Si è detto incoraggiato dall’Nba, ma al contempo preoccupato dall’assenza di posizioni ufficiali. Nonostante ciò, le denunce Enes Kanter si sono fatte sempre più frequenti, postate sui social e indossate durante allenamenti e partite. Free Uyghur, giusto per citarne una, recita la scritta avvolta nel filo spinato e riprodotta sulle scarpe. I messaggi su Instagram e Twitter come l’abbigliamento della star dei Boston Celtics, riassumono la voglia di sensibilizzare pubblico e colleghi sulle ingiustizie subite dalla comunità uigura, da quella tibetana. E ancora dalla popolazione di Hong Kong e Taiwan: tutte costrette a fare i conti con i soprusi cinesi. Il Dragone dal canto suo non è rimasto a guardare, così alla scontata reprimenda, ha fatto seguito la scomparsa di ogni riferimento alla squadra tinta di verde dal sito di streaming Tencent.
Taiwan will never surrender to the EVIL Chinese Communist Party.
Taiwan is a DEMOCRATIC and FREE country.
The future of Taiwan must be determined by the Taiwanese people.
Taiwan is NOT a part of China
and NEVER will be! #IslandOfResilience#FreedomShoes pic.twitter.com/3yxWnfbWLK— Enes Kanter (@EnesKanter) November 10, 2021
Le denunce di Enes Kanter e l’atteggiamento ambiguo dell’Nba
Poco importa, la battaglia del cestista continuerà, anche senza il supporto della Lega, che sensibile al tema del Black Lives Matter, non ha mostrato identico atteggiamento per il fronte orientale. Dietro, ha spiegato l’atleta ci sarebbe il rischio di compromettere gli affari con il redditizio mercato cinese. Eppure le intenzioni sembravano altre: «Ci hanno incoraggiato a parlare di cosa ritenessimo più opportuno, ad accendere i riflettori sulle ingiustizie del mondo», ha spietato Kanter alla Cnn. Aggiungendo di essersi messo d’accordo in privato con il commissario Adam Silver, dal quale avrebbe ricevuto il permesso. Ma il silenzio ultimamente si è fatto assordante: «Se mi avessero sostenuto a pieno, avrebbero pubblicato qualcosa, rilasciato una dichiarazione». Intanto, su di lui sono arrivate anche le accuse di fare politica: «Mi occupo semplicemente di diritti umani», vi ha replicato senza mezzi termini.
Chi è Enes Kanter, il cestista Nba che lotta per i diritti della comunità uigura
Classe 1992, vegetariano, nato in Svizzera e cresciuto in Turchia, in passato non ha risparmiato critiche al presidente al presidente Recep Tayyip Erdogan. Per questo la cittadinanza gli è stata revocata, mentre in compenso sono piovute minacce di morte. Persino peggio è andata al padre – che al pari del resto della famiglia non vede dal 2015 – arrestato e poi assolto dall’accusa di essere membro di una cellula terroristica. Ostacoli giganteschi, insufficienti, tuttavia, a interromperne la lotta. Di una cassa di risonanza, d’altronde, hanno anche bisogno i due milioni tra uiguri e altre minoranze etniche che, secondo le stime del dipartimento di Stato Usa, sono detenute nei campi di internamento dello Xinjiang. Un appello ancora troppo isolato: «Tanti atleti, attori e cantanti hanno una piattaforma che parla dei problemi nel mondo. Ma quando si tocca la Cina sono spaventati, fermati dai soldi, dagli affari, dal veder saltare i contratti di sponsorizzazione. Per me, però, salvare la vita delle persone viene prima di tutto».
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Gente che secondo la dichiarazione giunta alla Cnn da parte dei funzionari di Xi però, non sarebbe assolutamente in pericolo: «Il cosiddetto genocidio culturale in Tibet, le violazioni nello Xinjiang e il lavoro forzato accuse infondate. Menzogne», si legge in una nota dell’ambasciata del Dragone a Londra. Un testo in cui toni a un certo punto, però, si fanno più severi: «Quando discuti di diritti umani in un paese, le persone che lì ci vivono sono nella posizione migliore per esprimere un giudizio. Le questioni su Tibet e a Xinjiang sono affari interni della Cina che non tollerano interferenze esterne».
L’attacco di Enes Kanter alla Nike
Come non detto. perché se è vero che la resa non è contemplata, Kanter ha alzato il tiro e preso di mira il comportamento colpevolmente passivo della Nike. Per lui, il colosso del branding sportivo starebbe traendo profitto dalla situazione cinese. «Ipocriti» sarebbero invece gli atleti che sponsorizzati dalla casa americana, discuterebbero di altri problemi, eclissandosi improvvisamente nel momento in cui la questione lambisce la Cina. Eppure la Nike all’inizio dell’anno era stata esplicita nel ribadire che non avrebbe acquistato prodotti dallo Xinjiang. «Siamo impegnati nella produzione etica e responsabile. Sosteniamo gli standard internazionali del lavoro. Per questo, preoccupati per le segnalazioni di lavoro forzato nella regione autonoma uigura dello Xinjiang (XUAR) e le altre ad essa collegate». Motivo per cui «non acquisteremo prodotti dallo Xuar, occupandoci di verificare che i fornitori non utilizzino tessuti provenienti dall’area». Resta il silenzio, tuttavia, l’unica risposta alle ultime accuse di Kanter.
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