Sedici anni di Angela Merkel hanno lasciato il segno, nel bene e nel male. Il prossimo governo tedesco, guidato dal vincitore formale delle elezioni, il socialdemocratico Olaf Scholz, oppure dall’erede designato della Cancelliera che rimarrà in carica sino a che il Kanzleramt avrà trovato il suo nuovo inquilino, il leader della Cdu Armin Laschet, i problemi da risolvere non saranno pochi.
L’eredità difficile di Frau Merkel
Sono lontanissimi i tempi in cui la Germania era il grande malato d’Europa. Quel gigante dai piedi d’argilla che alla fine degli Anni 90 Helmut Kohl aveva traghettato attraverso la complicata riunificazione. Le crisi del secondo millennio, casalinghe e internazionali, si sono però aggravate durante il lungo regno di Frau Angela che ha sì governato a braccetto con la Spd o con i liberali della Fdp, ma oltre a mettere qualche pezza, ha lasciato un’eredità difficile. Tre questioni in particolare saltano subito all’occhio.

Questione climatica, la grande incompiuta
Fondamentale è quella climatica, che Merkel ha trascurato completamente sino a un paio di anni fa ed è poi esplosa periodicamente, fino all’alluvione nell’Ovest del Paese questa estate che ha fatto naufragare le speranze dei conservatori di rimanere il primo partito al Bundestag. La Germania si è impegnata con gli accordi di Parigi del 2016 a raggiungere gli obiettivi prefissati, ma non si sa ancora bene come. Dal 2011 Berlino ha abbandonato il nucleare; la data del 2038 per la fine del carbone non soddisfa i Verdi che vogliono anticipare; e lo stesso vale per la “rottamazione” dei motori tradizionali che nel prossimo decennio, a seconda delle vedute, dovrebbero essere sostituiti in maniera definitiva con quelli elettrici. La lobby dell’auto è potente e non molto accondiscendente quando si tratta di scelte imposte dalla politica. Se Frau Merkel è stata più Auto-Kanzlerin che Klima-Kanzlerin, il suo successore dovrà davvero cambiare prospettiva se vorrà attenersi alla visione di una Germania neutralmente climatica. Il tema riguarda il complesso industriale e il mix energetico a cui la Germania dovrà affidarsi. Se sulla fine del carbone, come sulla crescita delle rinnovabili, sembrano tutti d’accordo, resta da vedere quale sarà lo spazio destinato al gas e soprattutto da dove farlo arrivare. E qui entra in gioco anche la politica internazionale con le relazioni con il più grande fornitore di oro blu, la Russia. Le relazioni turbolente con Mosca non hanno impedito la realizzazione del secondo braccio di Nordstream, il gasdotto sotto il Baltico che collega direttamente i due Paesi tagliando fuori la Mitteleuropa. Il nuovo governo tedesco non potrà farne a meno, anche se ci si aspettano levate di scudi dai Verdi.

Digitalizzazione, il ritardo della Germania
Il secondo problema, sul quale Merkel in 16 anni ha dormito sonni profondi, è quello della digitalizzazione. In uno Stato guida, moderno, orientato al futuro gli uffici sanitari pubblici non possono certo lavorare con i fax come è dovuto avvenire durante la pandemia. È solo un esempio, ma fa capire quanto la Germania sia indietro rispetto a quasi tutti i Paesi europei. Ci sono le scuole, le industrie, l’amministrazione pubblica da modernizzare. I governi precedenti hanno stanziato poco e investito realmente ancora meno. Problemi di strategia e di burocrazia. Storica la frase di Merkel nel 2013, quando affermò: «Internet è per noi un territorio nuovo»: praticamente 20 anni dopo l’invenzione della Rete. Adesso la Cdu vorrebbe creare un ministero per la Digitalizzazione, meglio tardi che mai. Ciò che è mancato negli anni passati è stata la velocità, non solo quella bit, con la struttura federale del Paese che ha in parte frenato la realizzazione dei progetti (oltre 130, portati a termine circa la metà, secondo un’analisi della società Bitkom). Come per l’ambiente, diventato centrale per tutti i partiti, anche la digitalizzazione è sulla bocca di tutti. Le parole non bastano comunque più, il nuovo cancelliere dovrà passare ai fatti.
Immigrazione: la minaccia a Est dell’AfD
Stessa cosa per la terza questione irrisolta, quella dell’immigrazione, e di riflesso dell’integrazione. Anche in questo caso il nodo è lungi dall’essere sciolto, e il problema è stato solo rinviato. La Germania è riuscita internamente a superare la crisi del 2015, con i confini aperti di fronte alla spinta delle centinaia di migliaia di profughi in arrivo dalla Siria, la prossima è già alle porte: gli sviluppi in Afghanistan non promettono nulla di buono e Berlino, al pari di Bruxelles, dovrà nuovamente cercare una via d’uscita. In due regioni della vecchia Ddr – Sassonia e Turingia – il partito di estrema destra xenofobo e nazionalista della AfD è diventata la prima forza e a livello nazionale ha consolidato la sua posizione oltre il 10 per cento. La crescita è da addebitare indirettamente anche ai governi passati che sia localmente sia in Europa non sono riusciti a contrastare il populismo sciovinista con una politica seria di accoglienza e integrazione. Quello nuovo a Berlino, con Scholz o Laschet alla guida, dovrà così affrontare le prossime prevedibili emergenze con una strategia più lungimirante di quella di Angela Merkel.