È stata annunciata come la prima conduttrice en travesti di Sanremo. La presenza di Drusilla Foer, personaggio al femminile interpretato dall’attore Gianluca Gori, sul palco del Teatro Ariston per il prossimo Festival di Sanremo sta già facendo discutere. Da una parte c’è qualcuno che si scandalizza o finge di scandalizzarsi, dall’altra chi interpreta la scelta come un momento di inclusività e un utile contributo alla causa dei diritti LGBTQ. L’importante è che se ne discuta anche per il bene dell’audience di un Festival che vuole replicare il successo della passata edizione. È tuttavia francamente sorprendete come questo possa essere solo fonte di dibattito. L’equivoco, il travestimento, l’inversione di ruoli (e di generi) e l’ambiguità fanno parte di ogni forma di arte performativa. Da sempre.

Il vaudeville e la nascita delle drag queen
Si può andare indietro nel tempo sino a Sofocle, il drammaturgo ateniese che fu anche coreografo, regista e attore, cimentandosi nei ruoli femminili come quello di Nausicaa. In questo caso però più che inclusività era discriminazione. Nell’antica Atene solo gli uomini potevano esibirsi. Così accadeva anche all’epoca di Shakespeare le cui commedie e tragedie vedevano gli uomini assumere panni femminili. Anche per questo di frequente nelle opere del bardo le donne si travestono da uomini, per riportare gli attori maschi nella loro dimensione più consona. E poiché gli abiti femminili avevano strascichi che si allungavano sulle assi del palco, il termine “drag” (“trascinare”) divenne in inglese un’espressione che significa “travestimento”. Anche se questa origine etimologica è ancora dibattuta, alla fine dell’Ottocento un artista e attivista afro-americano William Dorsey Swann si definiva la regina del “drag”, esibendosi in spettacoli di vaudeville, in cui il travestitismo era molto amato dal pubblico. Nascono così le drag queen.

Nel 1946 apre il primo cabaret parigino tutto dedicato a spettacoli di travestitismo, il Madame Arthur. Negli Anni 50 la vedette delle serate è Coccinelle all’anagrafe Jacques Charles Dufresnoy che nel 1958 sarà una delle prime persone al mondo a sottoporsi all’operazione di riassegnazione del sesso a Casablanca. Diventerà Jacqueline-Charlotte e due anni dopo si sposerà nella cattedrale di Notre Dame con il giornalista Francis Bonnet.

L’en travesti nella cultura di massa
Dai teatri vaudeville alla cultura di massa. Nel 1959 il pubblico impazziva per Jack Lemmon e Tony Curtis nei panni femminili nel film di Billy Wilder A qualcuno piace caldo. E prima ancora per l’Angelo azzurro, l’androgina Marlene Dietrich. Nel 1969 si traveste anche Aldo Fabrizi per un esilarante carosello del dado Star.
Da Frank-N-Furter del RHPS al glam rock, il trionfo dell’estetica queer
Ma dopo la rivoluzione sessuale si cerca un’ambiguità più provocante e più erotismo. Negli Anni 70 al cinema trionfa il macho con le calze a rete Frank-N-Furter (l’attore Tim Curry) protagonista del musical Rocky Horror Picture Show. Il glam rock confonde i generi sessuali: Marc Bolan si trucca e veste paillette, sia David Bowie che Lou Reed interpretano personaggi androgini e trasgressivi. L’estetica queer sbarca anche, trionfalmente, nella tivù italiana.

Paolo Poli e i veri travestiti: i balilla
Paolo Poli, che nel 1967 dopo un’interrogazione parlamentare del futuro presidente Oscar Luigi Scalfaro aveva subito la censura per la sua interpretazione teatrale di Santa Rita da Cascia, arriva in Rai alla trasmissione Milleluci, cantando travestito da donna. In una sua esibizione ha accanto Raffaella Carrà e Mina, entrambe in abiti maschili. I travestiti, per Poli erano ben altri: «Quando sono venuto al mondo», dirà in un’intervista, «mi son visto davanti l’Italia fascista con tutti travestiti da balilla, cioè da soldati».
L’Italia scopre nuove icone che oggi definiremmo gender fluid e transgender. Amanda Lear, ex modella di Salvador Dalì e mannequin per una copertina dei Roxy Music, sfrutta l’equivocità per raggiungere il successo musicale. Il suo passato è misterioso, la sua voce baritonale suscita scalpore: è una donna o un uomo? Emerge un suo passato nel teatro burlesque parigino con lo pseudonimo di Peki d’Oslo e un documento, trovato misteriosamente in uno strip-club milanese, da cui risulterebbe con il nome di Alain Tap, nato a Saigon nel 1939. «Una sua recente tournée in Italia ha avuto successo», scrive un quotidiano datato 1978. «La gente è corsa a vederla perché è bellissima e “molto femminile”, d’un fascino torbido, che provoca emozioni inconfessate. Si parla naturalmente di Amanda Lear, quell’impareggiabile androgino della disco-music. Insomma, Amanda, di che sesso sei?».

Il successo delle Sorelle Bandiera
Negli stessi anni arrivano in Rai le Sorelle Bandiera. Sono tre ballerine e cantanti che riprendono l’estetica di alcuni varietà americani Anni 30 e 40, ma sotto parrucche e abiti con maniche a sbuffo ci sono tre uomini: il messicano Tito LeDuc, l’australiano Neil Hansen e l’italiano Mauro Bronchi. Sono rispettivamente “la bionda”, “la rossa” e “la mora”, ma i rotocalchi dell’epoca le classificano anche come la “racchia”, la “bellissima” e “quella così così”. Debuttano in un cabaret gay di Roma e in televisione approdano grazie a Renzo Arbore che le rende star facendole esibire nell’indimenticabile carnevale anarchico domenicale che era la trasmissione L’altra domenica. Il successo è immediato. La loro canzone Fatti più in là diventa una hit in un’epoca in cui le classifiche sono dominate da regine che giocano sull’ambiguità, non solo Amanda Lear, ma anche Patty Pravo, Anna Oxa, Grace Jones. Arrivano le dietrologie. Su La Stampa del gennaio 79 si legge: «Non ci sono obiezioni contro il travestitismo (purché non emargini dalla tv le donne); ci si chiede piuttosto se il fenomeno delle tre sorelle non abbia anche implicazioni critiche e politiche».
Il conformismo Anni 80 e le polemiche su Eva Robbins
Dalla ribellione degli Anni 70 si approda a un certo conformismo Anni 80. Alcune associazioni cattoliche si ribellano alla presenza del transgender Eva Robbins nelle trasmissioni di Italia 1, ma le imitazioni al femminile (imitazioni, appunto, cosa ben diversa dall’en travesti) di Gianfranco D’Angelo in Drive In (la Carrà e Marina Ripa di Meana) e le comparsate di Paolo Villaggio nei panni dell’opinionista Gemma Pontini divertono il grande pubblico. All’inizio degli Anni 90 uno dei personaggi televisivi più amati è la casalinga Emma Coriandoli, interpretata prima in Domenica In poi per Striscia la Notizia dal comico romagnolo Maurizio Ferrini, anch’egli proveniente dalla scuderia di Renzo Arbore. «Capisco che sia diventata tanto popolare», spiegò il comico, ospite con il suo personaggio a Che tempo che fa, «c’è addirittura chi è convinto che esista realmente e le scrive. Qualche ottantenne ha avuto persino dei momenti di tensione erotica vedendola apparire sul teleschermo».

Da Charles de Beaumont cavaliere d’Éon a RuPaul
Tornando al Festival di Sanremo molti si sono posti il problema di come definire Drusilla Foer. Nell’era della neolingua politically correct c’è il rischio di usare il termine sbagliato: “uomo”, “donna”, “drag queen”, “travestito”. Un termine italiano caduto in disuso è eonismo che, ci assicura la Treccani, si riferisce al «transvestitismo maschile, cioè la tendenza ad abbigliarsi con abiti femminili da parte di individui di sesso maschile». A quanto pare, l’etimologia risale al francese Charles de Beaumont cavaliere d’Éon, una spia di Luigi XV particolarmente abile nel fingersi donna. Il problema è sempre di chi vuole creare categorie. L’attore è sul palco il personaggio che interpreta, come ha detto RuPaul, la drag queen più celebre dello showbiz: «Non mi vesto da donna, mi vesto da drag queen». Il Teatro Ariston peraltro in passato ha già visto le esibizioni di Conchita Wurst nel 2015 e dell’idolo pop e icona gay Boy George cantante dei Culture Club. Era il 1984 e il vero, vergognoso e imperdonabile, scandalo a Sanremo fu un altro. Tutti gli artisti stranieri si esibirono in playback, fingendo di cantare su basi registrate. Compresi i Queen di Freddie Mercury alla loro prima apparizione italiana.
