Dungeons & Draghi

Lo dipingono come un caterpillar, un decisionista, un supereroe. Eppure fin dall'inizio i partiti, dati per morti, hanno costretto il premier e il governo di unità nazionale a compromessi e marce indietro.

Dungeons & Draghi

Super Mario sì, ma fino a un certo punto. Dall’avvento del governo di unità nazionale è stato tutto un salmodiare circa lo splendente decisionismo del caterpillar Draghi che va avanti a tamburo battente, che «ascolta tutti ma decide da solo», che detta i tempi secondo le tabelle di marcia del Pnrr. E si sprecano locuzioni come “partiti in bambola”, “politica in coma”, “scontro politico messo tra parentesi”. Solo nell’ultimissimo periodo qualcuno ha timidamente iniziato a mettere in evidenza la maggiore farraginosità d’azione di questo esecutivo, accreditando uno spirito di più prudente attenzione alla mediazione da parte del presidente del Consiglio e collegandolo alla prossima corsa per il Quirinale.

Le prime mediazioni sul decreto di marzo per contenere la terza ondata

In realtà Draghi ha dovuto sin da subito farsi concavo e convesso in seno alla sua base parlamentare variegata e litigiosa. A volte ha dovuto far buon viso a cattivo gioco, è rimasto impastoiato in dossier scottanti che avrebbe voluto chiudere in un lampo, è finito pure lui in qualche trappola e ha dovuto persino subire qualche brusco stop e qualche schiaffo energico dai suoi azionisti di maggioranza, forse meno deboli di quanto li si voglia dipingere. La pandemia, ovviamente, è stata il primo e più sensibile terreno su cui i leader a sostegno dell’ex presidente della Bce hanno incrociato le lame e la Lega, va da sé, si è subito mostrata la più riottosa rispetto ai provvedimenti di rigore. Così Super Mario già a inizio marzo, pur con tutta la forza politica dei primi mesi di investitura, ha dovuto mediare rispetto al varo del decreto legge che poi giunse soltanto il 13 marzo e che puntava a contenere la terza ondata, mettendo le redini agli italiani che, in zona gialla, trascorrevano agognati weekend in allegri assembramenti.

Gli inciampi dell’esecutivo sulla politica economica

Ma è sulla politica economica che andava misurata, da subito, tutta la snella potenza decisionista impressa da Draghi all’azione dell’esecutivo, con il fiore all’occhiello del cronoprogramma del Pnrr fissato in accordo con la Ue (primo azionista di peso del governo, nella mente e nel cuore del presidente del Consiglio). Gli esiti, però, sono sotto gli occhi di tutti: sulla delega fiscale e su quella per la concorrenza la scadenza di luglio è stata clamorosamente bucata e i provvedimenti sono arrivati rispettivamente il 6 ottobre e il 4 novembre. Ma i ritardi nei tempi riflettono naturalmente le pervicaci resistenze sul merito di alcuni provvedimenti da parte di forze politiche tutt’altro che supine al volere supremo del premier. Addirittura, i ministri leghisti hanno abbandonato per protesta la seduta del Cdm che ha varato il ddl delega sul fisco e la dura opposizione di molti partiti alla riforma del catasto, che la Ue chiede da tempo immemorabile in coro con Ocse e Fmi, ha costretto Draghi a virare su una mappatura basata su nuovi parametri che sarà resa disponibile soltanto nel 2026. Inoltre il premier ha dovuto affrettarsi a chiarire che «nessuno pagherà di più o di meno», mentre in cuor suo di certo sposa appieno l’impostazione degli organismi sovranazionali (e non solo) secondo cui l’Italia dovrebbe gradualmente spostare la tassazione dai fattori produttivi ai patrimoni.

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Il nulla di fatto sulle concessioni balneari

Ma cosa intende il governo con il termine mappatura? Lo si è capito meglio guardando il ddl concorrenza: Batman Draghi avrebbe voluto ripulire le Gotham del settore spiagge e commercio ambulante. L’Europa preme in tal senso, ma le forze politiche, Lega e Forza Italia in testa, lo hanno riportato a più miti consigli: l’illuminato afflato liberal-riformista è stato messo in soffitta e il tema del ritorno alle gare in questi due comparti è uscito di scena, lasciando il posto, appunto, alla più innocua mappatura delle concessioni demaniali in vista di una futura riforma. Rispetto agli stabilimenti balneari, in ogni caso, ci ha pensato il Consiglio di Stato ad azzerare tutto dal 2024 e adesso l’esecutivo sarà costretto a intervenire in qualche modo. Il ddl concorrenza è comunque la cartina di tornasole migliore per cogliere l’efficacia del potere frenante dei partiti nei confronti della spinta demiurgica dell’ex presidente Bce. Il M5s ha stoppato ad esempio gli incentivi agli inceneritori. E anche sulle concessioni idroelettriche il premier, che voleva mettere fine alle prerogative regionali e riportarle in capo allo Stato, ha sbattuto contro il muro della Lega e in particolare del ministro Giancarlo Giorgetti. Risultato? Palazzo Chigi si è accontentato di un incentivo alle Regioni ad accelerare le gare assieme a un rafforzamento dei poteri sostitutivi dello Stato.

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La vittoria dei notai

In alcuni casi, invece, i partiti vincono quando fanno sponda con potenti interessi di carattere corporativo: ecco per esempio che dalla delega sulla concorrenza è stata a un tratto sbianchettata la norma che avrebbe consentito la mobilità dei notai al di fuori del distretto di appartenenza e della regione di assegnazione. Il notariato, in ogni caso, vince sempre; così Draghi e i suoi hanno dovuto cedere pure sulla possibilità di iscrivere online le nuove società di capitali grazie al canale alternativo delle camere di commercio. Niente da fare: il decreto legislativo che regola la materia ha rinunciato a una rilevante innovazione, confermando l’appannaggio esclusivo dei notai.

I tentennamenti su manovra e pensioni e bonus edilizi

E che dire della manovra? Arrivata in Cdm il 28 ottobre, con una settimana buona di ritardo sui termini dettati dalle regole del ciclo di bilancio, è stata formalmente varata, ma è poi tornata nel limbo dei provvedimenti desaparecidos, con buona pace della governance economica europea. In Senato ancora non l’hanno vista e il tempo stringe. Si tratta di una poco commendevole prassi, c’è da precisare, che va avanti da anni, ma alla quale nemmeno il governo attuale si è sottratto, malgrado le scarse sottolineature da parte di stampa e osservatori. Certo, l’anno scorso il ritardo fu ben peggiore, ma c’era l’alibi dei quasi contemporanei scostamenti di bilancio per la pandemia da calibrare e varare. In questa manovra, comunque, i due schiaffi più sonori assestati dai partiti al capo del governo sono arrivati sulle pensioni – con Salvini sulle barricate e la soluzione di compromesso per superare quota 100 che lascia aperta tutta la partita vera della riforma previdenziale – e sui bonus edilizi, con il dietrofront del Mef e del fedelissimo Daniele Franco sul superbonus 110 per cento e le villette monofamiliari, ma anche su sconto in fattura e cessione del credito per le altre agevolazioni di settore. Senza dimenticare che l’esecutivo ha alzato le mani e rimesso la parola al Parlamento pure sulla riduzione delle tasse, visto che Draghi non è riuscito a imporre una linea di intervento in Consiglio dei ministri.

I nuovi fronti di Draghi: stato di emergenza e super Green pass

A volte, c’è da dire, il whatever it takes del premier va a sbattere anche contro la volontà di singoli ministri. Così Dario Franceschini ha tenuto il punto e l’ha avuta vinta sul mantenimento del bonus facciate (pur ridimensionato) e sulla conferma del bonus cultura 18app, misure che Draghi voleva cancellare tout court. E come dimenticare le barricate M5s con il compromesso finale sulla riforma Cartabia della prescrizione, inizialmente benedetta dal premier? Comunque, è ormai molto lunga la lista dei dossier su cui il pugno duro dell’ex governatore di Bankitalia è stato ammorbidito dai partiti. Intanto, nuovi fronti si stanno aprendo all’orizzonte: cosa farà la Lega sulla proroga dello stato di emergenza e della validità del super Green pass? Mentre ci sono materie meno mainstream che già vedono surriscaldarsi gli animi: dalla ridefinizione del patent box (regime agevolato di tassazione per l’utilizzo di software e brevetti) all’atteso decreto contro le truffe sugli stessi bonus edilizi, provvedimento che vede la saldatura, in posizione critica, dei partiti con il mondo delle banche. Per Super Mario, insomma, inizia a esserci troppa kryptonite dalle parti di Palazzo Chigi.