Che voti dare ai partiti, su come hanno affrontato la campagna elettorale ormai agli sgoccioli? Cominciamo dando un bel tre a Fratelli d’Italia e a Giorgia Meloni. Non si sente che ripetere che è abilissima a dosare i toni istituzionali quando si rivolge all’establishment e quelli più accesi quando parla alla pancia dei “suoi” e che ha fatto perciò una campagna elettorale impeccabile. In controtendenza proviamo a spiegare perché le diamo invece una insufficienza grave. Prendo me stesso come esempio, cioè uno che ha sempre votato a sinistra ma che ha compiuto lo sforzo di superare le ideologie che lo avevano formato da ragazzo e che sarebbe pronto – diciamo per semplificare – a votare perfino un partito di destra, poiché è arrivato a credere, con notevole sforzo di volontà, che la buona politica e il buon governo dei cittadini siano pragmaticamente assicurati dall’alternanza, visto che il genere umano è composto da persone di sinistra e di destra, legittimamente desiderose di essere ugualmente rappresentate. Perché Giorgia Meloni ha fallito? Perché avrebbe dovuto parlare a me. È me che avrebbe dovuto agganciare, convincendomi che la destra rappresentata da lei e dai suoi Fratelli, è quella “presentabile” che l’Italia aspetta da anni, che possa dialogare alla pari con la sinistra, ma che quelli come me non hanno mai riconosciuto, incarnata com’è stata dai Berlusconi e dai Salvini, che hanno trascinato l’Italia nel ridicolo davanti a tutto il mondo (il bunga bunga, Putin, il ministro dell’Interno al citofono, il Papeete, fermandoci qui per carità di Patria).

Gli spin doctor di Giorgia avrebbero dovuto studiare Mitterrand e la sua “forza tranquilla”
La sua campagna elettorale avrebbe dovuto incuriosirmi e rassicurarmi, invece mi ha insinuato ulteriori dubbi, altre paure: come mai? Partiamo dai manifesti pubblicitari: “Pronti a risollevare l’Italia” era lo slogan. Funzionerà forse per i “suoi” ma non per la maggioranza degli italiani, convinti che l’Italia la stava già risollevando Mario Draghi: diventa lo slogan ridicolo di una che si infila in una competizione impari, per giunta dopo aver fatto opposizione all’unico esecutivo decente che l’Italia aveva messo insieme, dopo quattro anni di governi “meravigliosi” nati dal vaffanculo di Beppe Grillo. Via Draghi, arriva la Meloni a risollevare l’Italia: chi ci crede? Hanno mai studiato, i suoi spin doctor, la campagna del 1981 di Jacques Seguèla per François Mitterrand, quella con lo slogan “la forza tranquilla”? È l’epitome della campagna perfetta perché presentava un uomo di sinistra a quelli di destra, usando due paroline magiche (“forza” e “tranquilla”) che funzionano nei cervelli, abituati a certi cliché duri a morire, di quell’elettorato. È difficile, lo so, ma per vincere non devi mai parlare soltanto a chi ti voterebbe lo stesso, devi proporti agli avversari e agli incerti, cercando un linguaggio che, senza svilire te, sembri plausibile e convincente per gli altri. La Meloni – se vuole governare “tutti” gli italiani – non può un giorno sì e uno no inveire strozzandosi contro alcune fasce della società, che a lei potranno sembrare marginali e che vedrebbe volentieri scomparire dalla faccia della terra: gli immigrati, i gay, le donne che abortiscono, le famiglie arcobaleno, i senzatetto per dirne alcuni. Perché se fa così, se grida i suoi “NO” con le vene del collo troppo gonfie, l’effetto Merkel svanisce. E la leader impeccabile che mantiene sempre un tono istituzionale quando si rivolge ai cittadini della sua nazione, e non solo ai fan che l’hanno votata, lascia il posto alla pescivendola, come i più cattivi la etichettano – dispiace dirlo – non a torto.

È mancata la speranza, nei suoi discorsi, che sono sempre stati rivendicazioni rabbiose
La campagna della Meloni è stata quella di un politico doppio, che dice cose in cui palesemente non crede, smascherandosi da sola in più occasioni e non solo durante il famigerato comizio di Vox; la propaganda di un politico furbo e la furbizia, in politica, può sembrare che paghi il giorno dopo, ma finisce per essere un nodo che viene subito al pettine. Travaserà nel suo partito soltanto i voti che Salvini, con la sua dabbenaggine, farà perdere alla Lega, raccogliendo cioè i voti dell’altra destra, quella paesana e provinciale, ma niente di più. È mancata la speranza, nei suoi discorsi, che sono sempre stati rivendicazioni rabbiose di una donna che ha iniziato a far politica a 15 anni e che solo 30 anni dopo vede riconosciuto il suo ruolo. Speranza, spinta ideale, e soprattutto “forza tranquilla”: assenti nei discorsi della Meloni e in quelli dei suoi Fratelli senza palle, che nel segreto dell’urna potrebbero addirittura vendicarsi, perché è una donna e perché ha dimostrato di essere più capace di loro. Terribile pensarlo, ma in quel partito domina ancora il maschilismo medievale degli Ignazi Beniti La Russa, servono generazioni per superarlo. I nostri cugini intelligenti, i francesi, hanno lasciato al palo Marine Le Pen scegliendo la destra tranquilla di Emmanuel Macron. In Italia i sondaggi spingono la Meloni, ma non è lei il futuro di un paese moderno, il marketing politico la boccia e la rimanda a settembre (all’8, del 1943), a studiare la storia d’Italia, quando il fascismo sprofondò in quella zona d’ombra da dove, in questi ultimi anni, qualcuno vuole ritirarlo fuori – vedere la controinformazione quotidiana di Paolo Berizzi su Repubblica – per farlo prepotentemente risorgere.