Le piazze di Cuba non si riempivano così da quasi 30 anni. Era il 1994 e, stremata da una durissima crisi economica che aveva messo in ginocchio l’isola dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, la popolazione manifestò tutto il suo malcontento nei confronti di Fidel Castro e del Partito comunista. L’Avana, per anni, era stata troppo dipendente dalle importazioni da Mosca, e il crollo dell’Urss portò a carenza di cibo, benzina e risorse energetiche. Ad appesantire il tutto, anche l‘embargo da parte degli Stati Uniti. I cubani scesero per le strade gridando «Libertà», e il “Maleconazo”, come fu chiamato il periodo delle proteste, portò 35 mila cittadini a lasciare l’isola.
Le ragioni della protesta
L’11 luglio 2021, dopo 27 anni di relativa tranquillità, le piazze sono tornate ad animarsi. Le proteste sono iniziate a San Antonio de los Banos, a sud della Capitale, e si sono estese per tutto il Paese in poco tempo. «Patria e vita!», uno degli slogan intonati dai manifestanti, è anche il titolo di una canzone anti-governativa, accompagnato da «Abbasso la dittatura» e «Non abbiamo paura». Ma quali sono i motivi della nuova ondata di rivolte? Gli stessi di 30 anni fa. A Cuba continuano a mancare i beni di prima necessità, dal cibo ai medicinali, e la pandemia rende il tutto ancora più drammatico. La rabbia, poi, è esplosa nel giorno in cui l’isola ha registrato un nuovo record di contagi (6.923) e morti (47) a causa del coronavirus. Sullo sfondo, ancora una volta, l’ombra statunitense, perché dopo le aperture diplomatiche sotto la presidenza Obama (furono inaugurate nuovamente le rispettive ambasciate a Washington e L’Avana, e il presidente visitò Cuba nel 2016) con Trump la situazione è peggiorata drasticamente. Sotto il suo mandato sono state imposte 200 nuove sanzioni. A oggi Biden non ha ancora messo mano a quei provvedimenti, anzi Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, ha twittato in favore dei manifestanti: «Gli Stati Uniti sostengono la libertà di espressione e manifestazione a Cuba, e condannano qualsiasi eventuale violenza o ritorsione nei confronti dei manifestanti pacifici che stanno esercitando i loro diritti».
E, mentre sui social si rincorrono le richieste di donazioni, alcuni oppositori (a Cuba l’unico partito legale è quello comunista, quindi è complicato parlare di “opposizione”) hanno chiesto al governo di aprire dei corridoi umanitari. Un’iniziativa rispedita al mittente: «I concetti di corridoio umanitario e aiuto umanitario sono associati alle aree di conflitto e non si applicano a Cuba». Il presidente Miguel Diaz-Canel, che nel 2019 ha preso il posto dell'”abdicante” Raul Castro, ha poi puntato il dito contro gli Stati Uniti, accusati di aver pagato i «mercenari» infiltrati a suo dire nelle manifestazioni contro il governo. Ogni «rivoluzionario del Paese», ha detto Diaz-Canel, dovrebbe affrontare «in modo fermo e coraggioso» i controrivoluzionari che manifestano in queste ore. Infatti, poco dopo, in centinaia hanno riempito le strade per sostenere il governo. Il 12 luglio, poi, Diaz-Canel ha tenuto un lungo intervento in diretta – anche su YouTube – in cui ha condannato nuovamente i manifestanti e l’embargo americano, ha difeso il socialismo e la Cuba della rivoluzione, mostrando i dati sulla pandemia, i più bassi del Sud America. Pochi i però commenti a suo sostegno, tantissimi quelli contro (“bugiardo” l’aggettivo più utilizzato). E, a manifestare il proprio dissenso, è stata anche la comunità cubana della Florida: a Miami, Tampa e in altre città, esuli o cittadini di origine cubana hanno occupato le strade per chiedere la fine del regime comunista. E proprio in Florida, alle Presidenziali del 2020, Trump ebbe la meglio su Biden anche grazie ai voti della comunità latina, favorevole pugno duro nei confronti del regime di L’Avana.
Miguel Diaz-Canel, il delfino di Raul Castro
Per quasi 60 anni, dal 1959 al 2018, Cuba è stata governata dai fratelli Castro, Fidel (fino al 2008) e Raul (dal 2008 al 2018, ma “reggente” già dal 2006), leader insieme ad Ernesto “Che” Guevara e Camilo Cienfuegos della rivoluzione che mise fine alla dittatura di Fulgencio Batista. Diaz-Canel è il primo Capo di Stato nato dopo la rivoluzione. Militante nel Partito già negli Anni 80, è stato ministro dell’Educazione e vicepresidente del Consiglio di Stato con Raul Castro, che lo ha indicato come suo “delfino”. Diaz-Canel si era prefissato di portare avanti le riforme annunciate dal suo predecessore, e nel 2019 ha varato la nuova Costituzione disegnata proprio da Castro. Per la prima volta nella storia della Cuba post-rivoluzionaria sono state introdotte la «piccola proprietà privata» e l’apertura agli investimenti esteri. Sono state inoltre create le figure del Presidente della Repubblica (lo stesso Canel) e del Primo ministro, carica quest’ultima soppressa da Fidel nel 1976.
Nonostante si definisca un comunista della prima ora, Diaz-Canel ha spesso sfidato l’ortodossia del Partito. In passato, ad esempio, ha sostenuto apertamente i diritti della comunità Lgbtq ma, nonostante i suoi sforzi, il matrimonio omosessuale non è stato inserito nella nuova Costituzione. Dallo stile informale – lo si è visto spesso girare in bicicletta – è stato tra i primi in assoluto a portare il rock sull’isola grazie alla creazione del centro di El Mehunche, inizialmente uno spazio in cui festeggiare il carnevale e poi diventato, col passare degli anni, un luogo di ritrovo per gli appassionati di una musica considerata ostile al regime. Diaz-Canel si è battuto anche per una maggiore apertura di Internet e per una stampa più critica, ma proprio un più facile accesso alla Rete ha fatto sì che le proteste dell’11 luglio si diffondessero a macchia d’olio. Aperture che non fanno di lui un eretico vero e proprio visto che ha sempre sostenuto pubblicamente la rivoluzione (e la Cuba che ne è derivata) e, all’occorrenza, non ha esitato a puntare il dito contro gli Stati Uniti. Nel commentare le proteste, infatti, ha sfidato gli Usa chiedendo di revocare il blocco economico, finanziario e commerciale. «Non permetteremo a nessuno di manipolarci», ha tuonato. »Né ammetteremo che un qualsiasi mercenario venduto agli Stati Uniti provochi una destabilizzazione a Cuba».