Dmitri veste Pravda

Stefano Grazioli
20/10/2021

Giornalista televisivo dalla fine degli Anni 80. Simbolo della guerra mediatica tra Russia e Occidente. E mente della propaganda del Cremlino. Chi è Kyseliov.

Dmitri veste Pravda

È uno dei tanti russi colpiti nel 2014 dalle sanzioni occidentali dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca e l’avvio della guerra nel Donbass. Non quindi un caso isolato, quindi, sebbene sui generis visto che si tratta di un giornalista. Dmitri Kyseliov però non è un giornalista qualsiasi visto che da oltre sette anni è – a sentire Bruxelles e Washington – il capo della propaganda putiniana. Per Unione europea e Stati Uniti è lui l’eminenza grigia e mediatica del Cremlino.

Kyseliov è il simbolo della guerra mediatica tra Russia e Occidente

Kyseliov è dal 2008 il il vice direttore delle holding statale Vtgrk, la Rai russa in sostanza, e dal 2013 al vertice dell’agenzia Russia Segodnya, affidata editorialmente a Margarita Symonian. Volto noto in patria, con una carriera iniziata nella tivù dell’Urss alla fine degli Anni 80, è diventato col tempo il simbolo della guerra dei media tra Russia e Occidente per le sue posizioni filoputiniane, come se fosse davvero la voce del Cremlino. Nato nel 1954 a Mosca, laureatosi nel 1978 in filologia scandinava nell’allora Leningrado, ha cominciato a lavorare al telegiornale del primo canale della tivù statale, passando poi per le varie reti private in mano agli oligarchi durante la transizione postcomunista sotto Boris Yeltsin, quasi sempre come moderatore di talk show politici. All’inizio degli Anni 2000 ha fatto la spola tra Mosca e Kiev, impegnato su più fronti, al servizio dei magnati di turno, come Victor Pinchuk, il genero dell’allora presidente ucraino Leonid Kuchma, sostenitore nel 2004 del filorusso Victor Yanukovich nel duello che diede origine alla rivoluzione arancione, vinta da Victor Yushchenko, gradito a Ue e Usa. Dal 2005 è tornato in pianta stabile in Russia, sempre al primo canale televisivo.

profilo di Dmitri Kyseliov, lo spin doctor di Putin
Vladimir Putin (Getty Images).

La propaganda sfoderata nella crisi ucraina del 2013

Il salto definitivo, dal giornalismo camuffato alla propaganda in grande stile e alle fake news, è arrivato nel 2013 con l’avvio della crisi ucraina. Quello che a Kiev è stato fatto passare dall’Occidente come un turbolento passaggio democratico, è invece stato per il Cremlino un colpo di Stato, con il presidente Yanukovich costretto alla fuga e l’arrivo di un governo favorevole a Bruxelles e Washington con tanto di ministri provenienti da paesi dell’Unione e dagli Usa. E Dmitri Kyseliov ha trovato la chiave per raccontare la versione russa dei fatti, soddisfacendo la tesi, non del tutto campata per aria, del golpe a Maidan, rispondendo alla vulgata mediatica che in Occidente ha narrato esattamente il contrario. È in questa fase che Kyseliov si è scoperto e rivelato più putiniano di Putin, come in Italia nemmeno fino a troppo tempo fa era stato Emilio Fede con Silvio Berlusconi. Giusto per capirsi.

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Kyseliov è il megafono per il Cremlino

Omofobo, amante delle belle donne e dei matrimoni, sette per ora con un pugno di figli sparsi, Dmitri è però più innamorato di Vladimir Vladimirovich Putin e tutt’uno con il giornalismo militante che l’ha reso noto in mezzo mondo dove è considerato il portavoce del Cremlino. A dire il vero in maniera erronea, visto che il suo compito è quello di esagerare, amplificare, tenere unito l’elettorato putiniano, quello che almeno ancora si abbevera alla tivù e che è costituito in larga parte da telespettatori della sua generazione, al di sopra dei 60 anni. Il portavoce Putin ce l’ha, si chiama Dmitri Peskov, ed è sempre molto succinto. In Ucraina, Paese in cui esiste un ministero per l’Informazione politica e dove il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato guerra all’opposizione facendo chiudere giornali e televisioni, il propagandista Dmitri Kyseliov non può entrare, causa sanzioni. A Kiev in molti se la sono presa con una delle sue classiche frasi ad effetto, pronunciata nel 2014,  in cui definiva l’Ucraina «un Paese virtuale» e «uno Stato fallito». A lui del bando poco importa, anche perché l’ex repubblica sovietica qualche problema statuale ce l’ha, e soprattutto perché è da Mosca che la sua battaglia continua.

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