«Il palco è suo». Amadeus lascia il palco a una strabiliante Drusilla Foer, che per tutta la serata ha incantato l’Ariston e collezionato applausi. Il conduttore lo definisce il suo «gran finale». E lei ironizza «cantare? Mi ha fatto passar la voglia. Potrei parlare, ci sono tanti temi che affollano la mia mente e tanti temi che affollano la società che viviamo. Ma non vi posso ammorbare a quest’ora: ecco Drusilla Foer che parla di integrazione, che parla di diversità». Il monologo di Drusilla Foer arriva dopo una serata ricca di sketch e finti battibecchi con Amadeus.

Il monologo di Drusilla Foer
Proprio la parola diversità è ciò da cui parte Drusilla Foer per il suo monologo finale. Una parola che «non mi piace, è una distanza che non mi convince. Io credo che quando la verbalizzo sento sempre che tradisco qualcosa che sento o che penso. Io trovo che le parole siano come gli amanti, quando non funzionano vanno cambiati subito. Ho cercato un termine che potesse sostituire una parola che per me è così incompleta. Ne ho trovato uno molto convincente: unicità. Unicità mi piace. Un parola che piace a tutti, perché tutti noi siamo capaci di lodare l’unicità dell’altro e tutti pensiamo di essere unici. Facile no? Per niente.
L’unicità per Drusilla Foer
La terza co-conduttrice di Amadeus prosegue. «Per comprendere la propria unicità e accettarla è necessario capire di cosa è composta, di cosa è fatta, di cosa siamo fatti noi, eh? Certamente delle cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. E sì, però, i talenti vanno allenati, vanno seguiti. Delle proprie convinzioni bisogna avere la responsabilità, delle forze bisogna avere cura. Non è facilissimo e queste sono le cose sulla carta fighe. Immaginatevi quando si comincia coi dolori da affrontare, le paure da esorcizzare, le fragilità da accudire e prendersene cura. Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità».
L’appello di Drusilla Foer
«Come si fa a tenere insieme tutte queste cose? Io un modo ce l’avrei. Si prendono per mano tutte le cose che ci abitano: quelle belle e quelle che pensiamo siano brutte. E si portano in alto, si sollevano insieme a noi alla luce del sole in un grande abbraccio innamorato. E gridiamo: che bellezza, tutte queste cose sono io! Sarà una ficata pazzesca». Drusilla Foer si avvia verso la conclusione del suo monologo e della sua esperienza a Sanremo. Lo fa, spiegando che solo così ci si può aprire all’unicità e alla diversità dell’altro. Poi lancia l’appello: «Date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo insieme l’atto rivoluzionario, il più grande che si possa fare al giorno d’oggi, l’ascolto di sé stessi e degli altri. L’ascolto delle unicità, promettetemi che ci proveremo, doniamoci agli altri, confrontiamoci gentilmente e accogliamo il dubbio. Solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convinzioni. Vi prego, facciamo scorrere i pensieri in libertà senza pregiudizio, senza vergogna, facciamo scorrere i sentimenti con libertà e liberiamoci dalla prigionia dell’immobilità».
