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La paradossale e mesta fine del governo Draghi

Dopo il gran premio degli errori, compresi quelli del premier, il governo Draghi è al capolinea. Si andrà alle urne già a ottobre, nonostante il contesto internazionale drammatico. Ma il voto è un esercizio di democrazia, e chi lo ha esorcizzato per troppo tempo forse adesso se ne pente.

20 Luglio 2022 20:3020 Luglio 2022 20:50 Paolo Madron
La paradossale e mesta fine del governo Draghi

Giornata da teatro dell’assurdo, che dal pomeriggio diventa una sorta di gran premio degli errori (e degli orrori): qualcuno voluto, la gran parte involontaria, cosa che in politica peraltro non è un’attenuante. Il festival degli sbagli per la verità lo aveva iniziato in mattinata Mario Draghi. Il discorso con cui si è ripresentato su invito del Quirinale alle Camere era una sorta di campo largo delle recriminazioni. Inutilmente duro, astioso, quasi mirasse a farsi votare contro, inspiegabilmente allargato a temi collaterali agli oggetti del contendere. Non più solo contro i 5 Stelle, colpevoli di aver aperto questa crisi e di averla cristallizzata in una forma assembleare permanente. Ma anche con la Lega accomunata nella reprimenda, perché Matteo Salvini ha aggiunto benzina sul fuoco chiedendo la testa di un paio di ministri, relativi rimpasti e soprattutto ponendo il veto a una riproposizione della maggioranza con i grillini che ne facessero ancora parte.

La paradossale e mesta fine del governo Draghi
La risoluzione Casini.

Un epilogo segnato nonostante i tentativi di salvataggio, compresa la vana risoluzione Casini

A quel punto l’epilogo era segnato, ineluttabile più di tutti i tentativi fatti dal Quirinale e i suoi pontieri di trovare una soluzione che consentisse al governo di andare avanti. Ma quando i sassolini che uno (e non è solo il premier) si toglie dalle scarpe diventano pietre e poi valanghe è difficile pensare di invertire la corsa. Tutti i tentativi per farlo si sono rivelati vani. Vani gli sforzi del Pd di rianimare in zona Cesarini quel che restava del campo largo, e per il partito di Enrico Letta che vi aveva puntato anche in prospettiva molte delle sue carte è uno smacco. Vana la convinzione che i governisti presenti tra i 5 Stelle e nel centrodestra si sarebbero presi la scena smentendo le indicazioni dei leader. Vano l’escamotage di presentare una risoluzione firmata da Pier Ferdinando Casini che potesse far da calamita a coloro che non avevano nessuna voglia di tornare all’opposizione. Anzi, l’idea di mandare avanti l’ex presidente della Camera ed esperto di alchimie parlamentari ha ancor più irrigidito le posizioni, compattando i fronti interni degli schieramenti invece che dividerli. Almeno al momento, cioè nell’ora che contava di più. Che poi in un futuro neanche lontano ci possano essere ripercussioni in seno ai partiti che hanno perpetuato il draghicidio è più che probabile. E quindi la scissione avvenuta in casa pentastellata potrebbe vantare più di un tentativo di imitazione. Senza aspettare troppo, Mariastella Gelmini ha già lasciato Forza Italia.

Giuseppe Conte si è trasformato da protagonista a utile idiota

Ma era ieri l’ora decisiva per i distinguo, e quell’ora per chi auspicava che Draghi potesse proseguire il suo mandato a Palazzo Chigi non è suonata bene. Puntare su una rivolta dei governisti che avrebbero dato al governo i numeri per continuare ha ricordato molto la caccia ai responsabili scatenata quando Renzi tolse la fiducia al Conte bis. Stessa frenesia, stessi calcoli sbagliati, stesso buco nell’acqua. Il precipitare della narrazione ha ingenerato poi esiti paradossali, con il centrodestra che si è infilato nelle tentennanti convulsioni dei 5 Stelle per rubare loro il pallino della crisi. Cosa che trasformava Conte da protagonista a utile idiota. E con Berlusconi e Salvini che nel momento in cui rendevano noto di aver prospettato al Quirinale la loro disponibilità a continuare con Draghi lo impallinavano per bocca del capogruppo dei senatori leghisti Romeo che già ne aveva con toni forti liquidato l’esperienza.

La paradossale e mesta fine del governo Draghi
Matteo Salvini al Senato (Getty Images).

Chi ha esorcizzato l’esercizio del voto forse adesso se ne pente

Il finale è mesto, caotico, privo di esultanza anche da parte di chi, avendo da tempi non sospetti invocato il ritorno alle urne, avrebbe avuto di che gioire. Una crisi politica in un contesto congiunturale drammatico può avere esiti nefandi anche per chi l’ha tenacemente voluta. Salvo sorprese, si voterà a ottobre. Chi scrive non ricorda una campagna elettorale che si sia svolta al sole di Ferragosto, e nemmeno in un contesto che la situazione internazionale si sta configurando come altamente recessivo. Ma votare è esercizio di democrazia, e chi lo ha esorcizzato per troppo tempo mettendo in campo soluzioni istituzionali o tecnocratiche forse adesso se ne pente.

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