Una minaccia nera come il petrolio

Redazione
21/06/2021

In Namibia il progetto di un nuovo impianto di estrazione mette a rischio 130 mila elefanti. E l'ecosistema di una delle zone più selvagge del Paese. L'allarme degli ambientalisti.

Una minaccia nera come il petrolio

Il petrolio minaccia gli elefanti. In Namibia e Botswana decine di migliaia di pachidermi sono a rischio a causa dei piani per la creazione di un nuovo giacimento petrolifero in una delle ultime aree selvagge del continente. Attivisti e ambientalisti, come racconta il Guardian, temono che il sito devasti gli habitat e gli ecosistemi dell’area, nonché la fauna selvatica e, di conseguenza, le comunità locali.

Un’area di estrazione da 34 mila chilometri quadrati

«A oggi, in Africa vivono meno di 450 mila elefanti, rispetto ai milioni di poco tempo fa», sottolinea Rosemary Alles del Global March for Rhinos and Elephants. «Tra questi, 130 mila si sono stabiliti qui e ora sono minacciati dai piani della ReconAfrica». La compagnia canadese ha infatti ‘affittato’ più di 34 mila chilometri quadrati di terreno nella regione di Kavango, in Namibia, per realizzare un impianto che, secondo gli esperti, sarà il più grande degli ultimi anni. L’esplorazione è già iniziata e l’azienda stima il patrimonio petrolifero dell’area fra i 60 e i 120 miliardi di barili. Come sostiene la dottoressa Alles, le vibrazioni prodotte dalle macchine disturbano gli elefanti, mentre il traffico potrebbe costringere gli animali ad allontanarsi, finendo nelle mani dei bracconieri. «Quando hanno dei cuccioli, tendono ad allontanarsi dalle aree popolate dall’uomo che considerano un pericolo», continua Alles. «Questo processo potrebbe farli deviare dalle rotte migratorie e avvicinarli a villaggi e aree agricole creando seri problemi». Dal canto suo il governo della Namibia ha dichiarato che finora sono state concesse solo licenze esplorative, mentre per le operazioni di produzione occorreranno nuovi accordi. Fonti governative inoltre hanno rassicurato che non è interessata alcuna area protetta o sensibile e che i pozzi esplorativi «non avranno alcun impatto significativo sulla fauna selvatica».

L’impianto potrebbe rappresentare un pericoloso precedente

Gli scienziati e le comunità locali però non sono dello stesso avviso: il giacimento secondo loro metterà a repentaglio le riserve idriche minacciando il delta dell’Okavango in Botswana, area protetta e patrimonio dell’Unesco. «Ogni elemento di questo processo, dai siti di perforazione alle raffinerie, devasterà l’ecosistema», è l’allarme lanciato da Nnimmo Bassey, direttore della Health of Mother Earth Foundation e presidente di Oilwatch Africa. «Le comunità locali dipendono dall’ambiente circostante sia per l’agricoltura che per la pesca». Gli fanno eco gli ambientalisti, fra cui alcuni esponenti del Fridays For Future – Windhoek, un gruppo con sede nella capitale della Namibia, che ha definito il giacimento come «una gigabomba di carbonio». Si teme inoltre che la riuscita del progetto possa incentivare altre aziende a intraprendere azioni commerciali nell’area, creando una reazione a catena catastrofica per l’ecosistema. «Oggi lo chiamiamo capitalismo», ha detto Ina-Maria Shikongo, coordinatrice del gruppo. «Tuttavia è solo un altro modo per parlare di sfruttamento». Immediata la risposta da parte di ReconAfrica che sostiene la bontà del progetto. «Siamo certi che l’industria energetica possa svilupparsi in modo responsabile dal punto di vista ambientale e sociale», ha chiarito un portavoce dell’azienda, sottolineando la collaborazione con governi ed enti nazionali. «Usiamo attrezzature a bassa frequenza per non disturbare gli animali».