La discussione sul decreto Infrastrutture, andata in scena oggi pomeriggio al Senato, è diventata un ulteriore terreno di scontro sull’identità di genere. Dopo l’accesa diatriba sul ddl Zan di otto giorni fa, è l’emendamento a firma delle deputate Alessia Rotta del Pd e Raffaella Paita di Italia viva, ad infiammare gli animi. Nel testo si parla del divieto sulle strade e sui veicoli di ogni «forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche».
Dl Infrastrutture, i sub-emendamenti di Fratelli D’Italia
In tutta risposta, però, arrivano due sub-emendamenti a firma di Malan, Ruspandini e Totar, tre senatori di Fratelli d’Italia, con cui viene eliminato il riferimento all‘identità di genere, argomento degli scontri della scorsa settimana. Proprio Lucio Malan ha spiegato il motivo, parlando di un tentativo di «reintrodurre l’identità di genere, tipica espressione della nefasta ideologia gender, appena respinta nel ddl Zan». E ancora una volta Fdi ha chiesto il voto segreto, ricalcando le modalità con cui otto giorni fa è stata fermata la norma contro l’omotransfobia. Una richiesta che potrebbe essere nuovamente accettata dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, ma che passa dall’eventuale fiducia sul disegno di legge che il governo starebbe valutando.
Dl Infrastrutture: la dura replica di Alessia Rotta
Dura la replica di Alessia Rotta, una delle due firmatarie dell’emendamento, che si è scagliata contro la destra, rea di «non avere alcuna intenzione di combattere le discriminazioni e la violenza del linguaggio. Non si spiega altrimenti la battaglia ingaggiata al Senato contro il nostro emendamento mirato a vietare manifesti pubblicitari sessisti, discriminatori e violenti. Questo atteggiamento, tra l’altro, dimostra ancora una volta che questa destra non aveva alcuna intenzione di mediare per l’approvazione del ddl Zan».