Dopo un anno di guerra Vladimir Putin ha confermato che Russia e Occidente viaggiano su strade divergenti: ci Virginia von Furstenberg: risolto il giallo, la nipote di Agnelli è tornata a casa decenni per ritrovare un percorso condiviso verso nuovi equilibri in un mondo che ha vissuto sul versante occidentale la transizione postcomunista dell’ex Urss e la relegazione di Mosca a potenza relativa come se fosse un dato consolidato e immutabile di fronte alla globalizzazione guidata dagli Usa. Il discorso alla nazione del presidente russo non è in questo senso una novità, così appunto come la contrapposizione a Usa e Unione Europea, entità che viene considerata al Cremlino alla stregua di un vassallo agli ordini di Washington.
L’asse tra Mosca e Pechino
Sedici anni fa alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco Putin aveva tuonato contro la Nato e il mondo unipolare a trazione statunitense, la scorsa settimana in Baviera la Russia non era rappresentata, ma il duello evidente è stato quello tra Stati Uniti e Cina: Pechino sta dalla parte di Mosca e sino a che lo sarà Washington avrà un doppio problema. Qualcuno in Occidente ha parlato negli scorsi mesi, a partire dal vertice autunnale della Sco (Organizzazione di Shanghai) a Samarcanda, di un distacco progressivo tra Russia e Cina. La realtà, allora come oggi, è ben diversa. Lo status di potenza nucleare mantiene Mosca tra i protagonisti di un gioco che rischia però di scappare di mano, anche se a nessuno dei grandi player conviene.

La sospensione dello Start allarga la distanza con gli Usa
Da Mosca Putin ha lanciato quindi il messaggio che gli obiettivi russi in Ucraina, ossia almeno la conquista del Donbass, e fuori, vale a dire l’assestamento degli equilibri geopolitici mondiali in cui la Russia non vuole essere declassata nemmeno al ruolo di potenza regionale, saranno comunque perseguiti: per il Cremlino la cosiddetta operazione militare speciale sta andando più o meno secondo i piani, è solo una questione di tempo per la loro realizzazione, e la sospensione del trattato Start sul controllo degli armamenti allarga il fossato con gli Stati Uniti. Le sanzioni occidentali non hanno fatto crollare l’economia russa, che sta entrando in una nuova fase, come del resto quelle europee con la guerra energetica che ha ridisegnato per gli uni e per gli altri le vie delle forniture e degli approvvigionamenti. Ma soprattutto le sanzioni non hanno avuto l’effetto di distogliere il Cremlino dalla guerra in Ucraina.
Anche la pace dovrà passare da Mosca e Washington
La narrazione di Putin sulla guerra e dell’escalation decennale in vari angoli dello spazio postsovietico, marcata dalle solite accuse di neonazismo contro la leadership di Kyiv che servono per riconsolidare il mito di Mosca vittoriosa nella Grande guerra patriottica (la Seconda Guerra mondiale) – in cui l’Unione sovietica perse 20 milioni di vite, ma Stalin vinse il duello con Hitler – è stata liquidata dagli Stati Uniti e da Kyiv come la consueta assurdità. Il problema è però che accanto agli elementi propagandistici ci sono quelli di una realtà difficile da confutare, ultimo dei quali quello di una guerra che è sì tra Russia e Ucraina, ma sempre di più tra Russia e Nato. E in quest’ottica è evidente che il processo, inevitabile, di pacificazione dovrà essere gestito tra Mosca e Washington. Se una tregua sul campo tra le forze russe e ucraine è infatti solo il primo passo, la ridefinizione dei rapporti sulla scacchiera europea con al centro lo status dell’Ucraina non può che passare tra il dialogo primario fra Cremlino e Casa Bianca, al di là di coloro che saranno i rispettivi inquilini quando sarà venuto il momento.

Anche un eventuale cambio di guardia al Cremlino potrebbe non mettere fine al ‘putinismo’
Putin ha accennato nel suo discorso alle elezioni in Russia del prossimo anno, questione che potrebbe venire influenzata da un esito rapido del conflitto ucraino, in qualsiasi senso. Difficile però prevedere che la guerra apertasi nel 2014 e spalancatasi nel 2022 si concluda entro il 2024, stando almeno alla situazione attuale. Ciò significa che salvo imprevisti come colpi di Stato o malattie fulminanti, non all’orizzonte, ci possa essere a Mosca un cambio di leadership. E se ci fosse, non ci sarebbe nemmeno la sicurezza di ritrovare alla guida della Russia qualcuno più moderato di Vladimir Putin, piuttosto il contrario, se comunque intorno alle molteplici torri del Cremlino svolazzano ora più falchi che colombe.