Se Bret Easton Ellis in American Psycho, tra un massacro e l’altro, dedica un intero capitolo alla discografia dei Genesis, secondo lui «il miglior prodotto arrivato dall’Inghilterra nel corso degli Anni 80», io oggi parlerò dei Depeche Mode, band della quale sono sempre stato un autentico fanatico e che ho passato negli anni in radio fino allo sfinimento, appena tornata sulla scena con il nuovo album intitolato Memento Mori, già definito dalla rivista Rolling Stone, forse il migliore del gruppo in questo millennio. Orfani di Andy Fletcher, recentemente scomparso, Martin Gore e Dave Gahan tornano prepotentemente alle atmosfere dark, da sempre una costante del gruppo inglese, emerse fin dagli esordi, quando la mente musicale del gruppo era ancora quel Vince Clarke che poi se ne andò per fondare progetti come Yazoo ed Erasure. Nonostante il vero leader del gruppo fin dall’inizio sia universalmente riconosciuto nella figura di Martin Gore, il mio componente della band preferito, quello che da sempre mi ha maggiormente affascinato, è Dave Gahan.
Alla fine a Radio Deejay ci andai e finalmente avevo potuto vedere la mia trasmissione preferita dal vivo, con la faccia schiacciata sul gigantesco vetro che divideva la redazione dallo studio. Ricordo l’elettricità e l’agitazione quando arrivarono Dave Gahan, Andrew Fletcher e Martin Gore, mentre in diffusione a un volume assurdo suonava Wrong
Prodotto di una disfunzionale famiglia della periferia londinese, appassionato di punk e graffiti, quando il giovane David entrò a far parte della band era solo uno svogliato studente della Southern Art School di Londra dedito al vandalismo. È proprio tra le aule della scuola d’arte infatti che conoscerà due ragazzi come lui: selvaggi, arrabbiati, creativi, di qualche anno più grandi, che si chiamano Andrew Fletcher e Martin Gore. L’ambiente, anche se nessuno di loro farà mai lo stilista, è particolarmente stimolante, tanto che ci gira un sacco di gente interessante: c’è Alison Moyet che in seguito fonderà gli Yazoo, c’è un ragazzo con i capelli rossi che non si lava mai i denti che tutti chiamano “rotten”, che in inglese significa marcio e che in realtà si chiama Lyndon e che con altri quattro ha messo su una band, i Sex Pistols, che diventeranno il gruppo punk per eccellenza, e poi c’è anche un altro tipo strano, George O’Dowd, che da lì a breve metterà in piedi anche lui una band, i Culture Club, e diventerà famoso con il nome di Boy George. All’epoca, siamo alla fine degli Anni 70, il punk imperversa per le strade della city ed è proprio uno dei frequentatori più assidui di questa fiorente scena londinese che accenderà la miccia che porterà alla nascita dei Depeche Mode, il suo nome è Vince Clarke. Suonano tutti a quei tempi e anche Vince ha messo su un gruppo, proprio con Andrew Fletcher e Martin Gore, che prima si chiama No Romance in China, poi Norman and the Worms, dopo ancora French Look e che, in un secondo momento, sarà rinominato definitivamente Composition of Sound. Il problema grosso è che alla band manca un frontman ed è qui che i ragazzi notano Dave e lo coinvolgono creando una nuova formazione che però non si chiamerà più Composition of Sound ma Depeche Mode, che significa sia “moda pronta” che “rivista di moda”, e poi suona bene. Quindi ok, Depeche Mode. Il loro esordio è nel 1980, il mio anno di nascita, con il brano Photographic, contenuto nella compilation di musica alternativa prodotta da Stevo Pearce intitolata Some Bizzare Album, che darà il via alla oltre quarantennale carriera della band. Oltre allo scanzonato Speak and Spell e al mitico Violator (che tra l’altro è il disco preferito di Ofelia), tra gli album del gruppo sono particolarmente legato per motivi personali a Sound of the Universe del 2009.
La prima volta che sono entrato a Radio Deejay in via Massena 2 è stata accompagnando DFA, che all’epoca faceva l’assistente di un noto fotografo con atteggiamenti da rockstar. Per me Radio Deejay era La Mecca, un luogo sacro. La radio che ascoltavo fin da ragazzino (tutti i pomeriggi attaccato allo stereo per registrare le puntate del Deejay Time condotto da Albertino), quella che ancora oggi mi sveglia ogni mattina con le voci di Linus & Nicola Savino a Deejay chiama Italia. Avevo supplicato DFA: «Portami fratello, ti prego, voglio assolutamente venire!», appena avevo saputo, davanti a un Bloody Mary al Bar Basso, che la mattina dopo sarebbe dovuto andare a Radio Deejay per un servizio. «Toni è un cagacazzo fradèl», mi aveva risposto, «non so se puoi venire. Poi tu sarai sicuramente strafatto e oltretutto domani ci sono i Depeche Mode e saranno tutti in sbattimento. Toni compreso». Alla fine però a Radio Deejay c’ero andato e finalmente avevo potuto vedere la mia trasmissione preferita dal vivo, con la faccia schiacciata sul gigantesco vetro che divideva la stanza della redazione con quella dello studio. Ricordo l’elettricità e l’agitazione diffusa quando arrivarono Dave Gahan, Andrew Fletcher e Martin Gore, mentre in diffusione a un volume assurdo suonava Wrong, il singolo che lanciava l’uscita di Sound of the Universe, e si accese la spia rossa con la scritta ON AIR che lampeggiava. Tempo dopo mi ricapitò di andare a Deejay ancora un paio di volte, una addirittura in onda, ospiti con Alb & Lillo al programma del mattino di Fabio Volo, ma come mi tremarono le gambe quella volta, pigiati in 50 in quella stanza a vedere i Depeche Mode, non posso dimenticarlo.
Scrivevo febbrili appunti sul mio moleskine all’interno del quale catalogavo tutte le droghe che divoravo, e tutto l’alcol che ingurgitavo, passando di letto in letto, tra un litigio e l’altro, tra una sbronza e l’altra. Nel mezzo due aborti, gli esami all’università, i primi attacchi di panico. Ero Dave Gahan. Però non ero affatto felice
Partì quella mattina di maggio del 2009 la mia passione per la band e il conseguente ascolto ossessivo, sparato in cuffia a mille, di Sound of the Universe in concomitanza con l’approfondimento verticale della biografia di David Gahan, che tutti chiamavano semplicemente Dave, la star del gruppo. Soprannominato “the cat”, per le sue sette vite, Dave Gahan è un tizio che una volta ha avuto un infarto sul palco, che è sopravvissuto a un suicido, a un tumore e che un’altra volta, al Sunset Marquis Hotel di Los Angeles, dopo un overdose di speedball è clinicamente morto per quasi due minuti prima che i medici arrivati a soccorrerlo riuscissero a rianimarlo. Se penso ai motivi che tanto affascinarono quel ragazzo di 29 anni ascoltando la voce di Dave rivedo ciò che accadde anni prima quando quello stesso ragazzo impazziva da 14enne per Jim Morrison e poi da 16enne per Kurt Cobain. Nello stesso periodo in cui nelle mie gigantesche cuffie eccentriche da deejay suonava a ripetizione Wrong dei Depeche Mode io, visto dall’esterno, probabilmente risultavo essere poco più che una storia sexy da raccontare agli amici. Ero perennemente in vetrina. Sempre in pista. Tutto quello che facevo veniva riferito. Avevo quasi 30 anni, uscivo con quattro ragazze contemporaneamente e la mia vita era una sfilata in passerella resa ancor più magica dal costante materializzarsi della cocaina. Ero Sid Vicious. Per scarsa attitudine alle pubbliche relazioni avevo appena perso il mio ruolo da Resident in discoteca ma me ne fottevo alla stragrande perché iniziavo a venire chiamato come “Guest” ad alcune serate al Luminal o allo Shocking e anche in locali alternativi come il Gasoline o il Tunnel. Posti dove potevi tirare di coca in consolle alle quattro del mattino e nello stesso tempo sperare che qualche modella di serie b strafatta di droga ti facesse un pompino nei cessi del locale. Con Dodo sfasciammo la mercedes di suo padre in testacoda in via Eustachi a Milano a poche decine di metri da casa. Per un qualche motivo ero vestito da donna e mezzo nudo sdraiato dietro al sedile del passeggero. Per il resto erano tutte feste, glamour e facce stravolte fotografate dalle luci strobo di qualche discoteca nel cuore della notte. Allegra, baby model e una ragazza di nome Micol a cui avevo iniziato a fare la corte si alternavano nella mia testa senza soluzione di continuità ma c’era sempre troppo alcol, troppa marijuana e sempre più spesso faticavo a dare un senso alle cose. Scrivevo febbrili appunti sul mio moleskine all’interno del quale catalogavo tutte le droghe che divoravo, e tutto l’alcol che ingurgitavo, passando di letto in letto, tra un litigio e l’altro, tra una sbronza e l’altra. Nel mezzo due aborti, gli esami all’università, i primi attacchi di panico. Ero Dave Gahan. Però non ero affatto felice.

Gli avvenimenti principali che segnarono e oserei dire rivoluzionarono la parte seguente della mia vita furono essenzialmente due: la proposta di un amico di amici di nome Alberto, di iniziare una trasmissione radiofonica alla radio universitaria del Politecnico di Milano e l’inizio della relazione con Ofelia, che all’epoca era sposata con un writer di chiara fama con ambizioni politiche che in città conoscevano tutti e che aveva la reputazione di essere un tipo piuttosto violento. Tutt’intorno le notti disordinate, le “groupie” che conoscevo in discoteca e un certo attaccamento alla mia vita sregolata che nonostante tutto non riuscivo ad abbandonare. Con Ofelia, con la quale già da mesi avevo preso a flirtare alla grande, ci baciammo per la prima volta una notte di Natale, prima che partissi per Sestriere per una serie di serate al Tabata. Tornato a Milano iniziammo a vederci sempre più spesso e quella storia cominciava a scavarmi qualcosa dentro anche se c’erano una serie di impedimenti, non ultimo il suo matrimonio, che all’inizio mi terrorizzavano. Avevo bisogno dei miei spazi. Avevo bisogno di stare ancora un po’ di tempo da solo per capire realmente cosa volevo. Poi arrivò l’estate e partii per il Salento con i ragazzi come al solito e con Ofelia rimanemmo in contatto in un modo fra il triste e il divertito; c’erano una perdurante malinconia da parte sua e una grande attrazione sessuale da parte mia. Una donna così fra le mani non l’avevo mai avuta e feci una serie di sedute di analisi sull’argomento che alla fine si rivelarono risolutive perché in cuor mio sapevo che se non avessi cambiato atteggiamento quella storia sarebbe finita rapidamente. Non potevo rischiare di perderla. Tornato dal Salento, a settembre inoltrato, eravamo diventati ufficialmente una coppia da prima pagina. Lo scoop dell’anno. Ci baciavamo al concerto di Elton John allo Stadio di San Siro, ci fotografavano durante i nostri aperitivi alla Terrazza Palestro e postavamo sui social nostre foto scattate a Punta Ala sulla barca a vela di sua sorella Cleopatra. Smisi di colpo di vedere altre ragazze, chiusi con le droghe, iniziai a vivere la mia nuova vita anche se Ofelia era più grande di me di sette anni e il mio gruppo di amici era unanimemente scettico su di lei. «Credo che Ofelia stia con te perché in fondo è un’infermiera», mi disse qualcuno, «si è convinta perché in fondo crede che tu sia un bravo ragazzo». La mia conclusione fu: «Ofelia rende la mia vita completa. Le sono grato per questo. Non ho mai provato per nessuna quello che provo per lei». Dopo qualche mese si traferì nel mio lussuoso monolocale in via Amedeo d’Aosta. Stiamo insieme ancora oggi.
«Credo che Ofelia stia con te perché in fondo è un’infermiera», mi disse qualcuno, «si è convinta perché in fondo crede che tu sia un bravo ragazzo». La mia conclusione fu: «Ofelia rende la mia vita completa. Le sono grato per questo. Non ho mai provato per nessuna quello che provo per lei»
Ofelia mi ha salvato, mi ha cambiato la vita, mi ha reso una persona migliore. Un po’ come è successo a Dave Gahan in seguito all’overdose di speedball quando, nel centro di riabilitazione dove fu spedito dalle autorità californiane, conobbe una ragazza di nome Jennifer che cambiò radicalmente la sua esistenza costringendolo a disintossicarsi, diventando la sua ancora di salvezza. Dave Gahan e Jennifer Sklias stanno insieme ancora oggi. Dave ha abbandonato le droghe, segue uno stile di vita sano, pratica yoga e fa sport. Il passato sembra ormai sepolto e ci pensa lei a placare il suo spirito ribelle. «Le tentazioni probabilmente non scompariranno mai definitivamente ma si indeboliscono», ha raccontato in un’intervista qualche tempo fa. «Presumibilmente è stata mia moglie Jennifer a trattenere la mia follia». Inutile dire quindi con che pezzo di quale band aprirò la trasmissione del mini progetto radiofonico di quattro puntate che partirà settimana prossima con Alb in un locale di via Agnello a Milano. Si ripartirà da zero. Si ripartirà con Photographic.