L’impasse di Letta sulla lista: le perplessità della sinistra

Paola Alagia
26/07/2022

L'ipotesi di aprire la lista Democratici e progressisti a Renzi e Calenda fa crescere i malumori della sinistra dem e di Articolo Uno. Che non abbandonano il progetto M5s. E allontanerebbe ancora di più la Cgil di Landini. Un bel rompicapo per Letta.

L’impasse di Letta sulla lista: le perplessità della sinistra

Il nome della lista già c’è. Si chiamerà Democratici e progressisti, come ha annunciato il segretario del Pd Enrico Letta ospite di Mezz’ora in più domenica. La vera incognita però è chi ne farà parte. La direzione dem di martedì 26 luglio servirà per chiarire meglio i contorni della grande alleanza. Per ora, l’inquilino del Nazareno si è limitato a tracciarne i confini (aperta a chi porta un valore aggiunto, a chi si pone con spirito costruttivo e a chi non mette veti), ma l’elenco dei nomi che stanno circolando è già motivo di forti perplessità e, in alcuni casi, di vera e propria contrarietà, più o meno esibita.

La sofferenza della sinistra dem

A essere in sofferenza è l’anima più a sinistra dentro il partito. «La base è in subbuglio», racconta un esponente dem, «ed è molto disorientata. Nelle chat si scontrano quelli che sono arrabbiati con Conte e coloro che invece si concentrano sui temi e sposano tutti i punti programmatici sottoposti dal leader M5s a Draghi». Diverso è invece l’approccio tra gli eletti: «È troppo fresco l’errore commesso dal Movimento per passarci sopra: vince l’impopolarità dell’ex premier». Tant’è che diverse fonti dem incrociate da Tag43 dicono all’unisono che «il veto sul leader pentastellato è destinato a rimanere». Escluso l’avvocato del popolo, rimane da capire chi farà parte della lista progressista. Che Articolo Uno vada ad elezioni con il Pd non è una sorpresa. Scontato, dunque, l’invito di Letta al partito di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza. Anche perché, come sottolineano dalle parti di Art 1, «il nostro cammino è già tracciato da tempo. Almeno dal congresso di aprile in cui si è deciso di sposare un dialogo privilegiato proprio con i dem». In realtà, quelli erano i tempi in cui il convitato di pietra era il M5s. Oggi, però, quel campo progressista non esiste più. Una realtà difficile da accettare pure da buona parte della base bersaniana: «Il disagio esiste. C’è chi considera dirimente l’errore commesso da Conte e chi invece reputa sbagliato buttare tutto a mare, alla luce di numerose istanze politiche condivise con il M5s e del governo insieme in diverse realtà».

L'impasse di Letta sulla lista: le perplessità della sinistra
Enrico Letta (da Fb).

Mentre, al di là dei distinguo, è proprio Bersani che non ha alcuna intenzione di rassegnarsi ad abbandonare il percorso intrapreso col Conte due. «Penso, non da oggi, che si sarebbe dovuto lavorare in quest’anno e mezzo per comporre un campo progressista con Pd, ambientalisti, sinistra e Movimento 5 stelle», ha detto ospite di In onda ieri sera. E tanto per essere ancora più chiaro ha aggiunto: «Io mi sento alternativo a chi propone flat tax, aliquota unica Irpef, a chi vuole cancellare il reddito di cittadinanza, a chi dice no al salario minimo, allo ius scholae, alla ius soli, al ddl Zan e alla legge sul fine vita».

La grande ammucchiata spaventa

Sia Articolo Uno e sia l’area sinistra del Pd, inoltre, condividono gli stessi dubbi sulla composizione dell’ipotetica lista in vista delle elezioni. L’idea di imbarcare un po’ tutti, da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli fino a Matteo Renzi e Carlo Calenda, passando per Renato Brunetta e Luigi Di Maio, come dicono da ambo le parti, apre una questione politica. «Come si fa a scrivere un programma comune e rendere riconoscibile un’impostazione di sinistra?», osservano da Articolo Uno. Nel partito, insomma, il timore che si crei un campo sbilanciato c’è. Così come aleggia la paura dell’avanzata delle destre. La famosa «mucca nel corridoio», per citare una nota metafora bersaniania. Non manca poi chi si interroga sulla logica politica perseguita da Letta e mette in guardia: «È probabile che il Pd punti a essere primo partito dopo il voto. Ma non vincerà comunque le elezioni se il centrodestra avrà la maggioranza». Qualcuno addirittura rincara la dose: «Tra l’altro, non è scritto da nessuna parte che mettere insieme tutti poi si traduca in una somma di voti». Insomma, sono diverse le questioni che di sicuro i bersaniani affronteranno nella direzione che si riunirà nei prossimi giorni: «Il nostro non è lo stile calendiano dei veti, ma anche noi contribuiremo al dibattito con le idee e sollevando questioni politiche». Tra queste non potrà mancare quella legata a Italia viva, a cui lo stesso Letta non ha chiuso le porte: «Con Renzi», chiariscono, «il problema non è di astio personale. La questione vera è la sua inaffidabilità: da quando è in politica ha sempre tradito i patti».

L'impasse di Letta sulla lista: le perplessità della sinistra
Roberto Speranza (da Fb).

Renzi resta un nervo scoperto sia per Articolo Uno sia per la sinistra dem

Renzi, in realtà, è un nervo scoperto pure nella sinistra dem: «Condanniamo il comportamento di Conte, ma come la mettiamo con il leader di Iv che sulla giustizia era accanto a Salvini e che sul reddito di cittadinanza ha raccolto le firme per un referendum?», si sfoga con Tag43 un membro della direzione nazionale dem. «Passiamo sopra addirittura al fatto che oggi stesso Matteo ha mancato di rispetto al segretario Letta, proponendo il nome di Bonaccini per la premiership?». Non solo, ma tra gli eletti del Pd c’è chi già pronostica: «Imbarcare Renzi è una doppia operazione a perdere. Basta fare volantinaggio o andare in un circolo per capire che la maggior parte dei nostri elettori non ci voterebbe se c’è Renzi. Quindi, l’ex sindaco di Firenze non solo non porta voti, ma ce li toglie. E poi bisogna considerare chi vota Italia viva e che di certo non esprimerebbe il suo consenso al Pd». Un esponente della sinistra dem, infine, non ci gira intorno: «Di Maio, Brunetta, Renzi. Sono tutte persone senza voti. L’unico che nei collegi uninominali può dare una mano è Carlo Calenda. Ma mi chiedo come si concilino con noi i suoi veti e soprattutto il suo programma, a cominciare dal nucleare. Vogliamo regalare gli ambientalisti a Conte o a Fratoianni?». C’è infine la Cgil di Landini. E nella sinistra democratica più di qualcuno comincia a interrogarsi: «La Consulta torna a chiedere di cambiare il Jobs Act. Tutti i delegati sindacali voteranno noi se apriamo le porte a Renzi o guarderanno a Sinistra italiana che di sicuro metterà in testa al suo programma le modifiche sul lavoro chieste dalla Corte Costituzionale?». L’elenco dei non possumus potrebbe continuare e non risparmia neppure Renato Brunetta che «il mese scorso, durante la campagna elettorale per le amministrative in Veneto, attaccò un lavoratore dipendente con tanto di invito a mettersi in proprio…».

«Oltre all’errore parlare di Agenda Draghi, c’è perplessità sui nomi da imbarcare»

Insomma, tirando le fila, l’esponente del Pd conclude: «Tralasciamo l’errore esiziale di parlare di agenda Draghi invece di parlare sin da subito di un programma progressista e sociale. Le perplessità sui nomi da imbarcare in lista ci sono, è inutile negarlo. E ci sono sia per ragioni di calcoli elettorali, che con il taglio dei parlamentari è inevitabile si facciano. E sia in termini di praticabilità di un’alleanza che rischia solo di annacquare l’identità del Pd». A meno che, come sussurra una fonte bersaniana, «quella di Letta non sia solo un’apertura tattica per dimostrare con metodo maieiutico che la strada non è percorribile». Chissà se sarà così. Non ci sarà da aspettare molto. Ad horas le carte saranno scoperte.