Nella storia della musica, nessun genere più del rap si è fatto cassa di risonanza di rivendicazioni sociali raccontando anche storie di violenza. Attraverso un linguaggio senza filtri e beat incalzanti, gli artisti hanno fatto conoscere al pubblico un mondo che la luce dei riflettori preferiva, spesso, non illuminare. Ed è proprio in questo contesto che il genere drill è riuscito a emergere. Conquistando, negli ultimi 10 anni, una popolarità che ha fatto discutere.
Il sottogenere drill nasce nei sobborghi di Chicago intorno al 2010
Nata nei sobborghi di Chicago, la musica drill risuona oggi nelle stazioni radio di tutto il mondo. Il termine drill, proprio dello slang usato nelle periferie della città, indica conflitti armati e vendette tra gang, in linea con alcuni dei temi che questo sottogenere tratta e, a suo modo, mette in discussione. Al contrario di altre forme di hip hop, infatti, i testi drill sono cupi, nichilisti, e intendono sdoganare argomenti scomodi (come lo spaccio di droga o il ricorso alle armi per pareggiare i conti) più per documentarli che per esaltarli. Tracciare una storia della nascita e dell’evoluzione del drill è complicato ma individuarne con esattezza l’origine è possibile. Il primo a utilizzare il termine drill è stato un rapper di Chicago, Pac Man, che nel 2010 lanciò la canzone It’s a drill, un pezzo che giocava sulle diverse accezioni del termine.
Drill, tra autenticità a tutti i costi e polemiche
A consacrare il drill sono stati, senza dubbio, l’autenticità e le storie a cui ha dato spazio. Molte delle quali reali. Una sincerità che ha contribuito al successo mainstream del genere. Basta ricordare che nel 2012, il 16enne Chief Keef ha sfornato il singolo I Don’t Like entrato nella Billboard Top 100 in America. Ma con la popolarità sono arrivate, ovviamente, anche le polemiche e le critiche. Gli omicidi di Pac Man e del rapper Lil Jojo, tra 2010 e 2012, hanno fatto il resto. Ancora oggi c’è chi sostiene che la musica drill debba mantenere una autenticità autobiografica a tutti i costi e chi crede che la vita violenta dei cantanti non sia una condizione necessaria per raccontare questi spaccati di vita.
Censure e processi: la dura vita dei driller
Al di là degli aspetti più discussi, però, è innegabile che l’impatto del genere sulla scena musicale sia stato (e continui a essere) notevole. «Se ne può parlare, a tutti gli effetti, come del più importante sottogeneri del rap negli ultimi 10 anni e di un fenomeno pop incredibile», ha spiegato il giornalista Alphonso Pierre alla Bbc. «Le storie che racconta sono spesso tragiche, i rapper sono adolescenti costretti a crescere in fretta e che non possono proporre un ritratto candido di quel che hanno vissuto. Quello è il mondo in cui vivono». Soprattutto tra 2019 e 2021, il drill ha iniziato a diventare una moda globale. Un successo non certo visto di buon occhio. Tra tentativi di censura, ritardi nella distribuzione sulle piattaforme di streaming e fedine penali che, in diversi casi, non li aiutano a uscire indenni dalle polemiche, i driller si aggrappano all’idea che ciò che cantano non sia un invito a imitarli ma a porre attenzione su una realtà che esiste a prescindere dalla loro musica, in tutta la sua crudezza. E che, solo se mostrata, può aiutare chi vuole combatterla a conoscerla e a risolverla. Una visione che forze dell’ordine e giustizia non condividono, viste le continue richieste di rimozione dei video da youtube e l’utilizzo di testi e filmati come prove nei processi. Un dato su tutti: solo in Inghilterra sono stati più di 70 i processi che, tra 2020 e 2021, hanno portato la musica drill in tribunale come principale imputata.