Alle origini delle differenze culturali e politiche tra Russia e Occidente

Guido Mariani
20/03/2022

Le fratture tra Russia e Occidente hanno origini antiche, già evidenti ai tempi di Napoleone. Alla base, l'avversione di Mosca verso ogni forma di democrazia. Una distanza ridotta solo quando c'era da fronteggiare un nemico comune.

Alle origini delle differenze culturali e politiche tra Russia e Occidente

Studiare la storia è spesso il miglior modo per capire il presente. O meglio per tentare di capirlo. Nel 1807 Napoleone era l’uomo più potente d’Europa. La vittoria di Friedland dell’armata francese costrinse lo zar Alessandro I a venire a patti con il nemico. L’incontro tra i due imperatori, raccontato anche in Guerra e Pace, si tenne su una piattaforma galleggiante sul fiume Nemunas, luogo simbolicamente scelto per dare l’assoluta immagine di neutralità. Lo Zar esordì con queste parole: «Odio gli inglesi non meno di voi». Il comune odio contro l’Inghilterra fu la premessa di una tregua destinata a durare poco. Quella che diverrà nota come la pace di Tilsit non è che un classico esempio di due mondi, quello occidentale e quello orientale russo, che si confrontano fingendosi di trovarsi d’accordo, ma rimanendo tanto diversi quanto distanti. Ogni volta che l’Occidente pensa di portare nel suo alveo la Russia, la Russia sembra reagire mettendo in luce la propria unicità e originalità. Succede anche oggi, con i carrarmati di Mosca impegnati nella guerra in Ucraina. Il successore di Alessandro I, il fratello Nicola, scelse come motto del suo potere la triade «autocrazia, ortodossia e nazionalità», puntando su un’ideologia che voleva basarsi sulle tradizioni russe e distinguersi dalle influenze straniere, prima fra tutte la pericolosa idea della democrazia. Agli inizi del XX secolo il poeta  di San Pietroburgo Aleksandr Blok paragonerà la Russia a una sfinge che guarda l’occidente «esultante e afflitta», «con tutto il suo odio e tutto il suo amore». Questo misto di odio e amore sembra conservarsi ancora oggi, ma a ben guardare viene da molto lontano.

Alle origini della distanza storica, politica e culturale che da secoli separa la Russia dall'Occidente e dal resto d'Europa
Ritratto di Pietro il Grande (Getty)

Ivan Il Terribile, il primo Zar di tutte le Russie

Alla fine del medioevo per emanciparsi dal dominio dei Tartari la Russia sviluppò una monarchia fortemente accentratrice. Ivan il Grande si liberò dal giogo plurisecolare dell’Orda d’oro, antica dinastia mongola, e nel 1530 il figlio Ivan IV, Il terribile, divenne il primo Zar (Cesare) di tutte le Russie. Il nuovo impero, che aveva adottato già al volgere del primo millennio il cristianesimo ortodosso, nasceva da una rottura con l’oriente estremo, guardava a Occidente, ma la separazione da quel mondo era ormai profonda. Pietro il Grande cercò di modernizzare il paese e avvicinarlo all’Europa realizzando anche una rivoluzione estetica tanto da imporre una tassa sulle barbe lunghe, ormai fuori moda presso le altre corti del continente, e lo fece nel segno di un assolutismo incondizionato.

Caterina, prussiana di educazione che introdusse il francese nella nobiltà russa

Il suo lavoro fu proseguito dalla zarina Caterina, imperatrice dal 1762, prussiana di nascita e di educazione, illuminata nelle intenzioni e nell’ammirazione della cultura francese, ma non disposta a concepire il suo potere come limitato. La zarina definì «il suo paese una potenza europea», alla fine, però, l’avvicinamento con l’Occidente fu più consistente nell’ambito culturale che non in quello socio-economico. La lingua francese – come testimonierà proprio Guerra e Pace – si fece strada in una società nobiliare che era all’apice di un sistema dai tratti profondamente feudali. Questo fece di Mosca il baluardo contro la rivoluzione francese e poi contro Napoleone. Si consolidava l’idea, vagheggiata sin dal XVI secolo, che davvero Mosca fosse la Terza Roma, la vera custode delle tradizioni imperiali e dell’ortodossia cristiana, dopo che le capitali imperiali (Roma e Costantinopoli) erano cadute prima sotto i barbari, poi sotto i turchi. Una capitale imperiale che non guardava più all’Europa corrotta dalle idee liberali, costituzionaliste e parlamentari, bensì ai popoli slavi. Lo slogan «autocrazia, ortodossia e nazionalità» (pravoslavie, samoderzhaviye, narodnost) venne coniato dal Ministro dell’Educazione dello Zar Nicola, Sergey Uvarov, scienziato illuminato, ma anche ideologo di una Russia assolutista, forte e dominante.

Alle origini della distanza storica, politica e culturale che da secoli separa la Russia dall'Occidente e dal resto d'Europa
Parata per il 52 esimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre (Getty)

In seguito alla Rivoluzione d’Ottobre si aprirà una nuova frattura tra la Russia e l’Occidente 

Nel XX secolo, la Grande Guerra che doveva porre fine a tutti i conflitti e riunire i popoli slavi, fu la fine, o forse solo l’interruzione, di questo sogno. La Rivoluzione di Ottobre segnerà l’inizio di una nuova era di frattura con l’Occidente, destinato a essere rappresentato come il simbolo del capitalismo e del potere reazionario delle classi borghesi. Nel 1924 anche la città nata a modello delle capitali europee, San Pietroburgo, perderà ogni legame con l’Ovest, venendo ribattezzata Leningrado in onore del leader bolscevico. Solo un nemico comune, Hitler, riavvicinerà provvisoriamente la Russia diventata Urss, ormai guidata da Stalin, con i paesi capitalisti così come l’odio anti-inglese avvicinò Napoleone e Alessandro I. Ma già nell’ottobre 1944 Churchill e Stalin, immaginarono un mondo post bellico diviso in blocchi e il premier britannico stilò un famigerato appunto con tanto di percentuali di influenza. Dall’Europa del Terzo Reich si passerà all’Europa dei muri e della cortina di ferro e a un mondo in cui il confronto Ovest-Est si rifletterà su uno scacchiere planetario diviso in blocchi. Anche il “disgelo” dopo la morte di Stalin avvenuta nel 1953 non ricucirà la frattura. L’impero britannico si era dissolto, gli stati europei risorgevano delle macerie, Usa e Urss si sfidavano su tutto: la corsa agli armamenti, la conquista dello spazio, la ricerca scientifica, il primato culturale, i trionfi sportivi alle Olimpiadi. «La libertà ha molte difficoltà e le democrazia non è perfetta, ma non abbiamo mai dovuto costruire un muro per tenere dentro la nostra gente» dirà John Fitzgerald Kennedy a Berlino Ovest nel 1963. Gli americani magari persero qualche medaglia d’oro alle Olimpiadi contro i sovietici (di cui una storica nella finale di basket del 1972), ma vinsero la corsa alla luna e soprattutto la battaglia culturale, imponendo i propri modelli a tutto l’Occidente e oltre.

Dal cinema alla musica, i prodotti americani banditi dall’Unione Sovietica

L’Urss rispondeva rinchiudendosi ancora di più dentro i propri confini e la propria ideologia. Già nel 1950, Mosca spendeva 17,5 milioni di dollari (dell’epoca) per oscurare i segnali radio provenienti dall’Ovest. La musica occidentale non arrivava, i film americani col contagocce. Agli stereotipi militari hollywoodiani come Rambo si rispondeva con eroi autoctoni come quello del film del 1985 Odinočnoe plavanie (Navigazione solitaria), un intrepido militare comunista che sventa da solo un progetto terrorista della CIA. La versione di Mosca in Occidente arrivava solo, in parte, attraverso i partiti comunisti che ricevano annuali finanziamenti dal PCUS. La Perestroika di Michail Gorbaciov iniziata nel 1985 più che un movimento di ricostruzione fu l’inizio della fine. Il crollo dell’Urss sembrò ricolmare il grande divario. Nel marzo 1997 l’impero sovietico apparteneva ormai ai libri di storia: un sondaggio del Centre for International Sociological Research rilevò che il 73 per cento dei cittadini russi avrebbe voluto visitare gli Usa, il 54 per cento affermava che si dovesse imitare lo stile di vita americano, il 65 per cento delle donne dichiararono che avrebbero sposato volentieri un americano. Ma le cose stavano cambiando, l’espansione della NATO a Est sembrò un tentativo di approfittarsi di un ex nemico ormai alle corde.

Palazzo d’Inverno, San Pietroburgo (Getty)

I rapporti tra Russia e Occidente dopo l’avvento di Vladimir Putin

Iniziò poi l’era di Vladimir Putin. L’ex agente del KGB rinnegò il comunismo: «Era una strada verso un violo cieco», disse in un’intervista rilasciata poco prima del suo primo mandato da presidente. Il nuovo uomo forte di Mosca si avvicinò all’ideologia del filosofo Ivan Il’in che pensava che l’identità nazionale russa doveva fondarsi sulla religione ortodossa e sul patriottismo. Il popolo russo era, come sostenevano lo storico NikolaJ Trubeckoj e l’etnologo Lev Gumilëv, un unicum nato dall’unione di slavi, europei e turchi. La nova dottrina era l’eurasiatismo da contrapporre all’ atlantismo. Mosca poteva pensare di tornare a vedersi come “terza Roma”. La separazione con l’Occidente divenne definitiva nel 2004. Putin vide, prima nella strage della scuola di Beslan del settembre, poi nella rivoluzione arancione di Kiev del novembre e nell’allontanamento della Georgia, la mano lunga delle influenze dell’Ovest. La Russia nella sua idea era accerchiata e doveva reagire.

Alle origini della distanza storica, politica e culturale che da secoli separa la Russia dall'Occidente e dal resto d'Europa
Commemorazione del massacro di Beslan (Getty)

Beslan e la Rivoluzione arancione: gli episodi che segnarono l’ultima frattura tra Russia e Occidente

«Alcuni vogliono strapparci una“succulenta fetta di torta», disse Putin all’indomani del massacro a Beslan «Altri li aiutano nella convinzione che la Russia, in quanto una delle maggiori potenze nucleari, costituisca una minaccia. Questa minaccia va rimossa». La Russia, spiegò Vladislav Surkov, vice capo dell’amministrazione del Cremlino,  è minacciata da «una cospirazione internazionale che punta a liquidarci» ordita da «decisori in America ed Europa». Era l’annuncio del ritorno di un passato che sembrava concluso e di un divario destinato a non richiudersi più. Se dieci anni prima i cittadini russi ammiravano gli americani fino a volerli sposare un sondaggio Gallup del 2007 rivelava che quasi tre quarti della popolazione disapprovava gli USA e la loro politica.