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Tokyo 2020

Dal piombo all’Oro

La seconda vita di Darren Campbell: l’ex velocista olimpionico e coach della nazionale britannica in partenza per Tokyo racconta il suo passato difficile a Manchester tra gang e rapine.

15 Luglio 2021 15:5023 Luglio 2021 12:44 Redazione
Darren Campbell ha vinto due medaglie olimpiche, riuscendo grazie all'atletica a tirarsi fuori da un'infanzia difficile

La velocità gli è servita per trionfare in pista e scappare da un’adolescenza difficile. Rapine saltate all’ultimo istante, aggressioni, il dolore di veder ammazzati i propri amici. Darren Campbell è stato argento all’Olimpiade di Sidney, nel 2000, sui duecento piani. Ancora meglio ha fatto quattro anni più tardi ad Atene, quando con la nazionale britannica ha conquistato l’oro nella staffetta 4×100. Prima delle medaglie, però, ha dovuto imparare a tirarsi fuori dai tanti guai, in cui ha finito per imbattersi. Ora da coach, allena i ragazzi in vista di Tokyo e insegna loro a non farsi trascinare fuori dalla retta via.

Darren Campbell, l’infanzia difficile a Manchester

Classe 1973, nato nella periferia di Manchester, fu cresciuto con la sorella Marva dalla madre, da cui avrebbe ereditato il cognome. Il padre lo conobbe soltanto a 13 anni, durante una premiazione, e non fu esattamente Carramba che sorpresa: «Un giorno diventerò famoso. Non voglio che lui si prenda le lodi, se vorrà farlo, dovrà anche spiegare perché abbiamo cognomi diversi», dirà successivamente. Le imprese di Carl Lewis, il figlio del vento capace a Los Angeles 1984 di vincere l’oro nei cento, duecento, nel salto in lungo e nella 4×100, lo spinsero verso l’atletica e gli infusero il convincimento che, questione di tempo, anche lui un giorno avrebbe partecipato a un’Olimpiade. La determinazione precoce non bastò, però, a evitare le cattive compagnie: «Sebbene mamma fosse molto severa, la più temuta del quartiere, per mantenerci doveva fare tre lavori e ciò inevitabilmente l’allontanava da casa», spiega alla Bbc.

Campbell e la gang: «Noi contro il mondo»

Smarrimento e assenza di punti di riferimento condussero, così, Campbell ad avvicinarsi a un gruppo di amici, che nel giro di poco si sarebbe trasformato in una gang. «Eravamo ispirati dal motto “noi contro il mondo”, perché era così che ci sentivamo. Non posso dire fossimo cattivi ragazzi, ma crescendo inevitabilmente ti fai influenzare dal contesto. Ed erano pistole, coltelli e droga». La necessità di doversela cavare ha accresciuto lo spirito di solidarietà, «la consapevolezza di dover proteggere te stesso e i tuoi amici. Da lì, le cose sono degenerate». Sebbene il talento stesse sbocciando, confermato dai successi nelle competizioni giovanili, scolastiche e regionali, la strada per il successo restava infatti lastricata di tentazioni. Supportato dall’idea di trovare denaro senza fatica, Campbell a 16 anni si trovò invischiato in una rapina in un pub. «Ci sedemmo a tavolino e pensammo a un modo per guadagnare facilmente. In zona c’era un locale e decidemmo di svaligiarlo dopo l’orario di chiusura». Il destino, tuttavia, aveva altri programmi: «Mi sembrava un’idea folle, così mentre in moto mi ci stavo recando, chiesi al cielo di mostrarmi un segno. Una manciata di minuti e forai. Ero incaricato di scappare col bottino, l’inconveniente ce lo impedì e il piano saltò».

Le siliding doors di Darren Campbell

Sliding doors, momenti destinati a fare da spartiacque e segnare un’esistenza. «Fosse andata diversamente, magari ci avrei riprovato». I suoi rimorsi, però, non erano quelli degli altri, che progressivamente allargavano i giri loschi e la portata degli affari, rendendo complicata la fuga da un universo di delinquenza e criminalità. «Era come se vivessi in due mondi distinti. Da un lato l’atletica e gli allenamenti, dall’altro la gang». Una fotografia rende meglio di ogni altra descrizione la precarietà dell’equilibrio. Campbell a 17 anni vinse l’oro nei cento e nei duecento agli Europei Juniores di Salonicco, al ritorno nessuna festa, ma il tentativo di accoltellarlo. «Alcuni ragazzi ci videro in un centro commerciale. Un mio amico aveva picchiato uno di loro e cercarono di vendicarsi. Estrassero un coltello e provarono a colpirmi. Mi sfilai il cappotto, su cui è rimasto uno squarcio». L’apice arrivò quando venne ucciso l’amico T, altro membro della gang. Fu a quel punto che la mamma gli propose di lasciare definitivamente Manchester: «Potevo solo dire sì».

Il trasferimento: via da Manchester e dai guai

Trovare una collocazione nuova non fu difficile, un palmares sempre più ricco gli consentì di avere l’imbarazzo della scelta, virata poi su New Port, Galles del Sud. Qui trovò l’allenatore Malcolm Arnold. Fu lui a riportarlo in pista smaltito un periodo di disincanto, causato dalla convinzione che per competere ai massimi livelli fosse necessario doparsi. Tornato ad allenarsi con continuità nel 1995, venne selezionato per l’Olimpiade di Atlanta. Il debutto a cinque cerchi non è stato da sogno e il testimone della staffetta cadde prima ancora dell’inizio della sua frazione. Poco male, messi definitivamente in soffitta i fantasmi, si rifece con gli interessi a Sidney ed Atene, mantenendo fede a un’antica promessa e non smettendo mai di ringraziare il destino.

Tag:Olimpiadi2020
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