L’Italia del rimpiattino
Il 3 luglio entra in vigore la direttiva Ue che vieta la plastica monouso. Mentre il governo cerca di salvare la filiera nostrana, i riciclatori partono all'attacco. Sullo sfondo l'annosa questione della plastic tax.
La transizione verde costa. Non sarà forse il «bagno di sangue» evocato dal titolare del ministero per la Transizione ecologica Roberto Cingolani per depistare circa il presunto attacco, con la stessa espressione, da parte di Beppe Grillo nei suoi riguardi. Ma in effetti conciliare difesa dell’ambiente e competitività economica è una sfida da far tremare i polsi, almeno sul breve e medio termine. In questo scenario, il settore delle plastiche è centrale. Ecco perché la data di domani, 3 luglio, è molto attesa e gli schieramenti produttivi e politici sono pronti a incrociare le lame.
Il nodo della plastica compostabile e della carta plastificata
Entra in vigore, infatti, la direttiva Ue del 2019 Sup (Single use plastic) che mette al bando, dal momento in cui saranno esaurite le scorte, tutti quegli oggetti come piatti e posate di plastica, cotton fioc, contenitori in polistirolo o palette da cocktail. Oggetti spesso imprescindibili in questi giorni di estate, quando si va in spiaggia, ma che troppo spesso finiscono per inquinare i mari. L’Italia ha già recepito la norma europea, ma poi ha avviato un contenzioso con la Commissione Ue sulle linee guida applicative di fine maggio. Infatti, il governo, con Cingolani in prima fila, contesta l’inserimento nel monouso da bandire anche della plastica compostabile che si degrada rapidamente nell’ambiente e della carta plastificata (gli imballaggi con un contenuto di polimero inferiore al 10 per cento). Si tratta di due rami in cui l’Italia è in una posizione di leadership: produciamo infatti il 60 per cento circa del monouso e due terzi della plastica biodegradabile europea, un settore che ormai coinvolge poco meno di 300 aziende e quasi 2.800 addetti con un fatturato di oltre 800 milioni di euro. La verità è che i governi, come spesso capita, hanno dormito a lungo, visto che la strategia europea sulla riciclabilità totale di tutti questi prodotti risale al 2017, salvo poi svegliarsi e intavolare una precipitosa trattativa per correggere le linee guida. Il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, ha rilasciato dichiarazioni rassicuranti sia sulla carta plastificata sia sulla plastica compostabile, ma l’altro giorno la sottosegretaria al Mite, la leghista Vannia Gava, ha rincarato la dose: «Bisogna evitare che la direttiva diventi uno strumento punitivo nei confronti dell’industria italiana della plastica».

Nel Pnrr 2,1 miliardi destinati all’economia circolare
Il problema è che se da un lato ora si cerca di tappare le falle e di salvare il fiorente comparto del monouso, dall’altro il Pnrr impegna 2,1 miliardi per l’economia circolare, altro settore in cui il nostro Paese primeggia e per il quale il premier Mario Draghi ha voluto rafforzare un dicastero come il Mite. Lo stesso Recovery plan, tuttavia, sulle materie plastiche spiega: «L’Italia a oggi è ancora lontana dal raggiungimento di questi target, ad esempio più del 50 per cento dei rifiuti plastici viene raccolto come ‘Rifiuti plastici misti’ e quindi non recuperato». Insomma, gli oltre due miliardi vanno messi a terra con regole concrete e un’altra filiera industriale italiana, rappresentata da Assorimap (Associazione Riciclatori e Rigeneratori di Materie Plastiche) chiede di stringere i tempi: «È imprescindibile che le imprese del nostro settore aggancino saldamente la crescita economica prevista per l’autunno». Le circa 300 aziende del riciclo meccanico affiliate all’associazione trattano il 90 per cento dell’intera quantità prodotta a livello nazionale, vantano 9.600 dipendenti e un fatturato aggregato di 800 milioni di euro.

Sul tavolo anche il dossier sulla plastic tax
Così, mentre Confindustria è sul piede di guerra, accanto al governo, a protezione del monouso, Confimi, che è considerata la “terza Confindustria” dopo Viale dell’Astronomia e Confapi, si schiera attraverso Assorimap dalla parte dei riciclatori. Alla sigla aderiscono aziende come la Dentis Recycling Italy di Cuneo, la Montello di Bergamo o la Sire Bressana tra Pavia e Voghera. Tra le sue proposte all’esecutivo un «contributo straordinario per ogni tonnellata di materiale recuperato da rifiuti e trasformato in mps (materia prima secondaria) a favore degli impianti di riciclo meccanico di rifiuti», ma anche «l’aumento della copertura finanziaria prevista per il credito d’imposta per le attività di riciclo plastica e produttori che utilizzano materia prima seconda nei beni ed imballaggi plastici da loro generati» e infine «il finanziamento ad hoc di impianti di riciclo meccanico dei rifiuti per il rinnovamento del parco impiantistico». Ma soprattutto Assorimap chiede di «prevedere un contenuto minimo obbligatorio, al 30 per cento, di plastica riciclata tracciata post-consumo in beni e imballaggi», anticipando l’identica soglia-obiettivo Ue fissata al 2030. Ultima, vexata quaestio è la plastic tax italiana (0,45 euro per kg di polimero vergine) che, dopo svariati rinvii a causa della crisi pandemica, dovrebbe entrare in vigore il prossimo primo gennaio. Sarà un dossier politicamente scottante e divisivo, che certamente manderà in frizione le diverse anime della maggioranza proprio alla vigilia dell’elezione del Quirinale. Intanto le imprese riciclatici anticipano i tempi e chiedono l’esenzione per le materie plastiche provenienti da processi di riciclo.