Crisi climatica, così lo scioglimento del permafrost cambia l’Artico

Fabrizio Grasso
14/11/2022

Crateri, “incendi zombie” e laghi bollenti. Così la crisi climatica sta distruggendo il permafrost dell’Artico, mettendo il mondo a rischio. Intanto la guerra in Ucraina blocca la ricerca.

Crisi climatica, così lo scioglimento del permafrost cambia l’Artico

Nell’Artico è allarme permafrost. Lo strato ghiacciato di terreno che da millenni è alla base della tundra e della vita in Alaska e Siberia sta scomparendo. Il suo scioglimento, dovuto all’aumento delle temperature e alla crisi climatica, sta sconvolgendo l’equilibrio del paesaggio polare, colpendo piante e animali, ma anche l’uomo che lo abita. Lo scenario è oggi dominato da enormi doline, crateri improvvisi e danni da incendio. I laghi ribollono per via del metano in risalita, mentre le emissioni di gas serra aumentano. Un fenomeno in crescita, che secondo gli esperti ambientalisti dovrebbe catturare maggiore interesse dei governi.

Perché lo scioglimento del permafrost è così importante per il clima

Il disgelo del permafrost rischia di ripercuotersi seriamente sul clima di tutto il Pianeta. Secondo gli esperti della Nasa, il terreno ghiacciato conterrebbe circa 1700 miliardi di tonnellate di carbonio. Un dato ingente anche se si pensa che è 51 volte superiore alla quantità totale delle emissioni sulla Terra nel 2019. «È un fenomeno sepolto, non lo vedi ma è lì», ha detto alla Cnn Merritt Turetsky, direttore dell’Istituto di ricerca artica e alpina dell’Università del Colorado a Boulder. «Sappiamo che c’è e conosciamo il suo impatto». Lo scioglimento sta risvegliando i microbi che si nutrono di materia organica, consentendo al metano e alla CO₂ di fuoriuscire dal suolo e liberarsi nell’atmosfera. «Il permafrost è il congelatore della biomassa antica», ha proseguito Turetsky.

Improvvisi crateri, “incendi zombi” e laghi ribollenti. La crisi climatica scioglie il permafrost dell’Artico, mettendo il mondo a rischio.
Fra le principali conseguenze dello scioglimento anche frane e cedimenti (Twitter)

«C’è incertezza scientifica circa il reale impatto sulla crisi climatica del permafrost», ha fatto eco Brendan Rogers, scienziato del Woodwell Climate Research Center del Massachusetts. «Non sappiamo se tutto il carbonio si scongelerà perché parte di esso si trova ad elevate profondità». Le proiezioni per la fine del secolo però non sono confortanti. I dati oscillano fra 99 e 550 miliardi di tonnellate entro il 2100. Per comprendere l’entità dell’ipotesi, come sottolinea uno studio di Environmental Research Letters, basta pensare che gli Stati Uniti dovrebbero emetterne 368 miliardi nello stesso periodo.

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Dai laghi ribollenti agli “incendi zombie”, gli effetti della crisi climatica nell’Artico

Il disgelo improvviso del permafrost sta sottoponendo gli strati più profondi a diversi stress. Un esempio è il Big Trail Lake in Alaska, bacino d’acqua naturale di recente formazione che presenta bolle di metano. Il gas serra sta emergendo anno dopo anno, impedendo così ai laghi di congelarsi in inverno ed esponendo lo stesso permafrost a temperature più alte e di conseguenza maggiore degrado. A seguito del rapido scongelamento, sempre più incendi vessano la Siberia. Rogers ha spiegato anche il fenomeno dei cosiddetti “incendi zombie”, particolare caso per cui alcune fiamme covano sotto terra per mesi anche molto tempo dopo che quelle in superficie si sono spente. Un problema già messo in risalto nel maggio 2021 e oggi più frequente e minaccioso.

Improvvisi crateri, “incendi zombi” e laghi ribollenti. La crisi climatica scioglie il permafrost dell’Artico, mettendo il mondo a rischio.
I singolari crateri forse dovuti a esplosioni di metano (Twitter)

Preoccupante anche la comparsa di circa 20 crateri nell’estremo nord della Siberia. Con un diametro di qualche decina di metri, potrebbero essere frutto dell’esplosione di metano, fenomeno geologico finora ignoto. «L’Artico si sta riscaldando molto velocemente per via della crisi climatica», ha detto Rogers. «Stanno succedendo cose pazze». Come se non bastasse, la guerra in Ucraina ha bloccato le missioni di ricerca al polo e il ricorso alla strumentazione russa. Lo ha confermato alla Cnn Sebastian Dötterl, docente dell’ETH di Zurigo che studia gli sviluppi del clima alle Svalbard, in Norvegia. «Impossibile anche interagire con gli esperti di Mosca», ha sentenziato. «Una vera battuta d’arresto per la scienza».