Liste Pd, Mezzogiorno di fuoco per Letta
Mezzogiorno di fuoco per Letta. In Puglia Boccia ha lasciato carta bianca a Emiliano scontentando gli avversari interni, in Campania si denunciano metodi da "basso impero" e in Sicilia l'accordo di Provenzano con i franceschiniani crea malumori ovunque.
Il messo al Mezzogiorno del Partito democratico, Francesco Boccia, è già sulla graticola. Ben prima delle elezioni del 25 settembre, che comunque gli garantiranno un agevole rientro in Parlamento, destinazione Senato. A oltre 10 giorni dalla consegna delle liste, il fronte del Sud per il Pd non è chiuso. Anzi, la faglia si sta aprendo sempre di più, creando un problema al segretario dem, Enrico Letta, che al momento preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto. «In tanti non stanno facendo la campagna elettorale», osserva con Tag43 un deputato uscente di lungo corso, analizzando le polemiche interne.

Il focolaio della rivolta acceso da Umberto del Basso de Caro e da Gennaro Oliviero
Il clima è quello strisciante da resa dei conti, dalla Campania alla Puglia, a cui si sommano i malumori siciliani, intrecciati crocevia delle Politiche e delle Regionali. La questione chiama in causa principalmente Boccia, supervisore della situazione dem in Puglia e in Campania, mentre in Sicilia il riferimento nazionale è il vicesegretario Peppe Provenzano. La miccia è stata riaccesa dall’intervento del deputato uscente e non ricandidato, Umberto del Basso de Caro, e del presidente del Consiglio regionale campano, Gennaro Oliviero, che in una lettera al Corriere del Mezzogiorno hanno denunciato sulla formazione delle liste l’attuazione di «metodi da basso impero» che «sono indice di prepotenza, di arroganza prevaricatrice, di insipienza politica ma, soprattutto, di incapacità – da parte della leadership – di ‘leggere’ la politica». Del Basso de Caro e Oliviero hanno poi ricordato che in tutta Italia ci sono «stati segnalati focolai di ribellione e protesta tra l’amarezza, lo sconcerto e l’incredulità di dirigenti e militanti». Certo, i due dirigenti hanno garantito il voto al Pd «per atto di fede», ma fissando un paletto: chiuse le urne, si deve ridiscutere tutto. L’anteprima di un congresso, la cui richiesta parte del Meridione. Enrico, insomma, non può stare sereno. Boccia ha così fatto sentire la propria voce, ricordando che i dirigenti devono votare il partito «a prescindere». E i due diretti interessati lo faranno, ma in modalità “naso turato” per rievocare l’immagine di Indro Montanelli con la Democrazia Cristiana.

L’attacco di De Luca e i malumori nella Puglia di Emiliano
L’operazione campana è dunque riuscita a scontentare tutti. Addirittura ha avuto da ridire il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, che ha fatto incetta di candidati, ottenendo senza colpo un posto blindato in lista per il figlio Piero, il suo fedelissimo vice in Giunta, Fulvio Bonavitacola, e il consigliere Luca Cascone, deluchiano doc. «Non ho più voglia di soffrire», ha detto De Luca sulle liste, deridendo i vertici nazionali. Non proprio un ringraziamento per l’occhio di riguardo che ha avuto la segreteria. Ma, per alcuni, si tratta di una furbata per scaricare qualsiasi addebito in caso di risultato deludente in Campania. Il fronte del Mezzogiorno è bollente pure nel luogo d’elezione di Boccia, la sua Puglia, dove il braccio destro di Letta ha lasciato carta bianca al presidente della Regione, Michele Emiliano. Così in posizioni eleggibili sono finiti gli uomini più fidati, a cominciare da Raffaele Piemontese, che ha cementato negli anni il rapporto con il numero uno dem in Puglia, grazie anche alla capacità di fare il pieno di preferenze. Un altro nome è quello di Claudio Stefanazzi, capo di gabinetto di Emiliano, e Ubaldo Pagano, parlamentare uscente. Le scelte hanno scatenato le ire dei suoi antagonisti interni, in primis i consiglieri regionali dem, Fabiano Amati e Ruggiero Mennea, che hanno addirittura parlato di liste «illegali» oltre che «invotabili», appena erano state compilate. I due esponenti del Pd pugliese hanno chiesto l’intervento della commissione nazionale, che ha preferito sorvolare. Anche perché sulla composizione c’era il beneplacito di Boccia. Ancora oggi, a poche settimane dal voto, la tensione non si è placata. «Che le liste Pd Puglia siano invotabili lo confessa pure il suo autore: Emiliano. Reo confesso», ha messo nero su bianco Amati, sui profili social, postando un’intervista del governatore della Puglia, che spiegava come effettivamente avesse indicato delle persone a lui vicine, a causa della legge elettorale in vigore.

Provenzano, il nodo siciliano e le tensioni tra correnti
A chiudere il cerchio del Mezzogiorno di fuoco per Letta, c’è la Sicilia, crocevia della doppia competizione nazionale e regionale. In questo caso il dossier è stato affidato a Provenzano che sulle lista ha trovato l’intesa con Anthony Barbagallo, segretario del Pd nell’Isola ed emanazione di Dario Franceschini. L’accordo però ha creato malcontenti nelle altre correnti del partito, su tutte quella di Matteo Orfini e degli altri ex renziani che fanno capo a Lorenzo Guerini. Rispetto a Puglia e Campania, la situazione in Sicilia rischia poi di essere peggiore. Al voto per le Politiche si somma quello per le Regionali, che vede il centrodestra nettamente favorito con Renato Schifani. La rottura del Movimento 5 stelle ha segnato la fine di qualsiasi ambizione di vittoria per Caterina Chinnici, che alle primarie era diventata candidata di una coalizione che non c’è più. Ora rappresenta un centrosinistra rabberciato che deve limitare i danni. Anche in questo caso la responsabilità ricade sulle spalle di Letta e chi, per conto del segretario, era chiamato a gestire la vicenda. Con un esito che è riuscito a spaccare il partito, portandolo verso una débâcle annunciata.