Dante del giudizio

Bruno Giurato
02/01/2022

Anti-pop, di difficile comprensione, aperto alle questioni di genere, avvezzo all'uso di parolacce e cantore della crisi. Perché, chiuso l'anno delle celebrazioni per il settecentenario dalla nascita, vale ancora la pena di leggere il Sommo poeta.

Dante del giudizio

Cappuccetto rosso, alloro in testa, naso a becco. È perfetto per diventare disegno, dipinto, caricatura, fumetto. Così è stato nei secoli, ma in particolare in questo settecentenario, in cui si è fatto di tutto per enfatizzare lo status di icona pop di Dante Alighieri. È lo spirito del tempo, incerto com’è, che ha bisogno di comfort culture come di comfort food: meravigliosi anche i gelati al gusto Inferno, Purgatorio, Paradiso, che possono averci rinfrancato in un’estate bollente e socialmente depressiva. Fantastici i tweet dell’Accademia della Crusca con le parole del sommo, che hanno mostrato come della lingua di Dante tantissimo è attuale (i classici sono come il maiale: non si butta via niente); fantastiche le citazioni dantesche in giro per i social, che hanno fatto brillare il fascino di una poesia attraente anche quando è lontana dalla lingua e dalla poesia di oggi.

Alla fine del settecentenario, le cui celebrazioni sono state rallentate e confuse dalla pandemia rimane però un simbolo ad alto contenuto di tensione. Un contenitore di contraddizioni. Inesauribile, come solo i classici grandi possono essere, ci dà ottimi motivi per leggerlo dopo le celebrazioni.

Perché leggere Dante anche dopo le celebrazioni per il settecentenario

Primo motivo. Nonostante sia stato percepito come pop, Dante è antipop. «Non è levigato», non è «per tutti». Il suo è un italiano difficile pieno di false friends. Caso limite. Nel  suo verso più famoso «Tanto gentile e tanto onesta pare» (XXVI capitolo della Vita Nova) gentile non vuol dire gentile, onesta non vuol dire onesta, pare non vuol dire pare. Dante non scrive dell’apparenza di una fanciulla che si sa comportare bene, scrive dell’apparizione di una «signora del cuore», terrorizzante, e in grado di azzerare il significato del linguaggio comune ( «ogne lingua divien tremando muta»). Altro esempio: le rime petrose dedicate alla donna petra che eroticamente non gli corrisponde. Sfrenatamente simboliche, virtuosistiche, allucinatorie. Nella sestina «Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra» le rime sono sostituite da parole rima. Sei parole che chiudono le strofe: ombra, colli, erba, verde, petra, donna si alternano lungo le stanze ogni volta ricominciando dalla parola successiva, e mettendo l’ultima al primo posto. Il dispositivo metrico si chiama retrogradatio crociata, ed era già stato usato dal poeta provenzale Arnaut Daniel, maestro di Dante, per la sua sestina Lo ferm voler. Altro omaggio dantesco al trovatore provenzale: Dante incontra Arnaut nel Purgatorio (XXVI, 139-148), nel girone -nemmeno a dirlo- dei lussuriosi, e lo fa parlare nella sua lingua («Tan m’abellis vostre cortes deman/qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire (…)»). Morale della storia: capire Dante, a differenza di tanti altri classici, richiede uno studio particolare, poco compatibile con i canoni della fruibilità, della facilità, del pop.

Una prospettiva opposta rispetto a quella dei moderni

Secondo motivo per leggerlo. La prospettiva di Dante è opposta rispetto alla nostra di moderni. Dall’’800 a oggi l’opinione comune è che l’Inferno fosse interessante, il Purgatorio così così, il Paradiso fosse una mirabile parata di astrazioni intellettuali. Fosse struttura e non poesia, costruzione, non gioia espressiva. Opinione poi smentita dai critici, ma sempre forte nel mainstream. «Il Paradiso è noioso». Tanto noioso che per un paio di volte (l’ultima nel 2007) la traccia del tema dantesco sul Paradiso alla maturità è venuta fuori sbagliata. E gli errori  – soprattutto ministeriali – nascono non da sciatteria, ma da un’incomprensione profonda (o meglio, la sciatteria nasce sempre da un’incomprensione profonda). Il Paradiso è fondato su una ontologia mistica, quindi rovesciata. Sul fatto che una volta morti non finiamo nella terra a marcire in pace, ma veniamo lanciati verso un mondo di luce. Il che è profondamente contrario a tutte le nostre convinzioni razionaliste, scientifiche, storiciste, perfino, eventualmente, esistenzialiste e finitiste. Eppure Dante lo spiega bene (Par III) «e forse in tanto in quanto un quadrel posa/ e vola e da la noce si dischiava/ giunto mi vidi ove mirabil cosa/ mi torse il viso a sé […]». Il quadrel è una freccia di balestra a punta quadra, e il destino – a parte inciampi e smarrimenti – di ciascuno è quella luce. Il che ci risulta incomprensibile. Allo stesso tempo Dante è concreto. Tutta la Commedia è un elenco di posti, avvenimenti, personaggi, molti dei quali sarebbero sconosciuti senza di lui, vedi la storia di Paolo e Francesca.

La statua di Dante a Santa Croce, Firenze

Dante è un mistico, e contemporaneamente un grande cronista che racconta di Parigi, «del vico de li strami» (Paradiso X), ovvero Rue du Fouarre, dove gli studenti dell’Università andavano a comprare la paglia su cui sedersi durante le lezioni. In più tutta la Commedia, non bisognerebbe dimenticarlo, è strutturata su una serie di interviste. È il sogno di qualsiasi giornalista intervistare Ulisse e Guido Da Montefeltro, San Francesco e Cunizza Da Romano. Passare in mezzo ai diavoli di Malebolge e uscirne sani.

Dante, poeta erotico che non crede nell’amore

Terzo motivo per leggerlo. Dante è un poeta erotico, ma non è un poeta d’amore. Nel suo percorso la prospettiva, iniziale, dell’amore romantico a un certo punto devia. Da fedele d’amore diventa altro. Dante, a Bologna, si infuria coi suoi occhi distratti a guardare la torre della Garisenda mentre passa la più bella donna della città. Dante scrive per Beatrice, e anche per la «pargoletta», e per la «donna petra», e non sappiamo esattamente quanto le tre figure si possano sovrapporre. Ma con la fine della Vita Nuova abbandona la prospettiva edonistica, romanzesca, eroticamente avventurosa. Devia la carica erotica verso la mistica, con risultati paradossali. Come dice Teodolinda Barolini, una delle più grandi dantiste contemporanee: «Non abbiamo un’esperienza e un lessico per capire l’unità mistica, se non il lessico e l’esperienza della co-penetrazione fisica. Quando Dante scrive il verso “s’io m’intuassi, come tu t’inmii” su quale esperienza si sta basando, se non su un’esperienza erotica? “Intuarsi”, “inmiarsi”. Chi fa una cosa simile? Gli amanti. Chi inventa un questo linguaggio? Dante».

L’attenzione di Dante verso le “questioni di genere”

Quarto motivo per leggerlo. Dante è avanti rispetto ai contemporanei per il suo atteggiamento verso le donne e per tutte le questioni sessuali, o, come si direbbe, di genere. Per Dante ci sono omosessuali non solo all’inferno, ma anche in Purgatorio e in Paradiso. Nel XXVI del Purgatorio gli omosessuali stanno tra i lussuriosi, con un cambiamento di prospettiva rispetto all’Inferno, nel quale erano posti tra i violenti contro la natura. Questo fatto è stato generalmente ignorato dai commenti alla Commedia, ma è un fatto. Un altro fatto è che nella Commedia non esistano le torture ai genitali, come nella Cappella degli Scrovegni, nel Giudizio Universale di Taddeo di Bartolo, eccetera. Anche qui il merito di averlo considerato va alla Barolini. Che ha anche notato, nel suo classico La Commedia senza Dio (Feltrinelli) come la figura di Beatrice sia una figura unica. Beatrice è una donna di carne e ossa, non un simbolo come nella trattatistica e nella poesia precedente, che diventa mediatrice di salvezza eterna. Il modello, naturalmente, è quello di Maria di Nazareth. Ma questa posizione paradossale che è tipica del cattolicesimo e dell’ortodossia, e detestata dal protestantesimo, viene assunta in modo radicale dal poeta. In più Beatrice non è una musa, più o meno distante ma muta. Beatrice parla, spiega, rimprovera il poeta-personaggio. Beatrix Loquax. Tutto questo è perfettamente contrario a quanto si era visto e letto fino al momento di Dante, e anche a quanto di vedrà e si leggerà per molti secoli a venire.

Cassonetti per il vetro diventati opere d’arte a Roma, c’è anche Dante

Le parolacce di Dante

Allo stesso tempo Dante non è linguisticamente corretto. L’uso di tutti i registri stilistici di Dante contempla anche l’offesa, l’insulto, la sconvenienza lessicale più potente. C’è un bel libro di Federico Sanguineti sul valore politico delle parolacce di Dante. Nomi e aggettivi nel XVIII canto dell’Inferno, «sterco» (v. 113), «merda» (v. 116), «merdose» (v. 131) e “puttana» (v. 133). Nel XIX canto dell’Inferno, troviamo “puttaneggiar» (v. 108). nel XXI canto dell’Inferno c’è ed elli avea del cul fatto trombetta». Ci sono bestemmie. Nell’Inferno si incontra chi le mani alza «con ambedue le fiche, / gridando: Togli, Idio, ch’a te le squadro”». Nel XXVII del Paradiso -perfino nel Paradiso- c’è l’invettiva contro i papi che tralignando hanno fatto della sua residenza «cloaca / del sangue e della puzza».

Il sommo poeta della crisi

Quinto motivo per mettersi a leggere Dante oltre le ricorrenze. Siamo in una crisi, che in questo caso è sanitaria, ma anche politica, decisionale, cognitiva. E Dante è il poeta, per eccellenza, della crisi. È stato strumentalizzato nel Risorgimento come cantore dell’Italia unita, è stato utilizzato dal fascismo (lo notava a inizio 2021 un bell’articolo di Nicola Mirenzi), ma la sua prospettiva è più ampia di quella italiana. Include l’Europa e si inoltra nel Mediterraneo. Resta un autore che assume troppe contraddizioni per essere rinchiuso in una formula politicamente fungibile. Come ha detto un altro grande dantista, Carlo Ossola: Nel momento in cui Dante scrive stavano finendo i grandi sistemi universali che avevano sorretto il pensiero, la politica, la religione in Occidente. Dante illustra gli universalia tantum, sono questi «che mettono in prospettiva e ordinano il dettaglio». Mettere in prospettiva. Ordinare il dettaglio. Non è poco. Anche dopo il settecentenario.

Moderno, poeta della crisi, aperto sulle questioni di genere: perché vale la pena leggere Dante anche dopo il settecentenario
Una copia della Divina Commedia (Getty)