Il Minculpop di destra brancola nel buio. L’organizzazione della propaganda è la cosa che riesce meglio al governo Meloni, che intasa i social con una deformazione e falsificazione di dati e notizie così grossolana che solo chi li ha votati può bersi, e non c’è controinformazione che tenga per le masse adoranti di Giorgia Meloni, disposte a crederle anche quando dice con sicumera «non devono partire», riferendosi ai migranti, facendo intendere che lei stessa – beninteso con l’aiuto dell’Europa – si incaricherebbe di dissuaderli uno per uno, recandosi personalmente agli imbarchi delle carrette del mare sulle spiagge libiche, e riuscendo a fermare il fenomeno biblico laddove Mosè aveva fallito.
Promuovere giornalisti che conoscono solo giornalisti…
La propaganda, si sa, è fondamentale per i governi disegnati sul culto della persona e c’è ora un gran lavorìo per dimostrare che anche la destra può disporre di fior di intellettuali, da arruolare per accrescere il prestigio della presidentessa. Ma, a dire il vero, questo fior fiore di cervelli scarseggia nelle file della destra perché, da Silvio Berlusconi a Ignazio La Russa, si è sempre pensato che la cultura fosse più che altro prerogativa di una minoranza gay. Alla disperata ricerca di un ministro si è dovuto ripiegare su un giornalista, Gennaro Sangiuliano. Proprio perché amiamo questo glorioso mestiere, ne conosciamo le magagne. Fare ministro della Cultura un giornalista vuol dire moltiplicare i giornalisti a capo delle istituzioni culturali come i pani e i pesci alle nozze di Cana perché i giornalisti, soprattutto se romani, conoscono solo giornalisti e hanno, come universo di riferimento culturale, quelle infarinature sulla qualunque che noi scribacchini utilizziamo per consegnare in tempi resi ormai micidiali dal web le nostre trenta o sessanta righe.

Paolo Giordano al Salone del libro? Si è subito dato alla fuga
Sono ben 14, per esempio, i direttori di musei in scadenza nel 2023 e, giusto per dare un segnale di discontinuità, Sangiuliano sembrava avesse abrogato la regola istituita da Dario Franceschini secondo la quale i direttori potevano anche essere stranieri. «Prima gli italiani» sarebbe stato coerente con la linea politica del governo che, dal gorgonzola agli immigrati, mette sempre avanti gli indigeni a chilometro zero: ma una dichiarazione di Massimo Osanna, direttore generale dei Musei, dice che i bandi «dovrebbero», usando il condizionale, restare internazionali come i precedenti. Poi Fratelli d’Italia vorrebbe mettere le mani sul Salone del libro di Torino, dove era dato per favorito alla direzione lo scrittore Paolo Giordano, che alla sola idea di ricevere una telefonata da Palazzo Chigi si è dato alla fuga. Come può pretendere autorevolezza un governo che aveva esordito cancellando di fatto il bonus cultura destinato ai giovani per acquistare libri, musica, mostre? Con la solita propaganda la Meloni diceva che non lo avrebbe eliminato, ma migliorato, destinandolo solo ai meno abbienti perché era scandaloso che il figlio di un miliardario lo ricevesse.

Giuli e Venezi: questo è ciò che passa il convento
Un po’ come accade con i migranti: se dici che non devono partire hai la coscienza a posto, la soluzione è quella, tu lo dici e lo ridici su TikTok che non devono partire. Se poi lo slogan non sta in piedi tu puoi vivere comunque di rendita su quello, dormendo sonni tranquilli, mentre i migranti continuano a morire in mare. Così, burocratizzando il bonus cultura, per toglierlo a una esigua minoranza, costringendo a riempire moduli Isee e legandolo al voto ottenuto alla maturità, si è finito per depotenziarlo e non se ne sa più nulla. È animata solo da pelose buone intenzioni la nostra presidentessa, mai che abbia in mente qualche soluzione concreta per risolvere i problemi invece di complicarli. Intanto il giornalista di Libero Alessandro Giuli ha raggiunto il Maxxi, mentre «il direttore» d’orchestra Beatrice Venezi è stata nominata dal ministro consigliere per la musica. Peccato che musicologi di fama la inchiodino: «Analizzando tecnicamente il gesto della Venezi, potremmo facilmente dimostrare perché il suo è un modo di dirigere discutibile: deficit di caduta in battere e di attacchi interni, perenne presenza di movimenti a vuoto, scarsissima attinenza gestuale al segno delle partiture», eccetera eccetera. Ma pare sia l’unica direttrice d’orchestra sedotta dalla fiamma tricolore e non era proprio possibile non considerarla.

Servirebbe forse Sgarbi con una zampata delle sue
Ci sarebbero poi i soliti Giordano Bruno Guerri, Pietrangelo Buttafuoco e Marcello Veneziani, giornalisti anche loro, specializzati – soprattutto gli ultimi due – nel ruolo del bastian contrario di destra, nei caravanserragli dei talk in tivù. Solo Vittorio Sgarbi potrebbe dare una zampata delle sue e chiamare persone di valore nelle posizioni apicali della gestione culturale. Ma sarebbero persone di valore, appunto, e non accetterebbero. Meloni & C. continueranno perciò a cantarsela e suonarsela con i soliti nomi a disposizione, per azionare la grancassa.
