È morto l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, uno dei simboli della resistenza contro l’Apartheid e il promotore della riconciliazione del Paese. Per il suo impegno nella lotta nonviolenta Tutu aveva vinto il premio Nobel per la pace nel 1984. Ad annunciarne la morte è stato il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa che ha espresso, «a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte di una figura essenziale della storia» del Paese.

Desmond Tutu e la riconciliazione del Sudafrica
Dopo la fine del regime di segregazione e l’elezione di Nelson Mandela a presidente del Sudafrica, nel 1995 l’arcivescovo creò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc). Un passo verso il doloroso processo di pacificazione della società sudafricana portando alla luce le atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte della popolazione bianca. Solo a chi si assunse le proprie responsabilità fu accordato il perdono: una sorta di riparazione morale per i familiari delle vittime. Spesso le udienze vennero trasmesse in televisione, dando a Tutu la possibilità di raggiungere milioni di persone non solo in Sudafrica, ma anche nel resto del mondo.

Il Sudafrica come Nazione arcobaleno
Nato il 7 ottobre del 1931 a Klerksdorp, una città a sud-ovest di Johannesburg, Tutu dopo gli studi da insegnante, decise di diventare sacerdote. Viaggiò e visse per parecchio tempo all’estero studiando teologia all’Università di Londra. Tornato in patria, divenne uno dei principali oppositori dell’Apartheid che nei suoi sermoni non esitava a paragonare al nazismo. Dopo essersi battuto, non senza critiche, per la pacificazione di quella che aveva ribattezzato Nazione arcobaleno, per esaltare la società multirazziale sudafricana, alla fine degli Anni 90, gli fu diagnosticato un tumore. Ridusse così gli impegni pubblici.
Le battaglie dell’arcivescovo: dai matrimoni gay al clima e all’eutanasia, fino a Gaza
Sempre in prima linea per i diritti, Tutu sposò numerose cause. Tra le più recenti la questione climatica e l‘eutanasia. Nel 2015 avviò un’iniziativa per chiedere ai presidenti e capi di governo del mondo di aderire a un piano per passare alle fonti di energia rinnovabile entro 35 anni, per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Nel 2016 invece si disse favorevole all’eutanasia, sottolineando come «a migliaia di persone in tutto il mondo venga negato il diritto di morire con dignità». Tutu si spese molto per i matrimoni gay, contro l’omofobia e anche contro quella che definiva l’occupazione israeliana di Gaza. «Noi ci opponiamo all’ingiustizia dell’occupazione illegale della Palestina. Noi ci opponiamo alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Noi ci opponiamo all’indegno trattamento dei palestinesi ai checkpoint e ai posti di blocco. Noi ci opponiamo alla violenza da chiunque sia perpetrata», disse l’arcivescovo. «Ma non ci opponiamo agli ebrei». Nel sostenere la campagna internazionale per il boicottaggio economico d’Israele, Tutu aveva aggiunto: «Chi continua nei propri affari economici con Israele, contribuisce a perpetuare uno status quo assolutamente ingiusto. Coloro i quali contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele stanno affermando che tanto gli israeliani quanto i palestinesi hanno lo stesso diritto a dignità e pace». Nella sua battaglia contro l’Aids in Africa, invece, Tutu arrivò a criticare la Chiesa di Roma. Il 20 aprile 2005, a seguito dell’elezione del cardinale Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI, l’arcivescovo disse di essere rattristato dal fatto che fosse improbabile che la Chiesa Cattolica Romana cambiasse la sua opposizione ai preservativi nella lotta all’HIV/AIDS in Africa: «Avremmo sperato in qualcuno più aperto ai più recenti sviluppi del mondo, l’intera questione del ministero delle donne e una posizione più ragionevole riguardo ai preservativi e all’HIV/AIDS».