Pd, tutti gli errori e le contraddizioni di Enrico Letta

Paola Alagia
19/09/2022

La campagna dem è stata (quasi) tutta sbagliata. La prudenza sui diritti civili, il M5s dato per spacciato troppo in fretta, l'intesa con Fratoianni e Bonelli che erano contro l'agenda Draghi, il dietrofront su Rosatellum e Jobs act. Ora a Letta non basta appellarsi al voto utile.

Pd, tutti gli errori e le contraddizioni di Enrico Letta

Tra scivoloni, gaffe e retromarce, da quando ha chiuso le liste, il Nazareno non ha avuto più pace. E adesso ci si mette pure il fuoco amico. Mentre ormai mancano una manciata di giorni al voto, infatti, persino la senatrice di +Europa Emma Bonino alza la voce sull’alleato: «Il Pd non ha mai avuto grande attenzione ai diritti civili», ha detto ieri a Radio anch’io. E poi ancora: «Continua ad avere posizioni sempre molto prudenti per non dire di peggio». Ma Bonino a parte, tirando le somme, si può concludere che il Partito democratico si è complicato la vita da solo, con scelte e posizioni maturate tra le mura della “ditta” di un tempo. E menomale che lo scopo del segretario Enrico Letta era quello di mandare messaggi chiari, invitando gli elettori a «scegliere»: talmente si è immedesimato nella grafica del claim d’apertura della sua campagna elettorale (le proposte dem su uno sfondo rosso, contrapposte a quelle degli avversari su sfondo nero) che, a furia di semplificare, ha finito col confondere le acque. E così oltre l’autoironia del suo stesso meme con pancetta da un lato e guanciale dall’altro (e la sua netta scelta di campo sulla carbonara per il «guanciale tutta la vita»), a un pugno di giorni dal voto, sul campo resta solo una prateria di contraddizioni e nonsense.

Pd, tutti gli errori e le contraddizioni di Enrico Letta
Il segretario del Pd Enrico Letta. (Getty)

Il M5s dato per morto un po’ troppo in fretta

L’ultimo in ordine di tempo, che tra l’altro ha il sapore di un vero e proprio autogol, è solo di qualche giorno fa. «Con Fratoianni e Bonelli accordo per la difesa della Costituzione, non faremo il governo insieme», ha detto l’inquilino del Nazareno durante il confronto con la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni su Corriere.it. Parole che non hanno fatto piacere agli alleati, in primis al leader Verde Angelo Bonelli: «Non siamo qualcosa di cui vergognarsi». 

Senza contare, tra l’altro, che a sinistra il campo “ristretto” al solo asse con VerdiSinistra italiana è anch’esso nato su basi contraddittorie. Il Pd ha chiuso le porte al M5s, in nome del tradimento cinque stelle al governo Draghi, per aprirle a Nicola Fratoianni che ha convintamente occupato i banchi dell’opposizione. «Una campagna tutta sbagliata fin dall’inizio», si è sfogato un dem deluso con Tag43. «L’errore è stato dare per spacciato il Movimento, diciamo la verità. E invece abbiamo dato a Giuseppe Conte nuova linfa vitale». Non solo, la stessa fonte ha rimarcato inoltre un errore tattico: «Abbiamo chiuso le liste troppo presto, dando un ulteriore vantaggio al campo avversario».

 Se è per questo, le bordate a Letta arrivano anche dall’esterno del perimetro piddino. Il leader di Italia viva, Matteo Renzi, è tra quelli che non hanno lesinano critiche finora. Il senatore di Rignano, infatti, non ci ha girato intorno: «Il Pd sta facendo campagna per la Meloni, sta lavorando a tempo pieno per lei».
 Di sicuro la scelta di demonizzare l’avversaria, sbandierando il rischio democratico, non pare si sia rivelata una strategia vincente. L’attacco anacronistico sul fascismo, del resto, non ha attecchito. E la retromarcia è stata inevitabile: «La democrazia non è a rischio se vince la destra, ovviamente. Il nostro sistema regge e reggerà», ha precisato il segretario il 7 settembre ai microfoni di Rtl 102.5.

Pd, tutti gli errori e le contraddizioni di Enrico Letta
Enrico Letta. (Getty)

Ma quale voto utile, ormai lo scenario va in un’altra direzione

E che dire dell’appello al voto utile, tra l’altro da sconfitto quasi predestinato? Si tratta di un richiamo che in generale irrita l’elettore di sinistra e che a maggior ragione non ha presa di fronte a una narrazione che vede il centrodestra come probabile vincitore. Uno scenario che inevitabilmente fa pendere la bilancia verso un voto d’opinione. Non a caso, stando agli ultimi sondaggi pubblicati, crescono da un lato il Terzo polo e dall’altro il Movimento. Ma tant’è, per Letta c’è solo una strada «per fermare la destra»: scegliere il Pd e la sua coalizione. Peccato che l’appello alquanto remissivo del leader dem si sia limitato a questuare un 4 per cento in più con lo scopo di «tenere la destra sotto il 55 per cento e di rendere la partita contendibile». Della serie: siccome non posso vincere, punto almeno a limitare i danni. Il front runner della lista progressista si è poi tolto i sassolini dalle scarpe contro Renzi sul Rosatellum, come se non si trattasse di una legge voluta a suo tempo dal Pd. Un remake, inoltre, lo abbiamo visto anche sul Jobs act, altra disciplina targata dem che però l’ex premier e il ministro del Lavoro Andrea Orlando adesso dicono di voler superare.

Troppi dietrofront, anche quello sul taglio dei parlamentari

Pure il leader di Azione Carlo Calenda, in verità, ha avuto gioco facile nell’incunearsi su un’altra uscita contraddittoria del segretario Pd, che aveva definito «un errore» il taglio dei parlamentari. Letta se ne era chiamato fuori e aveva tirato in ballo in qualche modo il suo predecessore Nicola Zingaretti: «Non è da imputare a me, facevo altre cose». Così è subito partito il dardo via Twitter dell’ex ministro allo Sviluppo economico: «Il taglio dei parlamentari lo avete votato per sudditanza morale e culturale ai cinque stelle, e poi non avete fatto nulla». Sono servite a poco quindi le correzioni di tiro arrivate da fonti del Nazareno secondo cui il segretario «era e resta contrarissimo al taglio non accompagnato da una riforma seria del Rosatellum». Infine, persino la tanto sbandierata «Agenda Draghi», totem all’ombra del quale era stata imposta la conventio ad excludendum del M5s, si è via via ridimensionata nella narrazione dem, considerate le smentite in tema da parte dello stesso presidente del Consiglio. 

Insomma, non manca la confusione sotto il cielo democratico. Al Pd rimane ancora un po’ di tempo per mostrare “occhi di tigre” invece che di coniglio bagnato, sempre che in quest’ultimo scampolo di campagna elettorale non si fermi di nuovo il bus elettrico che Letta ha scelto per girare l’Italia. È successo il 10 settembre scorso tra Alessandria e Torino. In questo caso la mossa elettorale per blandire gli ecologisti sarebbe stata azzeccata. Ma a volte ci si mette di mezzo anche la sfiga.