Trent‘anni dopo la dissoluzione dell‘Urss, quella che Vladimir Putin ha bollato come «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo», la Russia si trova ancora in una fase di transizione. Il regime ibrido costruito da Putin è di fatto uno Stato autoritario con parvenze democratiche. E tra queste ci sono le elezioni parlamentari. Anche quest’anno, con il voto che si tiene dal 17 al 19 settembre, entreranno alla Duma, oltre al partito del potere Russia Unita, diverse formazioni: la cosiddetta opposizione sistemica. Accanto alla novità del Partito della gente, creatura partorita nei corridoi del Cremlino per raccattare voti in uscita dai tradizionali bacini e guidata dall’oligarca filoputiniano Alexey Nechayev, che probabilmente ruberà il posto a Yabloko di Grigori Yavlinsky, e al sempre pilotato Partito dei pensionati, si presentano come da tradizione i socialdemocratici di Russia Giusta e soprattutto i due partiti sempreverdi che negli ultimi tre decenni hanno costituito, all’inizio più seriamente poi solo in apparenza, l’opposizione: i comunisti (PCRF) e i liberaldemocratici (LDPR).
Zyuganov e Zhirinovsky: i gemelli diversi della politica russa
I due leader sono gli stessi di 30 anni fa, il rosso Gennady Zyuganov, 77 anni, e il nero Vladimir Zhirinovsky, 75. Già ai tempi di Boris Yeltsin (1991-1999) occupavano le ali estreme del parlamento russo: a sinistra il primo, con gli eredi del Partito comunista sovietico, a destra l’altro, con una nuova formazione, anch’essa creata ad hoc nelle stanze del potere, che nonostante il nome tranquillizzante è sempre stata populista, nazionalista e sciovinista. Oggi si direbbe sovranista. Zyuganov e Zhirinovsky sono un po’ i gemelli diversi dell’opposizione sistemica russa che, a differenza di quella vera, ha imparato ad arrangiarsi, a sopravvivere e ad avvantaggiarsi nella Russia sempre più autocratica retta da Putin. Anche se non è sempre stato così, soprattutto per il leader storico dei comunisti.

Quando i comunisti insidiavano Yeltsin
Quando negli Anni 90 i comunisti facevano ancora i comunisti, Zyuganov aveva messo addirittura in allarme il mondo occidentale proprio perché rischiava da vero leader dell’opposizione di ribaltare il tavolo e far tornare al Cremlino falce e martello. Era il 1996 e alle elezioni presidenziali il malandato Yelstin rischiava di cedere la poltrona proprio al rivale comunista, osannato dopo i primi anni di transizione postsovietica che avevano portato all’elettorato russo sono disgrazie. Zyuganov era temuto da Europa e Stati Uniti che lo vedevano come possibile restauratore di un passato nemmeno tanto lontano. Ovviamente non se ne fece nulla, con gli spin doctor mandati dall’allora presidente Bill Cliton a dare una mano all’amico Boris e gli oligarchi padroni di televisioni e giornali a martellare contro il pericolo del ritorno rosso. Yeltsin vinse al ballottaggio anche con l’aiuto dei voti incanalati dal generale Alexander Lebed, terzo incomodo poi premiato con un posto da governatore.
L’exploit di Zhirinovsky bloccato dal Kgb
Dagli anni 2000, mentre il Cremlino si rafforzava, Zyuganov si è ammorbidito. Ma i comunisti hanno mantenuto una struttura partitica e un elettorato ancora consistente, tanto che oggi i sondaggi per la Duma li danno intorno al 15-20 per cento. Stesso dicasi per Zhirinovsky, messo nel 1991 alla testa del novello Partito liberaldemocratico (che nemmeno allora era libero ne tantomeno democratico) con la gentile collaborazione dell’allora Kgb. Alle elezioni della Duma del 1993 prese oltre il 22 per cento e si affermò come primo partito, risultato che poi non seppe confermare anche perché alla Lubyanka, sede dell’intelligence, capirono presto che il cavallo pazzo poteva davvero scappare di mano. Nel corso degli anni comunque il LDPR ha coltivato il proprio orticello ultranazionalista assestandosi tra il 10 e il 15 per cento odierni.

Russia Unita, anche se ammaccata, verso la vittoria
L’elettorato russo di destra e di sinistra ha quindi ancora come tre decenni fa i suoi punti di riferimento, un po’ invecchiati, ma sempre in sella. In Russia come ovunque però le elezioni si vincono al centro e qui lo spazio è ormai saldamente occupato da Russia Unita. Il partito del presidente, guidato ufficialmente da Dmitri Medvedev, è in ribasso (gli ultimi sondaggi lo danno al 29 per cento) ma non avrà problemi a mantenere la maggioranza relativa. Ai variegati movimenti di protesta, come quello messo in piedi da Alexey Navalny, il sistema ha messo i bastoni tra le ruote. A giocare all’opposizione bastano appunto Zhirinovsky e Zyuganov.