Da Meloni a Conte, da Salvini a Letta: chi sono i vincitori e i vinti del voto
Tra i due sconfitti - Letta e Salvini - e i due vincitori - Meloni e Conte - B è un sopravvissuto. E ora è gregario della destra. Il M5s si impone come il vero terzo polo con buona pace di Calenda e Renzi azzoppati come il Pd dall'agenda Draghi. Come il voto ridisegna gli equilibri.
Ci sono due grandi sconfitti, Pd e Lega. Due netti vincitori, Fratelli d’Italia e 5 Stelle. Un sopravvissuto, forse anche alle sue aspettative, ovvero Forza Italia. Un deluso, il Terzo Polo, il cui consenso reale si è rivelato largamente al di sotto di quello percepito. Tutto fa pensare che stavolta il verdetto degli exit poll non si discosterà se non per qualche decimale di punto dalla conta finale dei voti. E che le elezioni del 25 settembre segnino davvero uno spartiacque nella storia repubblicana, non fosse altro che per la prima volta a guidare il Paese sarà un partito il cui simbolo, la fiamma, ricorda quello che nel Dopoguerra raccolse i nostalgici del fascismo.
Ora è Berlusconi a fare da gregario alla destra di Meloni
Si dirà che la fiamma era presente anche in quello di Alleanza nazionale che governò con Silvio Berlusconi. Ma con una differenza fondamentale, ovvero che il partito di Gianfranco Fini non fu mai dominante nello schieramento del Polo delle libertà, antesignano dell’attuale centrodestra. Stavolta invece i fattori della coalizione si sono ribaltati, ed è il Cavaliere e il centro che egli ambisce a rappresentare che si trova a fare da gregario a Giorgia Meloni. In questo sta tutta la portata storica del voto che ha sancito al supremazia netta di Fratelli d’Italia, che da sola doppia i voti assommati di Lega e Forza Italia, e stacca nettamente il Pd (a livello di seggi il divario è ancora più eclatante), suo principale antagonista e leader della coalizione avversaria, le cui prerogative di rappresentanza a Sinistra vengono ora messe in discussione dal brillante risultato dei 5 Stelle, che lo legittima come il vero Terzo Polo nella geografia politica del Paese.

Letta verso la resa dei conti
Per Enrico Letta una doccia gelata, che apre il dibattito interno non solo sulla leadership, ma soprattutto sui destini di un partito che da troppo tempo ha rinunciato a perseguire un suo profilo identitario per fare da supporto a uomini e agende che lo surrogassero. Non più un partito portatore di una sua cultura e visione del mondo, ma un aggregatore di istanze che nascono al di fuori. Così sul Pd si allunga lo spettro della parabola dei socialisti francesi, perché se la rappresentanza e la capacità di incidere vengono meno tutto si riduce a una guerra tra gruppi di potere interni e alla mera salvaguardia delle loro rendite di posizione.

Il Nord volta le spalle a Salvini
Discorso che in parte tocca anche la Lega, l’altro grande sconfitto di questa tornata elettorale che si è confermata vulnerabile in quel Nord che tradizionalmente ha sempre costituito la sua roccaforte. La metamorfosi cui l’aveva costretta Matteo Salvini quando nel 2012 prese il comando sulle ceneri della gestione bossiana, trasformandola da paladino di federalismo e autonomia in una formazione sovranista con venature mistiche, col tempo gli si è ritorta contro. Il fatto che nelle regioni del Settentrione il Carroccio sia stato superato non solo da Fratelli d’Italia ma in alcune realtà anche dal Pd, come in Veneto, dimostra lo scollamento dalla sua tradizionale base di consenso, il famoso popolo della partite Iva e in generale dei ceti produttivi cui aveva dato voce. E che ora sembrano aver delegato a Meloni il compito di rappresentarli. Nemmeno più ai governatori del Carroccio forti per un voto amministrativo che assegnava loro percentuali bulgare.

Il M5s di Conte è il vero terzo polo
Che poi, parlando di rappresentanza, è quello che ha determinato a Sud la fortuna dei 5 Stelle, in molte circoscrizioni risultato il primo partito. Un esito che premia oltre le aspettative la campagna elettorale di Giuseppe Conte, il quale ha scientemente puntato sul meridione innalzando a suo vessillo il provvedimento più popolare introdotto dal suo governo, quel reddito di cittadinanza per molti strumento di sopravvivenza di fronte all’esplodere dell’inflazione. Non l’abolizione della povertà conclamata da Luigi Di Maio (l’ex compagno di partito scissionista che il voto ha spazzato via dalla scena politica), ma un sussidio che l’ex premier ha avuto buon gioco a rivendicare in un momento di drammatico deterioramento del quadro economico . Consentendo ai pentastellati non solo di sopravvivere, ma di assurgere a Terzo Polo dietro le due coalizioni maggiori. Coloro che arbitrariamente si erano considerati tali, ovvero Azione e Italia Viva, devono mestamente prendere atto che l’obiettivo di raggiungere una percentuale a doppia cifra era velleitario. Calenda e Renzi fanno un buon risultato nelle grandi città (anche se a Roma il primo viene surclassato da Emma Bonino) ma restano una aggregazione che non scalda, ennesima riedizione di quel partito della borghesia che già in passato non aveva dato buoni frutti. La loro performance segna anche la sconfitta sul piano dei consensi dell’agenda Draghi, che anche il Pd aveva fatto sua al punto da ripudiare l’alleanza con i grillini che quell’agenda avevano contestato. Ma il cui lascito non ha portato fortuna a chi frettolosamente e convinto fosse un volano se lo era intestato.
