Pd, le sfide e gli ostacoli di Elly Schlein alla guida del Nazareno

Paola Alagia
27/02/2023

Schlein ha promesso una rivoluzione. Ma realizzarla da sinistra non sarà semplice. Al di là degli slogan, la neo segretaria Pd dovrà dettare la linea sulle armi all'Ucraina, sulle misure contro la povertà, su possibili intese con il M5s. Il tutto con l'ombra della scissione. Ma per il politologo Gianfranco Pasquino la priorità è riconquistare gli elettori perduti.

Pd, le sfide e gli ostacoli di Elly Schlein alla guida del Nazareno

Con un vero e proprio ribaltone rispetto al voto nei circoli, le primarie hanno consegnato le chiavi del Nazareno a Elly Schlein. Per la prima volta una donna approda alla guida del Partito democratico. E la leader di OccupyPd in nottata a caldo ha parlato subito di «una grande rivoluzione», ma soprattutto ha promesso «una vera opposizione»: «Saremo un bel problema per il governo Meloni», ha assicurato.

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Schlein: «Le porte sono spalancate». Ma resta lo spettro della scissione

Eh sì, perché il Pd dopo questi mesi all’insegna dell’autoreferenzialità chiuso nel limbo del suo congresso kafkiano, non può più permettersi il lusso di galleggiare. Il tempo delle promesse e degli slogan è finito. Da adesso in poi, quindi, si capirà se Schlein sarà in grado o meno di “governarla” la rivoluzione di cui parla. Un’impresa non facile, dovendo al tempo stesso cercare di allontanare lo spauracchio di una scissione. Un rischio ancor più reale, avendo la vittoria della ex numero due di Bonaccini in Emilia-Romagna spostato completamente l’asse del partito a sinistra. L’addio di Beppe Fioroni, storico esponente della Margherita e tra i fondatori del Pd, del resto, è una spia pericolosa. Qualche perplessità è stata espressa anche da Giorgio Gori: «Dipende da lei se il Pd sarà ancora il mio partito», ha dichiarato il sindaco di Bergamo. Non una sorpresa visto che a dicembre, in una intervista all’Huffington Post aveva dichiarato: «Se vince Schlein potrei lasciare il Pd». Turbolenze anche alla Camera dove Debora Serracchiani, bonaccinana, si è detta pronta a un passo indietro da capogruppo. La neo segretaria intanto rassicura: «Ora lavoreremo insieme, lavoreremo per l’unità, non possiamo permetterci altro», ha detto al suo comitato elettorale citando gli altri candidati alla segreteria, a cominciare da Stefano Bonaccini. «Il mio impegno sarà quello di essere la segretaria di tutte e di tutti, indistintamente. Questa è la responsabilità che abbiamo. Solo così lavoreremo insieme per tornare a vincere presto insieme. Questo chiedo anche a loro di fare. Mi spetta una grande responsabilità, quella di tenere insieme la nostra comunità».  Insomma per la neosegretaria: «Le porte sono aperte, sono spalancate. Dobbiamo ricucire le fratture che si sono prodotte in questi anni. Siamo qui per questo».

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Elly Schlein dopo la vittoria.

Il primo scoglio sarà trovare alleati

I tanti elettori che è riuscita a mobilitare, però, ora si aspettano fatti concreti e determinazione. Anche su temi concreti e non solo ideali. Altrimenti, saremmo di fronte all’ennesima operazione gattopardesca. «Elly non è un gattopardo, è una gazzella abbastanza solida però bisogna vederla all’opera», spiega a Tag43 Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica. «Un conto, infatti, è vincere una campagna per diventare segretario e un altro riuscire a trasformare un partito». Per Pasquino non ci sono dubbi: «Schlein ci ha fatto una narrazione alla quale deve tenere fede. Dopodiché noi sappiamo bene che nessuna proposta che un segretario o un leader fa verrà tradotta automaticamente in una politica pubblica. Prima dovrà trovarsi degli alleati. La neosegretaria, insomma, deve riuscire a comporre un quadro tenendo conto dei compagni di viaggio che vorrebbe e che riesce a raggiungere. Un’operazione complicatissima», aggiunge il politologo, «ma, come si suole dire, ha voluto la bicicletta e ora le tocca pedalare».

Il nodo della guerra in Ucraina e dell’invio di armi

Un banco di prova difficile è rappresentato senza dubbio dalla guerra in Ucraina. Il nodo dei nodi rimane quello del sostegno militare a Kyiv. La linea della segreteria Letta durante tutto il governo Draghi è stata chiara. E il Pd non ha fatto mancare il suo voto favorevole al decreto Ucraina che proroga fino al 31 dicembre 2023 l’invio di armi italiane. Quale linea deciderà di sposare la nuova inquilina del Nazareno? A novembre scorso, per esempio, scelse di non partecipare al voto su una risoluzione di Sinistra italiana che escludeva l’invio di armi. Cosa che non si è replicata a dicembre quando invece ha votato insieme a tutto il Pd contro le risoluzioni di M5s e Alleanza Verdi e Sinistra. Insomma, il tema è caldo e lo sarà a maggior ragione prossimamente, visto che è in preparazione il settimo pacchetto armi da parte del governo. Né Schlein potrà rifugiarsi dietro le parole contenute nella sua mozione che sul conflitto profumano di ‘ma-anchismo’ veltroniano: «Sosteniamo e sosterremo il popolo ucraino con ogni forma di assistenza necessaria a difendersi», si legge da un lato. Ma dall’altro: «Senza però rinunciare alla nostra convinzione che le armi non risolvano i conflitti, e che non possiamo attendere che cada l’ultimo fucile per costruire la via di una pace giusta». Un po’ pochino in termini di chiarezza per un partito che aspira a diventare perno delle opposizioni. Ma soprattutto un po’ pochino per un M5s che proprio su temi come il conflitto attende il Pd al varco.

Pd, le sfide di Elly Schlein al Nazareno
Elly Schlein (da Fb).

La battaglia contro il Jobs Act e la ‘concorrenza’ con il M5s sul salario minimo

C’è da capire però anche cosa farà Schlein sulla questione del lavoro e dei diritti sociali. Dal reddito di cittadinanza al salario minimo, come si muoveranno i dem? Non c’è ragione di dubitare delle parole nette pronunciate dalla neosegretaria contro il Jobs act, il problema sarà capire concretamente come si tradurranno le sue dichiarazioni d’intenti, dalla lotta ai contratti a termine a quella, in generale, contro il lavoro povero. Ancora una volta, il terreno per la segretaria è scivoloso, ereditando un partito che quasi in maniera compatta aveva sposato le politiche occupazionali di Matteo Renzi e che, nonostante le diverse abiure, negli anni al governo non ha fatto praticamente nulla per cancellarlo. Forse Schlein potrà cavalcare alcune prese di posizione del suo sfidante Bonaccini. Il governatore dell’Emilia Romagna, chissà se per cercare di scrollarsi di dosso l’etichetta di renziano doc, infatti, proprio davanti ai cancelli di Mirafiori a fine gennaio scorso, disse in maniera secca: «Intervenire sull’articolo 18 è stato un errore, bisogna andare oltre al Job Act, ci vuole una grande stagione di riforme». Una cosa è certa, intanto: sul salario minimo, il partito di Giuseppe Conte non ha perso tempo e ha subito messo sul piatto la proposta che il Movimento ha già depositato.

Beppe Grillo torna a fare il comico, mentre il M5s gli rinnova il contratto da garante della comunicazione.
Giuseppe Conte (Getty Images)

Il defunto campo largo e la possibilità di singole intese con i pentastellati

A proposito di M5s e alleanze, il famoso campo largo potrebbe ritornare? Senza dubbio questa è un’altra delle grandi incognite con cui si apre l’era Schlein. Tra i suoi sostenitori, tra l’altro, ha avuto e ha al suo fianco due grandi sponsor dell’asse Pd-M5s quali Nicola Zingaretti e Francesco Boccia. Certo, le condizioni per una riedizione del campo largo oggi non ci sono, ma di sicuro se il Pd vuole costruire un’opposizione vera al governo, non potrà farlo da solo. L’alleanza con il M5s, tuttavia, ha un altro scoglio sul suo cammino e cioè l’inceneritore di Roma che peraltro richiama tutti i temi ambientali, veri cavalli di battaglia della campagna elettorale targata Schlein. Se è vero che la mozione della neosegretaria a pagina 22 parla esplicitamente della necessita di «puntare alla circolarità e superare discariche e inceneritori…» dall’altra nel Pd c’è una figura di primo piano come il sindaco di Roma Roberto Gualtieri che dell’inceneritore nella Capitale ha fatto una sua ragione d’azione politica. Dunque, ancora una volta bisognerà vedere come si comporterà la numero uno del Nazareno di fronte a questo dossier, che ha già causato la rottura dell’asse con i pentastellati nel Lazio. Tutte questioni che Pasquino sintetizza in una sola parola: «Chiarezza». «Si tratta davvero di fare scelte chiare e ben delineate perché solo su queste basi si può andare al confronto», aggiunge il politologo. «Su scelte confuse si genera solo ulteriore confusione. Se il Pd vuole allearsi con il M5s, sa cosa chiede in materia ambientale per esempio, quindi niente inceneritore a Roma». Con i pentastellati, comunque, secondo Pasquino, «è possibile cominciare a costruire volta per volta delle intese. Comincerei per esempio, subito a costruirne una sulla legge elettorale per cercare finalmente di cambiarla».

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Matteo Renzi (Getty Images)

Più che il Terzo polo, occorre concentrarsi sugli elettori persi negli anni

Da un lato c’è il Movimento, ma dall’altro c’è il Terzo polo. Un fronte comune delle opposizioni implica del resto un dialogo anche con i leader di Azione e Iv, Carlo Calenda e Matteo Renzi. Una sfida quest’ultima che in realtà pare già persa, al netto di possibili convergenze su battaglie come il salario minimo. Calenda, infatti, ha chiuso subito la porta: «Con lei sarà quasi impossibile dialogare si schiaccerà verso i 5 stelle e noi creeremo la casa dei liberaldemocratici».

Non che dal fronte renziano si intraveda qualche spiraglio. Eloquente da questo punto di vista il tweet a caldo di Maria Elena Boschi: «Penso che da domani nella politica italiana cambieranno molte cose. Si apre una stagione molto interessante per i riformisti». Una situazione che non preoccupa Pasquino: «Con il Terzo polo si possono trovare accordi tattici in Parlamento. Se fossi nel Pd mi porrei piuttosto un altro problema e cioè raggiungere gli astenuti che poi sono elettori che hanno già votato in passato Partito democratico».