Una grande simulazione virtuale, con la società schiava dell’intelligenza artificiale. Visto così, il copione di Matrix, pronto a tornare nelle sale italiane a partire dall’1 gennaio 2022, non appare eccessivamente distante dall’universo in cui viviamo. Il 1999, con il nuovo millennio alle porte, fu l’anno in cui il cinema lanciò una serie di film talmente d’impatto da essere in grado di far dubitare gli spettatori della concretezza stessa dell’universo quotidiano. Fight Club, Office Space, Essere John Malkovich, e naturalmente Matrix, rappresentarono il trionfo del cyberpunk, sottogenere noir di fantascienza, in cui le tecnologie futuristiche si combinavano con ambientazioni cupe e distopiche.
Il termine è in realtà ben più antico, coniato nel 1983 dallo scrittore statunitense Bruce Bethke per un racconto intitolato, appunto, Cyberpunk, storia di un gruppo di ragazzi ribelli immerso in una società tecnologicamente avanzata, intento a saltare la scuola per rapinare una banca hackerandone i sistemi di sicurezza. L’idea dell’autore, da lui stesso spiegata, era combinare l’high tech a giovani non esattamente modello. Prima ancora, lungo un crinale simile si era mosso un gigante della fantascienza, Philip K Dick. Nel 1968, il romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep prefigurò il genere cyberpunk e tredici anni dopo venne adattato al grande schermo con il nome – diventato molto più popolare rispetto a quello del libro – di Blade Runner, film entrato nella storia del cinema. Fu quindi il turno Akira, anime del 1988 ispirato all’omonimo manga giapponese uscito 6 anni prima, entrambi scritti da Katsuhiro Ōtomo, e ancora del romanzo di William Gibson, Neuromante (1984) e del gioco da tavolo di ruolo di Mike Pondsmith Cyberpunk 2020 (1988).
Criminalità e uso di droga dilaganti, disastri ambientali: le società descritte dal cyberpunk
Il genere cyberpunk, a metà degli Anni 80, ritraeva una società fatiscente con vaste disparità tra ricchi e poveri, criminalità dilagante e diffuso uso di droga. Ma anche governi corrotti, con un potere schiavo di megacorporazioni e immerso in un ambiente inquinato, conseguenza di immani catastrofi climatiche. Insomma High tech, low life, recitava un motto praticamente cucito su misura. «Volevamo immaginare qualcosa di parecchio bizzarro e difficile da prevedere e convincere la gente che potesse realmente accadere», spiega alla Bbc Neal Stephenson autore di Snow Crash, altra pietra miliare tra i romanzi cyberpunk. Nel caso specifico immaginavano tecnologie di ultima generazione, fatte proprie da personalità fuori dagli schemi, con l’obiettivo di indirizzarle verso scopi inediti: «Quando l’elettricità divenne disponibile a tutti, gli ingegneri che immaginavano il futuro sognavano lavatrici o tostapane, forse automobili. Non credo che pensassero alla chitarra elettrica. E anche se lo avessero fatto, sicuramente non avrebbero mai creduto all’impatto che avrebbe potuto avere sulla musica». La chiave del successo è qui e sembra resistere agli attacchi del tempo. /r/cyberpunk, videogame tratto dal gioco di ruolo Pondsmith, Cyberpunk 2077 conta oltre 620.000 iscritti, ma la crescita non pare arrestarsi. Narra le gesta di giocatori ritrovatisi in una città senza legge, 50 anni nel futuro, e dal suo lancio nel dicembre 2020 ha venduto dieci milioni di copie. Non finisce qui, perché uno dei suoi personaggi è stato fonte d’ispirazione per l’organizzazione no-profit Limbitless, capace di stampare in 3D una versione del braccio bionico del protagonista, destinandola alle esigenze dei disabili nel mondo reale.

Ma il successo è trasversale e include le serie tv, da Blade Runner: Black Lotus a Omniscient, passando per 3% e Ad Vitam. Come la musica, dove l’influenza del cyberpunk è evidente nei video Panini di Lil Nas X e Need to Know di Doja Cat. Qui le star si trovano in vicoli oscuri o discoteche squallide, mentre macchine volanti scorrazzano nel cielo. Il segreto secondo gli esperti, sarebbe da rintracciare nella sfera di cristallo con cui film e romanzi hanno finito per proiettare con decenni d’anticipo il mondo odierno. Blade Runner e Akira, d’altronde, sono ambientati nel 2019. Cyberpunk 2020, suggerisce il nome, l’anno successivo. Johnny Mnemonic, racconto di William Gibson del 1981 (da cui nel 1995 è stato tratto il film), nel 2021. E seppure i cieli rimangono sgomberi di macchine volanti e i cyborg devono ancora integrarsi nella società, altre sfaccettature appaiono molto più concrete. È il caso del metaverso, chiamato da Gibson cyberspace nel romanzo Burning Chrome e riproposto con maggiore successo in Neuromanete, cult in cui l’hacker Henry Dorsett Case intraprende una missione losca in uno spazio virtuale chiamato matrice. In Snow Crash protagonista è L Bob Rife, un magnate dei media che controlla la televisione mondiale e il metaverso, monopolizzando l’informazione. È accusato, inoltre, di spiare i suoi dipendenti e ricattarli. Per Stephenson, pur non essendoci nella realtà un uomo potente come Rife, «a personaggi simili siamo arrivati a guardare come risolutori di problemi». E ci sarà un motivo se Stephenson nel curriculum abbia un impiego come futurista per Blue Origin, colosso spaziale di Jeff Bezos.
All’origine delle cuffie per la realtà avanzata
Ci sono poi le cuffie per la realtà avanzata, accessori fondamentali in The Matrix, Neuromancer, Johnny Mnemonic e diventate popolari durante la pandemia. Consentono di partecipare a concerti, festival, lezioni di ginnastica, proteste di Black Lives Matter e persino interventi chirurgici, il tutto senza alzarsi dal divano. Un concetto estrapolato dal racconto di Philip K Dick del 1956, The Minority Report, sistematicamente riproposto e destinato a imporsi con maggiore prepotenza in un futuro prossimo. A ciò si aggiunge il deepfake, ossia l’alterazione digitale di una persona per creare un inganno credibile, già vista in The Running Man del 1987. Nell’opera una società televisiva utilizza lo stratagemma per incastrare un uomo con l’accusa di crimini mai commessi. Di criptovaluta, invece, si parla già nel 1999, con il romanzo di Neal Stephenson Cryptonomicon.
Anche Google Earth è nato dalla lettura di un romanzo cyberpunk
Per rendersi conto non si tratti esattamente di coincidenze basta leggere la postfazione di Jack Womack alla ristampa statunitense del 2000 di Neuromancer. «E se l’atto di scriverlo, in effetti, l’avesse determinato?», si domanda l’autore, raccogliendo l’approvazione duna vasta fetta di pubblico, John Hanke, compreso. Ex direttore della divisione di produzione Geo di Google, ha citato Earth, software immaginario in Snow Crash, come ispirazione per il più recente e famoso programma di Google che consente di perlustrare ogni angolo del pianeta. Non esattamente un episodio isolato. In una puntata del podcast di Wired Geek’s Guide to the Galaxy, infatti, il presentatore David Barr Kirtley ha raccontato di aver fatto un elenco degli imprenditori della Silicon Valley che hanno citato Snow Crash come musa: «Ma mi sono fermato, perché lo avevano fatto tutti». Ambientata nel metaverso, l’opera da qualche mese è tornata in auge. Da quando, a essere precisi, Facebook ha dichiarato di volerne costruire uno: «Sarai in grado di fare quasi tutto ciò che puoi immaginare: stare insieme ad amici e familiari, lavorare, imparare, giocare, creare», ha detto entusiasta Mark Zuckerberg. A imitarlo nel giro di poco Disney e Microsoft. Con simili presupposti, non stupisce l’affermazione di Dean Eckles, scienziato del colosso di Menlo Park che una volta raccontò di come Zuckerberg avesse imposto ai product manager la lettura di Snow Crash. Una popolarità che non cancella le zone d’ombra, almeno a sentire Stephenson: «Il libro è distopico, ma anche ammonitore. Implementare eccessivamente la tecnologia potrebbe rivelarsi un messaggio sbagliato. Il metaverso descritto nell’opera è un mezzo abbastanza neutro, utilizzato da molte persone in differenti modi: alcuni cattivi, altri produttivi per la collettività». Come la crisi climatica, con i cieli di Pechino inquinati e difficili distinguere da quelli di Blade Runner. O il virus, ricorrente in Snow Crash e Johnny Mnemonic, e di cui riferimenti non mancano neppure in Matrix.
Nelle opere di cyberpunk gli scenari finali non sono mai felici
Nel cyberpunk, infine, spicca anche l’assenza di scenari e pianeti felici. L’ultimo romanzo di Stephenson, Termination Shock, pubblicato a ottobre, ad esempio, consegna al protagonista la responsabilità della soluzione al problema del cambiamento climatico. Per risolvere l’impasse, questo spara zolfo nell’aria, che riflette la luce solare nello spazio. Gli esiti tuttavia sono infausti. Una caratteristica piuttosto comune in opere, dove le città sono sommerse da spazzatura elettronica (Wate Tide), la democrazia è alimentata dai motori di ricerca (Informocracy) e i Paesi poveri sono sfruttati per ricavare energia sostenibile (Noor). Insomma, per molti, film e romanzi non avrebbero solo anticipato il presente, ma lanciato modelli non proprio positivi e di frequente emulati. Ragion per cui, sostengono, forse basterebbero trame meno noir per migliorare la condizione attuale e futura.