Elezioni presidenziali in Turchia, ballottaggio il 28 maggio: Erdogan favorito
Controlla la tivù, i social, silenzia il dissenso e oscura il rivale Kilicdaroglu: ecco perché Erdogan è vicinissimo alla riconferma in Turchia, dopo essersela vista brutta al primo turno. Lo sfidante alza i toni nel tentativo di contendergli l’elettorato di destra di Ogan, ma il sultano è avanti. La guida al ballottaggio.
Elezioni presidenziali in Turchia, dove eravamo rimasti? Messo alle spalle il malore in diretta tivù di fine aprile, Recep Tayyip Erdogan ha sfiorato la vittoria al primo turno nella tornata elettorale più in bilico degli ultimi vent’anni, ottenendo il 49,52 per cento delle preferenze. Per pochi decimi percentuali si è reso dunque necessario il ballottaggio, contro il leader della colazione di opposizione Kemal Kilicdaroglu, rimasto inchiodato al 44,88 per cento dei voti. I turchi tornano alle urne domenica 28 maggio: ecco le cose da sapere.

Kilicdaroglu vira a destra: la mossa del leader dell’opposizione
Kilicdaroglu, candidato presidente della coalizione Alleanza della nazione (il cosiddetto “Tavolo dei sei“), di cui fa parte il suo Partito Popolare Repubblicano (Chp), è noto come il “Gandhi turco” per la somiglianza con il Mahatma e i toni conciliatori, che però ha messo da parte archiviato il primo turno. Con l’obiettivo di conquistare indecisi, astenuti, giovani e nazionalisti, Kilicdaroglu si è lasciato andare a discorsi nazionalisti e anti-migranti, strizzando l’occhio ai cittadini che il 14 maggio hanno votato per Sinan Ogan, arrivato terzo. Kilicdaroglu sta spingendo in particolare sulla promessa elettorale riguardante il rimpatrio dei rifugiati siriani, già presente nella sua campagna ma come operazione graduale, su due anni e base volontaria, con l’aiuto di fondi Ue per la Siria. In vista del ballottaggio, Kilicdaroglu ha accusato Erdogan di non aver «protetto i confini e l’onore della Turchia». Una retorica xenofoba contro la politica migratoria implementata da Erdogan con il sostegno dell’Unione europea, grazie alla quale il leader del Chp spera di spaccare la coalizione di destra e rosicchiare preferenze. Il Partito della vittoria di Ümit Özdağ, panturchista e noto per le sue posizioni conservatrici (nonché misogine), lo ha ufficialmente appoggiato in vista del secondo turno.

Erdogan può però contare sull’endorsement di Ogan
Più che agli elettori (2 per cento) del Partito della vittoria, Kilicdaroglu punta a contendere a Erdogan l’elettorato del già citato Ogan, candidato ultranazionalista dell’Alleanza ancestrale, che alle presidenziali ha ottenuto il 5,17 per cento, frutto di oltre 2,8 milioni di voti. Peccato che Ogan, ritrovatosi a vestire i panni del kingmaker, abbia fatto sapere che sosterrà il presidente in carica Erdogan al ballottaggio. Proveniente Partito del movimento nazionalista (Mhp) che ha abbandonato nel 2017, Ogan si era candidato alla presidenza sostenuto da un’alleanza di piccoli partiti di destra, uniti da posizioni molto critiche nei confronti di migranti e rifugiati siriani che si trovano in Turchia. Secondo gli analisti, Ogan ha intercettato un voto di protesta. Kilicdaroglu, adottando la sua retorica, spera di fare lo stesso.

L’importanza del voto dei curdi, osteggiati dal presidente uscente
Di sicuro, Kilicdaroglu può contare sul sostegno dei curdi (quasi un quinto della popolazione) invisi invece sia a Erdogan sia a Ogan. Il Partito democratico dei popoli (Hdp), che unisce forze filo-curde e forze di sinistra della Turchia, per evitare un potenziale divieto elettorale ha partecipato sotto la bandiera della Sinistra verde, chiedendo ai propri elettori di votare per il principale rivale del presidente uscente. E così è stato: nelle province a maggioranza curda Kilicdaroglu ha vinto in scioltezza. Proprio per non perdere il sostegno di questa minoranza, che pesa più dell’elettorato di Ogan, il leader del Chp non ha trovato l’accordo quest’ultimo, il quale gli aveva chiesto di prendere le distanze dalla Sinistra Verde, capace poi superare l’8 per cento e di conquistare 61 seggi nella Grande assemblea nazionale turca.
La coalizione di Erdogan ha ottenuto la maggioranza in parlamento
Il 14 maggio i turchi sono andati al voto non solo per eleggere il presidente della Repubblica, ma anche per il rinnovo del parlamento. Il Tavolo dei sei, formato da Chp, Buon partito, Partito democratico, Partito della felicità, Partito della democrazia e della prosperità e Partito del futuro, ha ottenuto 212 seggi sui 600 della Grande assemblea nazionale turca. L’alleanza punta al ritorno a un nuovo sistema parlamentare, in opposizione al presidenzialismo introdotto nel 2017 da Erdogan, la cui coalizione (Partito della giustizia e dello sviluppo – Akp – e Mhp) si è aggiudicata il 323 dei seggi e, dunque, la maggioranza assoluta in parlamento: anche in caso di vittoria a sorpresa di Kilicdaroglu, ciò rende già molto difficile per il Tavolo dei sei applicare le riforme sperate.

Le roccaforti di Erdogan resistono, le grandi città stanno con Kilicdaroglu
Per quanto riguarda le Presidenziali, la maggior parte delle città considerate roccaforti di Erdogan ha dato in effetti al Sultano, mediamente, ancora il 60 per cento dei voti. E questo nonostante lui e il suo partito di governo Akp siano stati ampiamente criticati per la lenta risposta al devastante terremoto di febbraio. Erdogan, in particolare, si è confermato nelle campagne e nei suoi “feudi” dell’Anatolia centrale. Kilicdaroglu non sembrava un candidato unitario dell’opposizione particolarmente forte: erano più accreditati i sindaci di Istanbul e Ankara, colleghi di partito capaci alle amministrative del 2019 di vincere per il Chp nelle due maggiori città turche per la prima volta dal 1994. Eppure ha sfiorato il 45 per cento, superando Erdogan a Istanbul e Ankara appunto, e poi a ad Antalya, Hatay, Adana, nelle zone colpite dal terremoto e in quelle a maggioranza curda.
Erdogan ha silenziato il dissenso e persino il rivale
Erdogan è davvero a un passo dalla riconferma, mentre Kilicdaroglu deve fare i conti con un elettorato disilluso dai risultati dal primo turno. La copertura mediatica sfavorevole – eufemismo – certo non lo ha aiutato e non lo sta facendo adesso. In Turchia il 90 per cento dei media è controllato in maniera più o meno diretta dal governo e, in diverse trasmissioni, è capitato addirittura che nome e volto di Kilicdaroglu venissero oscurati. Come evidenziato a fine aprile dall’Osce, la tivù di Stato turca TRT aveva concesso al presidente in carica 32 ore e 42 minuti di trasmissione e al suo sfidante appena 32 minuti. A questo va aggiunto il controllo delle reti social da parte di Erdogan, che punta a reprimere il dissenso sul web allo scopo di mantenere il potere. Anche per questo, la riconferma è quasi scontata.