«Viva apprensione ha destato in Vaticano la scomparsa di una ragazza di 15 anni, Emanuela Orlandi, figlia di un messo della prefettura della casa pontificia, della quale non si hanno più notizie da due giorni. La giovane è cittadina del Vaticano dove è nata e dove abita con la famiglia composta dai genitori e cinque fratelli. Alle 18.46 di mercoledì è stata vista uscire dal conservatorio di Santa Cecilia, dove studia flauto e canto corale». Così il 25 giugno del 1983 i giornali italiani, con un semplice trafiletto, annunciavano per la prima volta quello che era destinato a rivelarsi uno dei casi più misteriosi della storia italiana.
Speculazioni, depistaggi e atti di sciacallaggio
I quotidiani dell’epoca erano distratti da una tesissima campagna elettorale (le elezioni avrebbero visto un Partito comunista mai così vicino alla Democrazia cristiana), dallo scandalo della trattativa tra governo e camorra per la liberazione del politico democristiano Ciro Cirillo ostaggio delle Brigate rosse, e dalla visita di quei giorni di papa Giovanni Paolo II nella sua Polonia. Quello che diventerà il rapimento Orlandi venne quasi considerato una bravata adolescenziale o un atto di criminalità giovanile: «L’ipotesi più probabile», scrisse il Corriere romano, «è che sia stata costretta a seguire qualche giovane in vena di bravate». Ma ben presto emersero i contorni di un intrigo internazionale di cui Emanuela appariva come una incolpevole pedina. Oggi, dopo quasi 40 anni, non esiste ancora una certezza su quello che accadde. La ragazza che studiava musica non è più tornata, diventando oggetto di speculazioni, depistaggi e atti di sciacallaggio di ogni tipo.

La riapertura delle indagini e l’interesse per la serie Netflix
Il promotore della Giustizia vaticana Alessandro Diddi ha deciso di riaprire le indagini in relazione al caso, un’iniziativa ufficialmente motivata da una serie di istanze presentate da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Il primo passo sarà riesaminare i fascicoli e analizzare atti e documenti a disposizione, cercando di trovare qualche strada ancora non battuta o qualche particolare che all’epoca era sfuggito. Contemporaneamente si fa sempre più pressante la richiesta di avviare anche in parlamento una commissione di inchiesta che provi a cercare una possibile verità. L’interesse del caso è stato anche riacceso dalla serie documentaristica di Netflix Vatican Girl (prodotta dalla società di produzione televisiva inglese Raw) che ripercorre, con lo stile un po’ sensazionalistico del genere true crime, le molteplici teorie che in questi decenni si sono succedute sulla vicenda.
Una mossa che si intreccia con le critiche di padre Georg e Vatileaks?
Inevitabile a questo punto però l’ennesima dietrologia: per alcuni la scelta del Vaticano di ritornare su questo episodio è anche un tentativo, all’indomani della morte di papa Ratzinger, di mettere a tacere le voci che hanno fatto seguito alle critiche rivolte a Francesco dal segretario di Ratzinger, l’arcivescovo “padre” Georg Gänswein. Il caso Orlandi potrebbe ricollegarsi al dossier Vatileaks, ossia alla pubblicazione di alcuni documenti riservati riguardanti le finanze vaticane fatti filtrare ai media da Paolo Gabriele, aiutante di camera del pontefice e scomparso nel 2020. Ma una nuova teoria del complotto non aiuta certo a dare un contributo al buio che avvolge il rapimento.

Il sedicente Fronte Anticristiano Turkesh e lo scambio con Ali Agca
La scomparsa di Emanuela divenne una notizia da prima pagina solo nel luglio del 1983, quando, in un’epoca in cui i sequestri di persona erano un taglio basso nelle pagine di cronaca, per la ragazza si scomodò Giovanni Paolo II. Andrea Purgatori, giornalista che non ha mai smesso di occuparsi della vicenda, scriveva sulle pagine del Corriere: «Sta succedendo qualcosa di grave se il Papa decide di esporsi con un appello così diretto e pressante». I depistaggi erano già iniziati. Un sedicente Fronte Anticristiano Turkesh aveva rivendicato il rapimento, stabilito un ultimatum per il rilascio, chiedendo come contropartita la liberazione del terrorista Mehmet Ali Agca, che due anni prima aveva attentato alla vita del Pontefice in piazza San Pietro.

Le telefonate con l’accento anglosassone dell’Amerikano
Il Fronte Anticristiano Turkesh in realtà non era mai esistito, era l’invenzione di un’entità misteriosa, forse legata ai servizi segreti dell’ex blocco sovietico. Ma perché? Le incognite si sono qui moltiplicate. Nei giorni dopo il rapimento, alla famiglia Orlandi telefonò una persona con un accento anglosassone che diverrà noto come l’Amerikano rivelando di essere il sequestratore e affermando che la ragazza stava bene. Anche in questo caso venne richiesta la liberazione dell’attentatore del papa. Lo sconosciuto, oltre a una registrazione di una voce di una ragazza con l’accento romano, non fornì prove definitive sullo stato di Emanuela. E anche questa traccia nel tempo si raffreddò.

L’ipotesi di una trappola a sfondo sessuale in Vaticano
Per tutto il 1983 i media vennero bombardati di crudeli ultimatum e segnalazioni fasulle. Più volte venne cercato il corpo in luoghi improbabili in base a segnalazioni di mitomani. Il pubblico ministero che si occupò del caso nelle prime settimane, Margherita Gerunda, impose ai giornali di non diffondere i comunicati di fantomatici terroristi, ma il caso le venne tolto. La pm è sempre stata convinta che la Orlandi fosse in realtà caduta in una trappola a sfondo sessuale. Un caso di cronaca assimilabile a tante storie nere che in quegli anni quasi passavano inosservate. Nel caso di Emanuela rientrò però anche la scomparsa di un’altra ragazza 15enne probabilmente rapita nel maggio del 1983, Mirella Gregori. La giovane non aveva nessun legame con il Vaticano, ma i vari depistaggi accomunarono le due ragazze facendo ipotizzare una strategia più strutturata, sempre legata all’attentato a Karol Wojtyla.

Le teorie sulla vita di Emanuela tra Turchia, Olanda, Germania e Francia
Intanto dopo anni si sono accavallate diverse testimonianze di coloro che hanno asserito che la Orlandi sia sopravvissuta: tra essi due terroristi turchi (uno che sosteneva vivesse in Turchia, l’altro in Olanda) e il giudice Ferdinando Imposimato, convinto che, sposatasi con un suo rapitore, sia ormai integrata in una famiglia islamica turca dopo aver vissuto in Germania e a Parigi. Ma anche qui tante parole e nessuna prova. Il giudice Ilario Martella che seguì l’inchiesta sull’attentato al papa ha sempre accreditato la pista internazionale: «Sono convinto», disse nel 2005 a un’audizione alla Camera, «che Agca avesse dietro di sé un’organizzazione potentissima che forse va al di là dell’attentato al papa. Uno dei comportamenti più significativi di Agca fu il seguente: dopo tre giorni dalla condanna disse che rinunciava formalmente a proporre appello. Si tratta di un fatto incredibile: una persona che è stata condannata all’ergastolo rinunciava all’appello, e non perché aveva fatto scadere i termini per la sua presentazione, ma per sua espressa decisione. Gli chiesi quale ne era il motivo e mi rispose che era sicuro di essere liberato con un’azione di forza o eventualmente con un sequestro di persona. Mi ha raccontato questo molto prima del sequestro della Orlandi».

Le testimonianze di Sabrina Minardi e Marco Accetti? Poco credibili
Nel 2008 si fece strada una pista che portava all’organizzazione criminale della Magliana, quando Sabrina Minardi, ex compagna del bandito romano Enrico “Renatino” De Pedis, rivelò che Emanuela era stata uccisa. Secondo la donna, la Orlandi sarebbe stata rapita e tenuta prigioniera su ordine di monsignor Marcinkus, all’epoca presidente dello Ior, la Banca vaticana, e tenuta in un’abitazione vicino a piazza San Giovanni di Dio. Nel 2013 il fotografo Marco Accetti si auto-accusò del sequestro organizzato, a suo dire, per conto di un gruppo di ecclesiastici contrari all’anticomunismo di Giovanni Paolo II e da lui associato alla scomparsa di un’ulteriore ragazza romana avvenuta nel 1983, Caterina Skerl. Ma sia la Minardi sia Accetti sono stati ritenuti testimoni poco attendibili.

Ali Agca continua a ripetere che la ragazza è ancora viva
A rimestare le acque ci si è sempre messo Ali Agca, condannato nel 1981 all’ergastolo, graziato dal presidente Ciampi nel 2000 e detenuto poi in Turchia fino al 2010. Nella sua lunga carriera di detenuto eccellente ha alternato teorie del complotto sensate a teatrali deliri mistico-religiosi. Oggi è un uomo libero residente a Istanbul e ha più volte sostenuto che Emanuela Orlandi sia ancora viva, mettendosi anche di recente in contatto con il fratello Pietro. «Ci sono tante persone che raccontano e non portano un briciolo di prova per quello che dicono» ha sostenuto pochi giorni fa lo stesso Pietro Orlandi. Una verità sul destino di sua sorella ci deve essere. E lui non si è mai stancato di cercarla.