E adesso cosa potrà succedere? Sale la tensione tra Washington e Mosca dopo che un caccia russo ha abbattuto un MQ-9 statunitense sul Mar Nero, nello spazio aereo internazionale. Secondo il Pentagono, due Su-27 Flanker russi hanno intercettato il drone di sorveglianza e, dopo avervi scaricato sopra del carburante, uno degli aerei ne ha colpito l’elica montata sul retro. Il ministero della Difesa russo nega ogni responsabilità, sostenendo che il velivolo è caduto dopo una manovra errata, sottolineando però che il drone volava «in direzione del confine di Stato della Federazione Russa». Di sicuro, l’incidente sta facendo preoccupare la comunità internazionale.
La versione di Mosca: «Attività militari vicino ai confini russi»
Il timore è che il primo incontro ravvicinato tra Russia e Stati Uniti dall’invasione dell’Ucraina possa portare a un’escalation. «Cosa succederebbe se un drone di quel tipo apparisse improvvisamente vicino a New York o San Francisco?»: per l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, l’episodio «è una provocazione». Il diplomatico ha detto alla Tass che il drone «stava volando con i transponder spenti ed è entrato nella zona di un’operazione militare speciale», alterando la realtà dei fatti dato che l’incidente è avvenuto nello spazio aereo internazionale. La Russia, ha aggiunto, «chiede agli Usa di mettere fine alle inaccettabili attività militari vicino ai confini russi».

MQ-9 Reaper, lo stesso dell’attacco che ha ucciso Soleimani
Il drone americano caduto nel Mar Nero era un MQ-9 Reaper, decollato da una base in Romania (inizialmente si era parlato di Sigonella) per una missione di ricognizione regolarmente programmata, che in genere dura dalle nove alle 10 ore. Progettato per la sorveglianza a lunga autonomia e a elevate altitudini, il drone MQ-9 Reaper è stato sviluppato da General Atomics Aeronautical Systems e portato in volo per la prima volta il 2 febbraio 2001: in uso alla United States Air Force, alla United States Navy, ma anche all’Aeronautica Militare italiana, può essere armato. Il 3 gennaio 2020 proprio un drone MQ-9 è stato usato a Baghdad nell’attacco che ha portato alla morte del generale iraniano Qasem Soleimani.
La collisione è costata agli Usa almeno 32 milioni di dollari
Appena dopo l’abbattimento, sono scattate le operazioni di recupero nella acque del Mar Nero. «Senza entrare troppo nei dettagli, quello che posso dire è che abbiamo adottato misure per proteggere il drone. È di proprietà degli Stati Uniti e ovviamente non vogliamo vedere nessuno metterci le mani sopra», ha dichiarato alla Cnn John Kirby, consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca. La collisione è costata agli Stati Uniti almeno 32 milioni di dollari. Difficile infatti stabilire il valore di ogni singolo MQ-9 Reaper, anche se esistono documenti forniti dal Pentagono. Uno per esempio parla di 56 milioni di dollari, considerando però la strumentazione a terra. Citando la Difesa Usa, Forbes nel 2020 scriveva invece che il costo era salito a 32 milioni, rispetto ai “soli” 14 del 2008. Ma Time, già nel 2012, arrivava addirittura a 120 milioni. Di sicuro, se i russi arriveranno per primi al relitto, sarà un vantaggio per l’intelligence di Mosca.
Il modus operandi della Russia: lo studio statunitense
Invasioni di spazi aerei con successivi “incontri ravvicinati” non sono rari, va detto. Basti pensare che, dopo quanto accaduto sul Mar Nero, caccia della Royal Air Force britannica e dell’aeronautica tedesca hanno intercettato un aereo militare russo sullo spazio aereo dell’Estonia, scortandolo fuori. Non troppo lontano dalle coste ucraine, poi, ronzano di continuo droni russi e Nato. Di solito, però, non si arriva alla collisione. È un altro il modus operandi russo, come ha spiegato nel 2021 uno studio del think tank Rand Corporation.
Sometimes, usually after other methods were used, Russian signaling would shift to something unsafe and unprofessional to compel a change. Below: a Su-27 flying directly in front of a B-52 bomber operating south of Crimea in 2020 – very dangerous. pic.twitter.com/ZJmAVDWtq9
— Dara Massicot (@MassDara) March 14, 2023
L’esercito russo, come osservato in decine di incontri ravvicinati nei cieli e nei mari, utilizza quella che gli esperti hanno definito «segnalazione coercitiva». Sulla scia dell’incidente Dara Massicot, tra gli autori del rapporto, ha pubblicato una serie di tweet al riguardo. Gli aerei russi, una volta individuato il “bersaglio”, si alzano in volo e si avvicinano, spesso armati. Mostrando, insomma, i muscoli. Un modo per invitare l’altro velivolo ad allontanarsi dall’area di interesse: «A volte, di solito dopo che sono stati utilizzati altri metodi, la segnalazione russa per costringere a un cambiamento ricorre a metodi non sicuri e poco professionali». Secondo il Pentagono, uno dei jet di Mosca avrebbe appunto scaricato carburante sul drone MQ-9. Per quanto riguarda l’Ucraina, ci sono stati diversi episodi del genere a partire dal 2014. Nel 2017, per esempio, un Su-27 è volato pericolosamente vicino a un aereo di sorveglianza RC-135 Rivet Joint. L’anno successivo, un aereo da guerra russo è quasi piombato sul muso di un aereo spia statunitense EP-3, mentre nel 2020 un Su-27 ha praticamente tagliato la strada a un B-52 statunitense.

Il grave incidente diplomatico del 2001 tra Stati Uniti e Cina
Questa volta l’incidente, per quanto abbia coinvolto un aeromobile a pilotaggio remoto, è un episodio più grave. Può darsi che sia nato da un errore: il Comando europeo degli Stati Uniti ha sottolineato l’incompetenza da parte del pilota russo. Ma non è escluso, anzi, che l’abbattimento sia stato volontario. Come ha sottolineato il comandante del Corpo dei Marine David Berger, sono questi gli episodi che destano maggiore preoccupazione nell’esercito Usa, a causa dell’imprevedibilità della catena di eventi che potrebbero innescare. Un velivolo da guerra statunitense non veniva coinvolto in un episodio del genere dal 2001, quando si verificò un incidente tra un EP-3 che stava volando verso Okinawa a circa 70 chilometri dall’isola cinese di Hainan e uno dei due due J-8 cinesi alzatosi in volo per intercettarlo.

La collisione provocò la distruzione del J-8 e la morte del pilota, mentre l’EP-3 (con 24 militari a bordo) fu costretto a effettuare un atterraggio di emergenza ad Hainan, in quello che fu un gravissimo incidente diplomatico. Abbattere un drone – per quanto costoso – è una cosa, un’altra sarebbe distruggere un aereo con equipaggio o anche solo forzare a un atterraggio di emergenza nel bel mezzo di una guerra. Questo sì, potrebbe essere il punto di non ritorno.