La pausa di riflessione dell’America sulla strada suicida di Trump
Il "Make America great again" e le banalità populiste di Trump si sono inceppate: alle midterm 2022 niente onda rossa repubblicana. Biden festeggia, anche se non ha vinto. The Donald continua a essere forte nel partito, ma è braccato dalle inchieste. Ci penserà il Gop con le Primarie a toglierlo di mezzo?
Il presidente Joe Biden non ha vinto, ma ha salutato il risultato con soddisfazione. Le elezioni di midterm dell’8 novembre 2022 sono quelle dove i democratici, ha detto, hanno perso meno seggi, nel primo mandato presidenziale, dai tempi di John Kennedy. Donald Trump non ha avuto la sua onda travolgente repubblicana e alcuni suoi campioni, il caso più eclatante quello dell’ipertrumpiana del Colorado Lauren Boebert nota per girare armata anche alla Camera, sono indietro con grande sorpresa, sia pure di un soffio, al 99 per cento delle schede scrutinate. Queste midterm sono state votazioni anomale, che non solo hanno misurato il consenso alla leadership del presidente in carica, ma anche valutato le speranze del loquacissimo convitato di pietra Donald Trump, molto forte ancora nei gruppi parlamentari ma assediato da quasi una dozzina di procedimenti giudiziari e deciso a trarsi d’impaccio con una seconda candidatura presidenziale. Da annunciare subito, come antidoto alla magistratura ordinaria e alle indagini parlamentari, che la nuova Camera peraltro a gennaio vorrà affossare. Sarebbe un sollievo a breve per Trump ma una mina futura, poiché si vedranno i suoi fedelissimi al Congresso impegnati a salvarlo dai rigori della Costituzione. Tutti sanno che fu lui a incitare l’attacco al Campidoglio del gennaio 2021, e che fu lui a sollecitare manipolazioni del voto in alcuni Stati in bilico, come le Georgia, dove il governatore e il segretario di Stato che a lui si opposero, repubblicani, sono stati ora riconfermati dal voto. Non c’è stata la grande spallata repubblican-trumpiana. C’è stata piuttosto una diga democratica, e in alcuni casi selettivi anche repubblicana, più forte del previsto.
Biden ha perso meglio di quanto fecero Truman, Clinton e Obama
Con numerosi scrutini ancora aperti l’8 novembre 2022 ha comunque stabilito tre fatti. Primo, la maggioranza della Camera dei deputati, dove i democratici avevano un margine di cinque voti, passa ai repubblicani che avranno una maggioranza più larga. Ma non di molto, perché i democratici hanno perso con Biden molto meno di quanto persero con Harry Truman alle midterm del 1946 (55 seggi), in quelle del 1994 con Bill Clinton (53 seggi) e in quelle del 2010 con Barack Obama (63 seggi). Per il Senato, finora a maggioranza democratica risicatissima di un solo voto, occorre aspettare, forse fino al probabile ballottaggio del 6 dicembre in Georgia, previsto dalle norme di quello Stato se nessuno dei primi due candidati supera il 50 per cento.

Nei repubblicani la tesi del voto truccato nel 2020 va ancora forte
Secondo, Trump è ancora molto forte nel partito e lo dimostra il fatto che più di 170 degli ora eletti alla Camera, che ha un totale di 435 seggi, hanno in vario modo sottoscritto o avallato o lasciato intendere approvazione alla tesi trumpiana di un voto truccato nel 2020, e quindi di un Joe Biden usurpatore. Circa cento altri, eletti qualcuno al Senato e i più in cariche locali, da governatore a segretario di Stato a responsabile statale della giustizia, hanno pure sottoscritto la tesi del voto rubato. Di questi circa 270, una irriducibile minoranza di circa 30, fra cui qualche senatore e qualche governatore, lo ha fatto e continua a farlo in modo forte e chiaro, senza mezzi termini.
Gli Usa restano spaccati: Trump può essere tolto di mezzo nel 2024
Terzo, il voto dell’8 novembre conferma che gli Stati Uniti sono spaccati, muro contro muro, con poche possibilità di dialogo, con gli oltranzisti del Freedom Caucus trumpiano che condizioneranno con tecniche da guerriglia il gruppo repubblicano alla Camera impedendo al vertice parlamentare del partito qualsiasi mediazione, e mirando tutto alla lutte finale, le Presidenziali del 2024, che o riporteranno Trump alla Casa Bianca, o lo toglieranno finalmente di mezzo, se prima in sede di Primarie non ci penserà il partito.

Le vittorie risicate sono tipiche del complesso sistema americano
È stupefacente come negli Stati Uniti, e nonostante che dozzine di cause legali abbiano tutte fallito il tentativo di dimostrare qualche broglio, la “vittoria tradita” sia diventata una bandiera. Ed è una fortuna che l’elettorato democratico, in genere in calo nelle midterm, si sia ora mobilitato con la stessa intensità del 2018, quando la parola d’ordine era togliere la maggioranza congressuale a Trump, il che riuscì alla Camera. Con il complesso ma non del tutto ingiustificato sistema americano dell’electoral college, Trump vinse nel 2016 su Hillary Clinton, che ebbe quasi tre milioni di voti popolari in più, per 78 mila voti in tre Stati – Michigan, Pennsylvania e Wisconsin – e nessuno disse niente. Così come Richard Nixon aveva accettato e certificato, da presidente del Senato, la vittoria risicata di John F. Kennedy nel 1960 e Al Gore quella assai più risicata di George W. Bush nel 2000. Ma Trump cercò di far saltare il banco, e continua a cercare di farlo, restando impunito, dopo che Biden lo sconfisse nel 2020 con 7 milioni di voti popolari in più e 43 mila in più nei determinanti Wisconsin, Arizona e Georgia. Due vittorie analoghe, ma la seconda un imbroglio dice Trump.
The Donald ha estremizzato un processo lungo 50 anni
Trump è un uomo d’affari di lungo corso, di scarso prestigio, di totale megalomania e di una spregiudicatezza che solo una grande ignoranza può garantire. Gran parte della finanza di Wall Street, non delle verginelle, ha sempre cercato di non avere a che fare con lui. Non è che Trump sbagli sempre, ma non conosce né studia i dossier preferendo il suo “fiuto”, non ha metodo, né coerenza, né visione, se non le bubbole Maga, Make America Great Again. Trump non ha galvanizzato e inebetito mezzo Paese partendo dal nulla. Ha solo estremizzato e portato alla farsa un lungo processo durato oltre 50 anni che ha fatto sparire i repubblicani liberal, quasi azzerato i democratici conservatori un tempo molto numerosi nella working class e passati ai repubblicani, annullato il solid South un tempo tutto democratico (e segregazionista) in quanto partito delle autonomie locali contro i repubblicani centralisti (il tema della Guerra civile). È un processo che gradatamente ha fatto del Sud, in totale 16 Stati che vanno da Delaware, Maryland e Virginia a Nord e Nord-Est a Florida, Mississippi e Texas a Sud e Sud-Ovest, una realtà repubblicana. Molti vedono il passaggio cruciale nel Civil Rights Act e nel Voting Rights Act della metà dei 60, quando i democratici del Sud si sentirono “traditi”. Franklin Roosevelt e il New Deal, che si reggeva sui voti del Sud contro Wall Street, avevano sempre lasciato stare i temi della de-segregazione, avviata poi da Harry Truman dopo la guerra.

Elefantino e asinello sono sempre più differenziati
Da allora anche sui temi fiscali, etico-religiosi, sul controllo dell’economia, i due partiti si sono sempre più differenziati. Quando 70 anni fa l’American National Election Studies incominciava a chiedere «ci sono importanti differenze tra democratici e repubblicani?”, solo il 50 per cento rispondeva sì. Nel 1984 eravamo al 63 per cento, nel 2004 al 75 e nel 2020 al 90. Donald Trump è diventato presidente esasperando questa divaricazione e spiegando che solo la formula Maga poteva salvare l’America, una banalità destinata al successo nell’era dei populismi. Maga, dice il columnist conservatore George Will, un veterano, «vuol solo dire un’America sempre più simile all’Ungheria». Il voto dell’8 novembre 2022 è stato un momento di pausa e riflessione su questa strada suicida.