Caos senza fine in Armenia, Paese che a causa della crisi politica ed economica rischia di tornare a essere la polveriera del Caucaso. La Capitale Erevan è teatro da diverse settimane di manifestazioni e operazioni di disobbedienza civile da parte di un ampio movimento di opposizione che chiede le dimissioni del primo ministro Nikol Pashinyan, accusato di aver fatto troppe concessioni all’Azerbaigian sulla questione del Nagorno-Karabakh. I termini dell’accordo non sono stati resi noti ma il primo ministro aveva lasciato intendere avrebbero riguardato i diritti degli armeni Nagorno-Karabakh e non lo status del territorio che rimarrebbe dunque fuori dal controllo di Erevan.
Nagorno-Karabakh, l’Armenia divisa sugli accordi con l’Azerbaigian
Il premier il 14 aprile in Parlamento aveva sottolineato la necessità di firmare un accordo di pace con l’Azerbaigian, per abbassare la tensione nella zona contesa dopo la ripresa, lo scorso marzo, delle tensioni con Baku. La Russia si è fatta garante della popolazione di etnia armena inviando 2 mila peacekeeper nell’area teatro della sanguinosa guerra dell’autunno 2020 che causò 4 mila vittime in 45 giorni di conflitto.
«Qualsiasi concessione politica al territorio all’Azerbaijan per noi è inaccettabile», ha messo in chiaro il vicepresidente del parlamento e leader dell’opposizione Ishkhan Sagatelyan. «Pashinyan ci ha tradito e se ne deve andare», ha detto ai giornalisti durante l’imponente manifestazione di domenica scorsa, sostenendo che le proteste «porteranno al rovesciamento del governo molto presto». Pashinyan, che ha spodestato l’ex premier Serž Sargsyan proprio con proteste partite dalla piazza durante la cosiddetta Rivoluzione di Velluto del 2018 e un anno fa ha affrontato un tentato golpe, è sotto accusa. Senza contare la crisi economica che ha colpito il Paese dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
Le sanzioni alla Russia colpiscono indirettamente anche l’Armenia
L’invasione russa ha avuto profonde ripercussioni anche sul Paese caucasico che dipende per il 60 per cento del suo fabbisogno energetico da Mosca. Ogni anno, decine di migliaia di armeni vanno a lavorare nella Federazione come stagionali, soprattutto nel settore dell’edilizia. Everan stima che siano almeno 80 mila, ma secondo altre statistiche russe arriverebbero addirittura a 300 mila, il 10 per cento della popolazione totale. Come riporta il Moscow Times, secondo la Banca Centrale armena le rimesse nel 2021 ammontavano a 865 milioni di dollari pari al 5 per cento del Pil nazionale. A questi vanno aggiunti i soldi che ogni mese gli armeni che ormai hanno acquisito la cittadinanza russa inviano alle famiglie. Ora però, a causa delle sanzioni occidentali, il costo della vita in Russia si sta alzando e mandare denaro a casa per i lavoratori immigrati è sempre più difficile. La governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina ha previsto per il 2022 un’inflazione nel Paese pari al 18-23 per cento e un calo del 10 per cento del Pil. «Gli stipendi si sono ridotti ed è possibile che i datori di lavoro non siano in grado di pagare», ha spiegato a Eurasianet Tatevik Bezhanyan, esperto di migrazione presso la Caritas armena. «Per ora possono ancora pagare, ma se la situazione non migliora ci saranno sicuramente dei problemi». «Le rimesse quest’anno possono crollare del 40 per cento», ha ammesso il ministro delle Finanze armeno Tigran Khachatryan il 28 marzo.
Il Caucaso si scalda
In una situazione già esplosiva, con un malcontento diffuso e il rischio di una perdita del 2 per cento del Pil a causa delle mancate rimesse, le concessioni di Pashinyan all’Azerbaigian sono state benzina sul fuoco. Anche perché si teme che con il fronte ucraino ancora aperto, Mosca lasci l’Armenia sola.