La pandemia non ha solo rivoluzionato la nostra quotidianità, ma anche la cosiddetta ‘non vita’. Da Mosca a Phoenix, dalla Cina all’Australia, le società che si occupano di crioconservare cadaveri o cervelli sono state costrette ad adottare protocolli di sicurezza ad hoc. È il caso di Alcor, azienda americana leader del settore dal 1972 che lo scorso anno ha dovuto limitare i trattamenti chimici anti-congelamento al solo cervello. Non è un dettaglio. Una volta accertata la morte del paziente, il corpo viene inserito in una sorta di sacco e riposto in una cabina piena di azoto liquido a una temperatura di -196 gradi. Le sostanze chimiche precedentemente iniettate all’interno degli organi evitano che si formino cristalli di ghiaccio che potrebbero distruggere le membrane cellulari.
Il Covid e il boom delle crioncoservazioni
La pandemia ha aumentato l’interesse intorno all’iter criogenico. «Forse il coronavirus ci ha spinto a pensare che la vita è la cosa più preziosa che abbiamo e molti si sono sentiti in dovere di investire sul loro futuro», ha dichiarato al New York Times Valeriya Udalova, direttrice di KrioRus, compagnia moscovita nata nel 2006. Nulla di nuovo all’orizzonte: non è raro che la morte di una persona cara o una malattia ci spingano a riflettere sul futuro e sulla nostra finitezza. Oltre a imporre modifiche nell’iter dei trattamenti, il coronavirus ha creato problemi anche a livello commerciale. A partire dalle difficoltà di raggiungere i clienti, sia per le restrizioni agli spostamenti sia per le limitazioni agli accessi negli ospedali. «In genere, preferiamo recarci in ospedale molto prima della procedura, se già sappiamo di avere a che fare con un malato terminale», ha spiegato Max More, ex presidente di Alcor. «Così facendo, ci confrontiamo con lo staff, capiamo un po’ in che contesto ci troviamo a operare e come velocizzare tutto per portare il paziente fuori di lì il prima possibile». Nonostante questo, però, gli affari sono cresciuti. Da una crioconservazione al mese di media in pre-pandemia, nel solo mese di gennaio 2020 l’azienda americana ha effettuato sei procedure. Sulla stessa linea KrioRus che, unica a offrire servizi anche in Europa, ha realizzato più di nove ibernazioni durante il periodo pandemico. Anche se i visti e la quarantena hanno dilatato i tempi e, spesso, la società ha dovuto affidarsi a intermediari locali per confrontarsi coi clienti e gestire gli affari a distanza.

Quanto costa oggi farsi ibernare
A cinquant’anni dai primi tentativi di ibernazione, oggi sono più di 500 i corpi crioconservati nel mondo. La maggior parte si trova negli States (la sola Alcor, ad esempio, ospita 182 tra corpi e cervelli di clienti d’età compresa tra i 2 e i 101 anni). Ma quanto costa conservare nell’azoto liquido il proprio corpo sperando che in un futuro più o meno lontano la scienza ci risvegli e magari ci guarisca? Per 200 mila dollari Alcor offre il trattamento completo (e assicura al paziente anche cure di mantenimento come il ricambio dell’azoto) mentre per 80 mila si occupa del solo cervello. Ancora più convenienti i prezzi di KrioRus che, tuttavia, pensa di ritoccare le sue promozioni dopo il trasferimento da una piccola sede a nord est di Mosca in uno stabilimento più grande e più all’avanguardia. Chiaramente, massima è l’attenzione agli aspetti legali: operazioni di questo tipo non possono essere effettuate senza l’autorizzazione del paziente e della famiglia, pena il coinvolgimento in battaglie in tribunale lunghe e dispendiose.
L’avanzata della Cina
Anche in questo settore a dare del filo da torcere al mercato occidentale c’è la Cina dove lo Yinfeng Life Science Research Institute è attivo dal 2017. Al contrario di quanto accade negli Usa o in Europa, il governo di Pechino però non guarda con diffidenza la crioconservazione, anzi la finanzia, sostenendo il team di ricercatori in una serie di progetti e integrandola nel sistema sanitario e universitario.
La crioconservazione degli animali
La pratica della crioconservazione non si limita solo agli esseri umani. Negli Stati Uniti, infatti, sta prendendo piede la tendenza di ibernare cani, gatti e addirittura cavalli. Il costo, ovviamente, dipende dalle dimensioni dell’animale. «Il cervello di un cavallo richiede operazioni diverse rispetto a quello di un gatto», ha sottolineato More. «Così come conservare un grosso cane costa al proprietario molto più che conservare un gattino di piccola taglia. Ecco perché ci sono differenze notevoli di prezzo».