La serie Diavoli, Dodo e le amicizie che si perdono con gli anni: il racconto della settimana

Sto guardando con Ofelia Diavoli sull’iPad, una serie sui peccati dell’alta finanza che tra i suoi personaggi potrebbe aver dentro benissimo anche Dodo, con le sue camicie button-down e gli abiti di Gucci. Il messaggio che mi arriva sull’iPhone poco dopo è semplicemente la conseguenza di questi pensieri. Il racconto della settimana.

La serie Diavoli, Dodo e le amicizie che si perdono con gli anni: il racconto della settimana

Marina Serra, agosto 2007. Noi siamo pirati. Sventola la nostra bandiera dal terrazzo a picco sul mare de “La Fortunata”, la villa che i genitori di Dodo affittano da anni da giugno a ottobre e che noialtri solitamente occupiamo per sei settimane da fine luglio ai primi di settembre. Sventola tracotante e inquieta, come i miei pensieri, sotto un cielo che brucia di stelle e respira calore. Fumiamo marijuana lisergica, in silenzio, nella notte calda che profuma d’Africa e il Salento è il nostro Messico. Ho passato i primi tre giorni di mare a cercare di riprendermi dal mio stato di torpore. Era sabato o martedì? E che differenza faceva? Compensavo dormendo in continuazione, fino a quando una mattina verso mezzogiorno qualcuno ha suonato alla porta e mi sono svegliato in preda al panico, duramente colpito dalla realtà del fatto che ero ancora completamente bianco. Così ho afferrato gli occhiali da sole e sono andato al Lavaturu a farmi un bagno ed il sole picchiava così forte che sono rimasto spaparanzato sugli scogli per qualche ora, sperando che nessuno si accorgesse del mio pallore da milanese malaticcio. Alla fine raggiungevo Jamao, l’unico bar a disposizione, mi sedevo e trangugiavo una birra, o anche quattro, e fumavo un pacchetto di sigarette fino a quando non trovavo le forze per salire su e giocare a tennis con gli altri. Di tanto in tanto compariva la troupe e la cinepresa mi seguiva a una distanza discreta per girare una serie di immagini che poi avrei rivisto nella sala di montaggio. Andrea in passerella con le gigantesche cuffie eccentriche da deejay intento a prendere il sole, con gli occhiali scuri ed un costume blu oversize. Ogni tanto il regista mi diceva di mettere su il broncio, di avere un’aria triste, come se sentissi la mancanza di Allegra o come se fossi pentito del trattamento inflitto alla bionda, come se il mio mondo stesse per crollare per l’ennesima volta. Vengo incoraggiato a rintracciare Allegra a Lipari, in vacanza con il nuovo fidanzato, e qualcuno ha anche detto di provare a invitarla da noi ma io ho finto di avere degli attacchi di panico e quelle scene sono state successivamente tagliate perché comunque non erano in carattere con il personaggio. «Io sono un animale da bagordi», ho farfugliato rivolto a nessuno, ma ormai non ci credevo più nemmeno io.

Alla Fortunata, nel gabinetto, Rupert ha scritto questa formula: 97 a 3. E tre sono i grammi della polvere della prima busta che vanno mischiati ai 97 di lattosio della seconda. A dimostrazione che per certe cose sappiamo essere tremendamente precisi

Sono qui con i miei amici, l’unica cosa che ho avuto dall’esistenza, ed è curioso il fatto che se qualcuno mi domandasse ora quale è per me il migliore tra di loro, io non saprei affatto rispondere. Sono qui con Dodo, Nosama e Rupert. C’è anche un coglione di nome Paolo, che non sopporto, e non capisco il motivo per il quale sia qui con noi. Ci sono anche Alessandro e Ginevra, ma stanno in un’altra casa, perché dicono che da noi «fa troppo schifo» e in effetti, non hanno tutti i torti. Le condizioni igieniche sono precarie, c’è un bordello assurdo e la villa, che i genitori di Dodo affittano al prezzo di 2500 euro a settimana, è un crocevia di personaggi di ogni genere che a volte si insediano anche per lunghi periodi, tra un susseguirsi di cene e feste continue, che spesso durano giorni. “La Fortunata” è una dimora immensa, maestosa. Soffitti alti sei metri, specchi, colonne di marmo, saloni imponenti, terrazze gigantesche, con alle spalle un enorme giardino con piscina e due campi da tennis. Tra le sue mura si vive rapidamente, in bilico, da fuorilegge e ogni tanto arriva dalla “Fazenda” anche Yuri, con la sua banda e un mucchio di ragazze, che solitamente si porta a letto Dodo. Ascoltiamo ossessivamente un unico disco, Exile degli Stones, e in cuor nostro ci sentiamo un po’ come loro, ai tempi di Villa Nellcôte. Alla “Fortunata”, nel gabinetto, Rupert ha scritto questa formula: 97 a 3. E tre sono i grammi della polvere della prima busta che vanno mischiati ai 97 di lattosio della seconda. A dimostrazione che per certe cose sappiamo essere tremendamente precisi.

 

Portofino, aprile 2022. Se ripenso alla “Fortunata” ancora oggi i ricordi sono annebbiati. Mi torna in mente Bianca, una ragazza che conobbi al Lavaturu, e con la quale feci più o meno coppia fissa tutta l’estate. Mi tornano in mente le fughe che facevamo all’alba sul suo motoscafo (che guidava senza patente), per andare a fare colazione a Castro o a Leuca o per stare nudi in mezzo al mare, prima che lei attaccasse a lavorare. E ricordo che Bianca brillava di una combustione interna non identificabile; la prima volta che abbiamo fatto sesso, sui sedili posteriori della sua macchina, completamente sconvolti, mi ha scopato con una tale veemenza che non sono nemmeno riuscito a venire. «Dammi la tua sborra!», mi urlava, rossa in faccia. Solo lei e Keith Richards potevano aver avuto la malsana idea di chiamare il proprio motoscafo con il nome di un potente barbiturico: Mandrax. Bianca, salentina, era una nomade, una fuggiasca. Una che lavorava per ribellione e che aveva voltato le spalle alla propria famiglia per poter vivere liberamente la vita che voleva. «Sono nata in una casa piena di libri, di grandi quadri di donne nude, di statue che giocavo a vestire e svestire, come fossero manichini e oggi vendo il pesce, pensa te», mi raccontava ogni tanto. Poi tra noi finì, così come era iniziata. L’estate successiva si scopò, apposta, per farmi dispetto, quel coglione di Paolo e fui costretto a darle il daspo dalla “Fortunata”, per sempre, perché in fondo contavo ancora qualcosa all’epoca e non mi si potevano fare sgarri simili in maniera così plateale. Da quel giorno non la vidi più.

Di Dodo non ho ancora parlato, forse perché è un spina nel fianco e forse anche perché rappresenta l’emblema dei rapporti che cambiano, sfigurati dagli anni che passano e dalla giovinezza che se ne va

Di quella batteria di amici oggi non vedo quasi più nessuno, a parte Nosama, forse l’unico amico che mi è rimasto fisicamente, se escludo le chat di whatsapp e i video che mi scambio con DFA, quotidianamente, da Barcellona. Se è vero che non ho avuto una famiglia, posso dire che sono stato adottato nella vita tre volte: dalla famiglia di Dodo prima e di DFA poi, nel periodo dell’adolescenza, e da quella di Ofelia successivamente, che mi ha salvato, poco prima che andassi a sbattere definitivamente. Di DFA, di cui proteggo l’identità sotto un acronimo perché la sua è una famiglia molto in vista, ho già parlato. Di Dodo non ancora, forse perché è un spina nel fianco e forse anche perché rappresenta l’emblema dei rapporti che cambiano, sfigurati dagli anni che passano e dalla giovinezza che se ne va. Non vedo più nessuno. Non vedo il drugo Fede, che ci chiamavano Boldi & De Sica per quanto tempo stavamo assieme. Non vedo più Yuri, Albertone, Silvio, Castro e nemmeno Rupert. Non sento più il vecchio compagno d’attacco Dichio, che chissà perché mi ha cancellato, come il Jim Carrey di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, ma con Dodo è un’altra storia, come se la lontananza che si è creata tra noi fosse insormontabile. Ci siamo conosciuti tra i corridoi e le aule del bigio liceo scientifico Alessandro Volta, sbarbi pettine in Ralph Lauren & Stan Smith. Io vivevo da mia zia Pia, dopo la morte di mia nonna e l’abbandono di Palazzo Fidia, in uno squallido bilocale in Via dei Transiti ed ero un 14enne oscuro, scontroso, violento. Ero già stato cacciato dal collegio in Svizzera, ero orfano di madre e avevo un padre latitante, come Craxi ad Hammamet, però in Bulgaria. Mi attaccai a Dodo in maniera viscerale, come poi in futuro mi accadde con altri amici, e ci condivisi più o meno tutto per parecchio tempo. Guardavo i suoi genitori con invidia e ammirazione. Idolatravo suo papà, il re dello stile, una specie di Woody Allen però più fico e mi masturbavo, in pieno complesso edipico, pensando a sua madre, professoressa di italiano, che avrei tanto voluto fosse la mia. Con Dodo ho preso le prime droghe, ho fatto le prime vacanze, mi sono disperato per le prime delusioni con le ragazze e insieme a lui il giorno del mio 23esimo compleanno sono stato perfino arrestato, per aver sfasciato con una mazza da baseball tutte le auto di una via, una mattina a Milano, totalmente fuori di testa, dopo una notte di anfetamine e MDMA, reduci da un after al Matis di Bologna. L’Interrail ad Amsterdam e Parigi a 17 anni, le estati a Riccione, a Forte dei Marmi, in Costa Azzurra, in Salento e centinaia di serate in discoteca. Tutti i weekend, più o meno, a intermittenza, dal 1995 al 2007. Dal Madame Claude al Titilla, da Colazione da Tiffany a Les Folies de Pigalle.

La serie Diavoli, Dodo e le amicizie che si perdono con gli anni: il racconto della settimana
Il falò di San Giorgio a Portofino.

Oggi Dodo, che somiglia con il passare del tempo sempre di più al Christian Bale che interpreta Patrick Bateman in American Psycho, vive sei mesi in Lussemburgo e sei mesi a Tenerife. Ha fatto fruttare la sua laurea in Bocconi ed è un uomo da 15K al mese. «Classe dirigente» come lo definisce Nosama, è rimasto ancorato ai vecchi tempi, partecipa ancora a party selvaggi sui rooftop in giro per i migliori alberghi del mondo e si scopa una ragazza diversa ogni sera. L’ultima volta che abbiamo passato del tempo assieme risale più o meno a una decina di anni fa, un weekend in barca da Bob, qui a Portofino, con Ofelia, sua sorella Cleopatra, lui e la sua fidanzata dell’epoca, Jessica. Penso a questo, appena tornato da Sofia per partecipare dopo due anni di assenza al tradizionale falò di San Giorgio, mentre il tronco, che qui chiamano “penolla”, brucia in piazzetta e il fuoco arde verso il cielo. Continuo a pensarci anche adesso, mentre nudi, sottocoperta in barca da Bob, con Ofelia, ci dividiamo una sigaretta, dopo aver fatto l’amore e guardiamo la prima puntata della seconda stagione di Diavoli sull’iPad. Basato sul best-seller di Guido Maria Brera Diavoli è una serie sui peccati dell’alta finanza che tra i suoi personaggi potrebbe aver dentro benissimo anche Dodo, con le sue camicie button-down americane e gli abiti grigi o blu di Gucci. Il messaggio che mi arriva sull’iPhone poco dopo è semplicemente la conseguenza di questi pensieri. Resto sbigottito quando sul display leggo scritta la parola Dodo. C’è scritto: «Sono a Milano di passaggio settimana prossima. Pranziamo assieme?».