Il termine smog è oggi di uso comune, eppure ha una genesi relativamente recente. A coniarlo fu Harold Antoine Des Voeux, medico che nel 1905 fuse le due parole inglesi smoke (fumo) e fog (nebbia) per descrivere l’aria londinese inquinata. È solo il primo di una serie di neologismi nati per raccontare la crisi climatica. Non deve sorprendere dunque l’esistenza di un dizionario ad hoc. Il progetto internazionale è opera delle artiste Heidi Quante e Alicia Escott, fondatrici nel 2014 del Bureau of Linguistical Reality. Oggi conta nuove parole che uniscono più lingue, tra cui l’italiano, lo spagnolo e l’inglese. Ecco i casi più interessanti, tra cui il “nostro” nonnapaura.

Da nonnapaura a pyrora, i neologismi sulla crisi climatica
Si prenda la parola Antropocene. Coniata nel 2000 dal chimico olandese Paul Crutzen, indica l’epoca moderna in cui l’ambiente muta a causa dell’azione umana. È solo uno dei tanti neologismi che fanno parte del Bureau of Linguistical Reality di Quante ed Escott. Tra i quali c’è anche l’italiano “nonnapaura“. Fusione fra i due termini “nonna” e “paura”, indica da un lato il timore dei genitori per il futuro dei propri figli a causa della crisi climatica e allo stesso tempo la speranza di diventare nonni. Due giovani di origine salvadoregna e coreana che vivono a Los Angeles hanno invece creato “chuco 헐 sol” per indicare gli splendidi tramonti della città californiana dovuti però all’inquinamento. Traducibile letteralmente come “sporco wow Sole”, indica la colorazione rossa che il cielo assume per via della CO₂ nell’atmosfera.

«Non abbiamo chiesto alla gente di tradurre le sensazioni in inglese», hanno detto Escott e Quante alla Bbc. «Possono esprimerle liberalmente con la lingua che preferiscono». È il caso della parola “sandulate“, un verbo che indica la consapevolezza che le coste sono vive e non possono essere deturpate con case ed edifici. Lo hanno creato gli artisti Kim Anno e Modesto Covarrubias, che vivono nella Baia di San Francisco. I due, assieme al Bureau of Linguistical Reality, hanno ideato anche “mientierra“, crasi letteraria di miente (egli/ella mente) e tierra (sbarcare). Lo si può utilizzare per descrivere la sensazione di instabilità dei litorali costieri. Che dire poi di “pyrora“, che descrive l’aria piena di fuliggine che si respirava durante gli incendi della California, frutto dell’idea di Jessica Darker, collaboratrice di Quante ed Escott.
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Non solo sensazioni, neologismi anche per fenomeni e falsi miti
Le nuove parole servono a sfatare anche falsi miti circa il climate change. Negli ultimi anni si è diffusa la convinzione che la tecnologia possa salvarci. Un ingegnere della Germania ha creato pertanto il neologismo “teuchnikskreis“. Si tratta di una storpiatura di “teufelskreis” (letteralmente, cerchio del Diavolo) con la parola technik. Altro neologismo è “marsification” che indica le utopie neocolonialiste che vedono in Marte la nuova frontiera dell’umanità dopo la distruzione della Terra. Ci sono poi i neologismi che raccontano la speranza di un futuro migliore. È il caso di “refuvescence“, il momento in cui tutto prende una svolta positiva inaspettata. Simile al termine “eucatastrofe” che lo scrittore J.R.R. Tolkien coniò negli Anni 30 per parlare di una “catastrofe buona”, improvvisa ma positiva mutazione degli eventi.