanno accusato di aver profanato e strumentalizzato il momento. Per non parlare del parallelo suggerito tra il terrorista Mohammed Merah e i bambini ebrei che uccise nella scuola Ozar Hatorah a Tolosa nel 2012: in entrambi i casi, le famiglie chiesero la sepoltura all’estero, in Algeria per Merah e in Israele per i piccoli. «Assassini o innocenti, carnefici o vittime non scelgono la Francia, restano stranieri e vogliono restarlo anche dopo la morte», ha scritto nel suo ultimo libro La France n’a pas dit son dernier mot. Tra l’altro, ma anche qui la giustizia non c’entra nulla, nell’aprile 2020 in pieno lockdown Zemmour replicò a un cronista italiano sostenendo che «l’Italia non esiste, non è mai esistita, non è una nazione e voi (italiani, ndr) dovreste essere francesi. Se Napoleone avesse vinto, sareste francesi». E se lo dice lui.