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Impronta Digitale

Finora alle promesse della politica non sono seguiti investimenti strategici. E l’Italia si ritrova ancora al palo. Ora la spinta data dal Recovery di Draghi potrebbe cambiare le cose, come spiega Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform.

23 Maggio 2021 09:4423 Maggio 2021 09:54 Claudio Ravel
Il punto sul digitale in Italia con Marco Gay

L’Italia è maglia nera in Europa quanto a competenze digitali di base e avanzate. Non solo. L’indice Desi (Digital Economy and Society Index) – il parametro utilizzato dalla Commissione europea per stabilire il grado di digitalizzazione dei Paesi membri – confina il nostro Paese al 25esimo posto, in arretramento di una posizione rispetto al 2019. Peggio di noi hanno fatto solo Romania, Grecia e Bulgaria. Se da un lato questi dati confermano un problema culturale nell’approccio al digitale, dall’altro non può passare inosservato il disinteresse pressoché totale della politica. Eppure non c’è stato esecutivo che non abbia posto il tema al centro del dibattito.

Per la Transizione digitale previsti 18,46 miliardi di incentivi

«Nell’ultimo decennio le complesse crisi industriali – Taranto, Melfi e Alitalia – hanno sottratto tempo e drenato ingenti risorse», spiega a Tag43.it Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform. «Ciò non toglie che si doveva e poteva fare molto di più». Dopo aver parlato tanto di digital divide e cittadinanza digitale, un piano nazionale infatti non è mai venuto fuori. Pochi giorni fa il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, nel corso del suo intervento alla presentazione della Bit, parlando della transizione digitale alla quale il Pnrr riserva 18,46 miliardi, ha detto: «Siamo talmente indietro che abbiamo potenzialità di crescita enormi». Ma cosa serve per ripartire davvero? «C’è bisogno in primis di investimenti sulle politiche attive. Una cospicua fetta di società – cittadini, lavoratori, imprenditori – non possiede cultura digitale», continua Gay. «La formazione è il punto da dove partire e l’aver destinato 1,5 miliardi agli Istituti tecnici superiori nel Recovery Plan è una svolta significativa». Fondi che nei piani andranno a potenziare i laboratori con tecnologie 4.0 e aumentare gli iscritti.

Il mercato digitale italiano ha chiuso il 2020 con un fatturato di 71,5 miliardi

Nel 2020 il mercato digitale italiano ha chiuso con un -0,6% a fronte di un fatturato di 71,5 miliardi di euro. Il dinamismo più marcato è stato rilevato per le componenti strettamente It come i Digital Enabler che hanno confermato il loro ruolo trainante. In particolare intelligenza artificiale, Cloud, Blockchain, Cyber security, piattaforme per la gestione web, ovvero quelle utilizzate in modo più diffuso per la gestione dell’emergenza: dal lavoro in remoto alla telemedicina, dalla logistica allo shopping online. Nell’insieme sono cresciute con tassi a due cifre e hanno visto progredire la loro quota dal 19,5% del 2019 al 21% del 2020.

Il punto del Digitale in Italia spiegato da Marco Gay
Marco Gay da aprile 2018 è Presidente di Anitec-Assinform (da youtube).

La priorità è dare impulso alla digitalizzazione della Pa e della Sanità

«Queste dinamiche confermano la centralità delle tecnologie digitali nell’anno dell’emergenza sanitaria ed economica», continua Gay. «Oggi non basta accontentarsi di fornire soluzioni in un momento difficile. La ripartenza sarà possibile solo con una politica di ricostruzione fondata sull’investimento in eccellenze produttive e di servizio, capaci di creare valore attraverso il digitale, sia nel settore privato che pubblico. E occorre accelerare su infrastrutture a banda larga e 5G». Va detto che alle reti ultraveloci sono destinati 5,31 miliardi. Il Pnrr (43,55 miliardi complessivi per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) è «un’opportunità unica», insiste il numero uno dell’Associazione italiana per l’Information and Communication Technology. «Con gli investimenti contenuti nel Piano si può dare impulso alla digitalizzazione della Pa (10,01 miliardi, ndr) e della Sanità (9,63 mld, ndr), sostenere le startup innovative e colmare il gap di competenze digitali, anche riconvertendo lavori in phase out. Mai come oggi la sfida è complessa ma possibile e le aziende più virtuose avranno i maggiori benefici».

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