Finisce l‘era di Angela Merkel. Ed è bene così. Sedici anni al Kanzleramt, come Helmut Kohl (1982-1998) e poco più di Konrad Adenauer (1949-1963). Oltre tre lustri in cui la Germania ha dovuto affrontare trasformazioni interne e crisi internazionali e in cui la Cancelliera ha guidato il Paese tra luci ed ombre. Probabilmente solo tra qualche anno si capirà qual è stato il reale peso specifico sulla storia tedesca di Frau Merkel. Ma già oggi può essere collocata nel ranking dei pochi cancellieri che dal Dopoguerra a oggi hanno retto le sorti della Germania in una posizione di rincalzo. Insomma, colei che per anni è stata considerata la donna più potente del mondo e, soprattutto dall’Italia geneticamente invidiosa della stabilità teutonica una leader indiscussa e illuminata, in realtà è stata sopravvalutata.

Merkel, dietro ad Adenauer e Kohl, se la gioca con Schröder
Sicuramente si situa dietro ad Adenauer e Kohl, i due cancellieri del Dopoguerra e della Riunificazione. Ovviamente anche dietro a Willy Brandt (1969-1974), che tra Ostpolitik e liberalizzazione della politica sociale, diede un impulso fondamentale alla trasformazione della Germania in casa e nel contesto della Guerra Fredda. Anche il bilancio di Hemut Schmidt (1974-1982) è tutto sommato migliore, con il superamento delle fasi turbolente, fra terrorismo interno, crisi petrolifera e internazionale. Merkel però è davanti certamente a Ludwig Erhard (1963-1966) e Georg Kiesinger (1966-1969), e se la gioca con Gerhard Schröder (1998-2005), cui però deve molto, a partire dalla politica economica (Agenda 2010) che più che socialdemocratica è stata liberale e a tutti gli effetti ha preparato il rilancio e il rafforzamento dell’economia all’inizio degli Anni 2000 di cui la Cancelliera ha approfittato. Insomma, dall’ottica tedesca la lunga fase merkeliana non è stata proprio un successo assoluto.
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Durante il primo mandato (2005-2009), con le spalle sostanzialmente coperte dalle riforme di Schröder, Angela Merkel ha guidato un governo di Große Koaliton con la SPD dovendo affrontare la grande crisi finanziaria partita dagli Usa nel 2008, subito seguita da quella dell’euro nel secondo mandato (2009-2013), questa volta a braccetto con i liberali, che le fece conquistare il soprannome di “Madame non”. Anni complicati in cui la Cancelliera ha messo delle pezze, senza però mettere in piedi una strategia sul lungo periodo. Alle cronache resta il vertice franco-tedesco di Deauville (ottobre 2010), in occasione del quale Merkel convinse l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy a formalizzare il coinvolgimento del settore privato, ovvero delle banche, in caso di default di uno Stato membro.

Austerity in Ue e disuguaglianze economiche: le ombre dei 16 anni di Merkel
Certo, ha distribuito parole di sicurezza, ma ha perso un’occasione: da un lato ha lasciato crescere le disuguaglianze sociali a casa propria, trascurando temi fondamentali come clima e digitalizzazione, divenute parole d’ordine solo 10 anni più tardi quando ormai la frittata era fatta; dall’altro ha scelto di non voler rinsaldare davvero l’Europa attraverso il principio della solidarietà cedendo alla tentazione dell’austerity, errore anche questo che emergerà più tardi in varie forme, dal gap tra Nord e Sud Europa all’emergere in molti Paesi dell’Unione dei nazionalismi. Vero è però che mentre nel giugno 2012 Merkel aveva puntato i piedi contro la mutualizzazione del debito in Europa – sentenziò, secondo fonti della Cdu: «Nessun debito comune finché io vivo», da luglio 2021 l’Ue ha cominciato a emettere titoli comuni di debito per un valore di 80 miliardi di euro a dicembre, fino ad arrivare ai 750 miliardi del programma Next Generation Eu da qui al 2026. Evidentemente si riferiva alla sua vita politica o, semplicemente, ha cambiato idea.

La crisi dell’immigrazione del 2015 e i tentennamenti in politica estera
Certamente non si può imputare tutto a Merkel, ma è un fatto che con una guida più lungimirante e carismatica, Germania ed Europa avrebbero potuto battere altre strade, uscendo dalle crisi più unite e forse migliori. Il terzo e il quarto mandato (2013-2021) sono quelli ancora dell’alleanza con la socialdemocrazia, delle crisi dell’immigrazione quando aprì le porte a 1 milione di profughi siriani(2015) lasciando però Italia e Paesi del Sud Europa in balia di se stessi, e della pandemia (2020), con i riflessi della nascita e crescita dell’estrema destra sovranista dell’AfD, accompagnate sul versante internazionale da quelle con la Russia (dal 2014) e dai rapporti sempre più difficili con gli Stati Uniti, dallo spionaggio sotto Barack Obama all’isolazionismo di Donald Trump per finire al disastro in Afghanistan suggellato con Joe Biden.

I problemi sorti negli ultimi sei anni, in Germania come all’estero, sono ancora tutti irrisolti, se non aggravati. Un po’ di responsabilità è anche di Angela Merkel e della sua politica della navigazione a vista, di un governo di amministrazione più che di vere riforme e di cambiamento, di una mancanza di visione politica sulla scacchiera nazionale e mondiale, portatrice degli interessi economici della grande industria e finanza tedesca. Non è un caso che nei più grandi scandali dal Dopoguerra, dal Dieselgate (auto) a Wirecard (finanza) passando per quelli dei Cum-Ex Geschäfte (fisco), la subordinazione della politica agli attori economici sia sotto gli occhi di tutti. Angela Merkel lascia la Cancelleria con una Germania in una difficile transizione e uno spettro politico frammentato, dove la sua Cdu è un partito non più guida, lacerato e indebolito, incalzato dall’estrema destra. Anche l’Europa non ha trovato una sua collocazione, divisa al suo interno e inconsistente come player internazionale. Raccogliere l’eredità di Merkel non sarà quindi facile, ma non certo perché sarà impossibile far meglio.
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