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Tre palle e un soldo

Draghi decide da solo. Ai partiti resta la Rai

Il premier cambia metodo: basta con i cda spartiti a tavolino e nomine fatte da lui azienda per azienda. Unica eccezione la tivù pubblica, che resterà riserva di caccia delle forze politiche.

10 Maggio 2021 10:3810 Maggio 2021 16:00 Occhio di Lince
Il metodo Draghi per le nomine

Occhio di Lince è tornato. Per anni aveva imperversato con notizie e retroscena tanto gustosi quanto azzeccati su Lettera43, poi disgustato dalle cose terrene e attratto dalla voce del Signore, si era chiuso in esercizi spirituali eremitali. Ora, appagato da tanta preghiera e solitudine, e attratto dalle novità italiane – che consideri Mario Draghi come Dio sceso in terra? – è tornato tra noi. E noi, che al momento di battezzare Tag43 ci siamo sentiti chiedere da molti «ma ci sarà anche Occhio di Lince sul nuovo giornale? Ci piacerebbe ritrovarlo», non ci siamo fatti scappare l’occasione. Bentornato.

Mario Draghi, si sa, preferisce fare piuttosto che parlare. E se c’è una cosa su cui vuole evitare non solo dichiarazioni, ma anche chiacchiere e voci dal sen fuggite, è l’esercizio dei suoi poteri. E il potere di nomina, a maggior ragione. Per questo non ha detto, né mai dirà, di aver già fatto una vera e propria rivoluzione, a proposito di nomine: ha abolito il tavolo. Sì, parlo delle famose riunioni intorno a un qualche tavolo, a Palazzo Chigi ma anche altrove, che i diversi governi che si sono trovati a fare nomine hanno sempre convocato in modo da organizzare la spartizione tra tutte le forze di maggioranza. La logica era quella di concentrare le scelte in un unico momento, prescindendo dalle scadenze dei cda delle singole società o dei vertici degli enti – cosa, questa, che spesso costringeva a tenere aperte per settimane se non mesi le assemblee che poi dovevano ratificare decisioni prese altrove – per poter affrontare meglio la attribuzione degli incarichi. Infatti, più nomine c’erano in ballo, meglio si poteva accontentare tutti, parlando in ottica manuale Cencelli.

 

Come draghi lavora alle nomine
Renato Brunetta, Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Getty Images).

Saltano i tavoli del manuale Cencelli

I fessacchiotti avevano creduto che quella logica lottizzatoria sarebbe sparita con l’arrivo nelle stanze dei bottoni dei grillini. Vedrai che i pentastellati metteranno fine a quello scandalo, dicevano sicuri di sé gli ingenui. Invece, si sono rivelati più affamati dei dorotei. E non solo di presidenze, di amministratori delegati, direttori generali, consiglieri di amministrazione e collegi sindacali. No, anche di posizioni gestionali minori, per quanto rilevanti. Della serie, non si butta via niente. Ora ve ne racconto una. L’altro giorno incontro un uomo che è stato alla presidenza di un grande istituto pubblico. Mi dice: «Sai, quando ero al vertice, ogni anno venivano dei politici, solitamente sottosegretari ma anche parlamentari di peso, a raccomandarmi un dirigente interno per essere promosso a una posizione apicale. La cosa buffa che il raccomandato era sempre lo stesso, mentre i suoi sponsor cambiavano, ogni volta erano di un partito diverso. Siccome li ascoltavo, dicevo loro “vedrò quello che posso fare” e poi buttavo via l’appunto, durante la mia presidenza quel dirigente è riuscito a farsi segnalare da tutto l’arco costituzionale. Poi io sono uscito, ma qualche tempo fa ho saputo che quel tizio aveva finalmente raggiunto il suo scopo. Sai chi l’aveva raccomandato centrando il bersaglio? Il grillino Stefano Buffagni».

Draghi e il metodo per le nomine
Gianni Letta (Getty Images).

La Rai il solo osso che lascerà ai partiti

Ma torniamo a Draghi. Il presidente del Consiglio ha dato disposizione che le nomine si fanno una per una, di volta in volta che ci sono le scadenze (da rispettare). Quindi niente tavolo con i partiti, niente grande spartizione. Inoltre le scelte le farà palazzo Chigi, d’intesa con l’azionista formale (che è quasi sempre il Tesoro) e sentito il ministro di competenza. Facciamo due esempi di stretta attualità: per Cdp – che significa decidere se confermare o meno Fabrizio Palermo e nel caso che no se sostituirlo con Dario Scannapieco, la partita è solo tra loro due – a decidere sarà Draghi con il ministro Daniele Franco; per Ferrovie sarà Draghi con Franco, sentito il ministro Enrico Giovannini (al quale sarà concessa una sola risposta valida: «Prendo atto»). Poi naturalmente alle orecchie di Draghi si saranno affollati in molti a suggerire questo o quello, ma vi assicuro che le uniche parole ascoltate saranno quelle di (in ordine decrescente di peso): Giuliano Amato, Paolo Gentiloni, Gianni Letta, Francesco Giavazzi, Alessandro Aresu (a proposito, ottimo il pezzo di Tag43 sul professorino astro nascente), Giancarlo Giorgetti, Renato Brunetta. Parleranno ma saranno ascoltati poco o niente il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli e il suo capo di gabinetto Antonio Funiciello. Domanda: ma se Draghi agisce così, non rischia di farsi male da solo irritando i leader di partito che lo devono sostenere oggi e magari domani eleggere al Quirinale? Risposta: Draghi è tutto meno che accorto, lascerà ai partiti la Rai. Lì proprio non metterà becco, che se la spartiscano pure. Ora scusate, vi lascio. Devo andare dal mio padre spirituale confessarmi.

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